Prodotto da Pathe UK e Wildgaze Films, e distribuito da Netflix, JOY – The birth of IVF, è il nuovo film scritto da Jack Thorne (Enola Holmes) e diretto dal regista inglese Ben Taylor (Sex Education). L’opera biografica tratta la storia vera della giovane infermiera ed embriologa Jean Purdy e del suo ruolo in primo piano nello sviluppo della “fecondazione in vitro”, che ha portato alla nascita il 27 Luglio 1978 di Louise Joy Brown: prima bambina nata attraverso questa nuova tecnica di fecondazione.
La trama di JOY – The birth of IVF
La storia trasporta lo spettatore a Cambridge nel 1968. La protagonista, Jean Purdy (Thomasin McKenzie), è una giovane infermiera embriologa, che un giorno si presenta fiduciosa ed entusiasta al laboratorio del dottor Robert Edwards (James Norton) per proporsi come assistente di ricerca, orgogliosa del suo vasto curriculum. Robert sta svolgendo studi sperimentali sulla cura dell’infertilità e vede in Jean una passione e una predisposizione intrinseche. Tali da mettere in secondo piano le esperienze passate della ragazza e da togliergli ogni dubbio riguardo al fatto che sia la persona adatta a ricoprire l’impiego.
La convinzione di entrambi è che ci sia un modo per permettere a ogni essere umano di poter concepire. E Jean si rende disponibile ad assumere il ruolo di responsabile di laboratorio in questo processo complesso di ricerca.
I due studiosi chiedono un supporto nel loro lavoro condiviso al ginecologo Patrick Steptoe, noto per aver dato origine a nuove tecniche di laparoscopia. Quest’ultimo, inizialmente titubante, accetta di aiutarli, prendendo così parte (in un ruolo cruciale) a questa difficile missione. Intralciata, oltretutto, da una forte opposizione della comunità religiosa e da una perplessità evidente della comunità scientifica. Che mettono in dubbio l’etica delle azioni del trio.
Questo percorso di ricerca travagliato e ricco di incertezze e dietrofront, avrà un suo lieto fine con la nascita della prima bambina in provetta, nel 1978: Louise Joy Brown (che dà il titolo al film). Dimostrando così il potere benefico della scienza nei confronti dell’umanità.
Il coraggio di superare i confini
Non è arduo già dopo qualche minuto immedesimarsi nella protagonista di questa pellicola, Jean Purdy, interpretata in maniera estremamente calzante dalla talentuosa Thomasin McKenzie (Jojo Rabbit, Ultima Notte a Soho). In questo film dona allo spettatore, ancora una volta, prova della sua credibilità interpretativa, impersonando una giovane ragazza dall’animo dolce, ma tanto fragile. Che neanche una corazza di apparente sicurezza e determinazione può nascondere del tutto. La sua fragilità più grande risiede proprio nell’impossibilità di dare origine a una nuova vita, tema del film. E, quando questa impossibilità viene esplicitata, lo spettatore comprende ancora di più le azioni della protagonista nel corso della sua storia.
“La scienza non è ancora pronta per te”.
Le rivela Steptoe.
Inoltre, questa non è l’unica fragilità che si cela nell’animo di Jean, ma è solo quella che ci mette più tempo a venir fuori. Già ad inizio film si conosce la madre malata e bigotta di Jean, che essendo di mentalità cattolica, estremamente chiusa, non riesce a mandare giù le scelte di vita della giovane ragazza. Creando, di conseguenza, una forte separazione fisica (oltre che mentale) tra le due. Oltre a un allontanamento sofferto di Jean dalla chiesa, che si oppone fortemente a tutto ciò che la ragazza sta costruendo.
Jean, tentando di rimanere a galla in un mondo eccessivamente maschilista e conservatore che non le appartiene, trova nel dottor Edwards una vera e propria anima guida. Che, nonostante i ripensamenti e i dilemmi morali che si creano in entrambi, riesce a farla sentire finalmente utile a una buona causa. E a trasmetterle continuamente un senso di positività e di speranza. Che finisce per contagiare anche lo spettatore, che senza gran fatica si affeziona a questo duo.
Qui entra in gioco anche l’humor inglese di Bill Nighy (Love Actually, Living), che regala al personaggio del ginecologo Patrick Steptoe un’ironia che ben si accompagna alla narrazione e alla caratterizzazione degli altri personaggi. È in grado, infatti, di smorzare quella seriosità e formalità che avrebbe potuto prevalere facilmente in un prodotto di questo genere, finendo per appesantirlo inutilmente.
Joy – The Birth Of IVF: l’unione fa la forza
Nel processo di ricerca svoltosi dal trio, arriva a ricoprire un ruolo fondamentale il cosiddetto “club dell’ovulo”: un gruppo di donne volontarie per gli esperimenti della ricerca. Mostrandosi solidali più che mai e rivolte a un obiettivo comune: dimostrare che la scienza può aprire nuove strade alla fecondazione.
Questa parte della storia rende senza dubbio più appassionante l’opera, nonostante sia proprio in questo momento specifico che viene fuori uno dei difetti maggiori del film. Si sente la mancanza di una caratterizzazione più profonda delle componenti di questo gruppo di donne che si sottopongono a tentativi di fecondazione. Soprattutto quando il film inizia a dare spazio a una di queste, lasciando presagire un maggiore sviluppo narrativo, questo non avviene. Ad esempio, a un certo punto esce fuori la tematica della violenza sulle donne, ma non viene affrontata a dovere. Lasciando così lo spettatore a bocca asciutta, con dei pezzi mancanti e con la voglia comprensibile di saperne di più.
Un discorso che si potrebbe estendere anche ad altri personaggi secondari (come l’infermiera Muriel), di cui sappiamo poco o niente, e che avrebbero sicuramente meritato più spazio. Tutte queste figure danno l’idea così di essere pedine di un ingranaggio narrativo solo apparentemente semplice.
Il trionfo della donna e della scienza
JOY – The birth of IVF è un film imperfetto, ma gradevole nel complesso, esaltato più dalla tematica trattata che dal linguaggio con il quale viene rappresentata. La forma in questo caso vince sulla sostanza, che in certi frangenti è troppo carente per un prodotto di questo raggio e di queste ambizioni. Il rimpianto è forse quello che riguarda il minutaggio, poichè a più riprese si sente la mancanza di respiro. In una storia che parla proprio di creare nuove vite. Lo scorrimento narrativo risulta talvolta piuttosto spezzettato e debole di approfondimento, considerato il materiale di partenza.
Tuttavia ciò che lascia soddisfatti a fine visione è la dolcezza e la tenerezza del finale, che lascia indubbiamente un buon sapore nell’animo dello spettatore, catturato fin dal principio dalla vulnerabilità empatica della protagonista, che lo guida molto efficacemente nel suo flusso emotivo, dall’inizio alla fine.
Ispirato a una storia vera, il film mette in luce in maniera coraggiosa il potere della donna e della scienza. Come il trionfo del progresso scientifico abbia cambiato per sempre l’umanità e come la donna possa essere fiera di aver contribuito in prima persona a questo sensazionale avvenimento.