“Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”, direbbe Nanni Moretti in Ecce Bombo. Difatti le candidature dei prossimi premi Oscar hanno lasciato più di qualche strascico misto a delusione. Ogni anno l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, in una manifestazione che resiste fin dal 1929, decreta quel film o quell’attrice/attore che merita di essere all’interno dell’olimpo del cinema. I pochi eletti che saranno per sempre nella storia degli Academy. Ma quella statuetta d’oro non è solo un oggetto materiale di un premio di un industria che premia se stessa.
È il riconoscimento di una carriera come è successo nelle varie edizioni a Christopher Nolan e Martin Scorsese. La vittoria dell’anomalia che entra nel circuito delle premiazioni come semplice testimonianza per poi stravincere la magica serata di Los Angeles (chiedere a Parasite e a Bong Joon-ho). E l’edizione del 2025, seppur inferiore all’anno scorso direzionata dal fenomeno Barbenheimer, ci dice tante cose; che il cinema d’autore è in salute con grandi opere come Anora di Sean Baker e The Brutalist di Brady Corbet; che il musical mai come quest’anno è il genere che va di più con il biopic su Bob Dylan, il prequel sul Mago di Oz, e il sorprendente Emilia Perez. Il blockbuster resiste seppur indebolito con Dune-Parte 2. Inoltre sia The Substance ed Emilia Perez tengono alta l’attenzione sull’inclusione.
Eppure qualcosa manca a questo Oscar. I film scartati sono opere sottovalutate, schiacciate dal peso del marketing dei film candidati. Esclusi per cui storcere il naso, per scandalizzarsi e a tratti rimanere increduli. Gli Oscar come ogni anno fanno felici alcuni e disattendono altri. E la lista delle esclusioni è lunga e molto interessante.
Civil War, la riflessione sull’America e Kirsten Dunst
Il film di Alex Garland ( 28 giorni dopo, Ex Machina) è stato incredibilmente snobbato dagli Oscar. Con un cast d’eccezione, tra cui Kristen Dunst, Cailee Spaeny e Jesse Plemons, è uno straordinario film sui reporter di guerra e un affresco sull’America sull’orlo di una guerra civile. Il suo eccessivo patriottismo nel pieno delle presidenziali americane ha forse contribuito a penalizzarlo. L’America dipinta da Garland è una sorta di Iraq 2.0 nel territorio Usa. Vive di spazio, di crudeltà e lotta per la sopravvivenza nel declino della politica e della democrazia. Civil War è una eterna guerra civile dove non ci sono buoni e cattivi, ma solo la ricerca dello scatto come documento della storia che accade nel momento in cui l’obbiettivo riprende.
Da ciò emerge la grande prova registica di Garland e della sua eroina tragica, la reporter interpretata da una grande Dunst. Che certamente avrebbe meritato la cinquina non avendo nulla in meno rispetto alle colleghe Demi Moore e Mikey Madison. Civil War è il progetto più ambizioso di A24 con un budget di 50 milioni di dollari in una perfetta commistione tra cinema di genere e d’autore. Con una fotografia e un montaggio per i quali avrebbe meritato molta più attenzione.
Kinds of Kindness e le varie versioni di Jesse Plemons
Non è stata forse la miglior scelta ripetere il successo di Poor Things con un film diviso in storie e più adatto ad uno schema seriale. Eppure il film di Yorgos Lanthimos si iscrive tra i migliori film del 2024. Jesse Plemons fa più ruoli: l’impiegato il cui libero arbitrio è sotto il controllo di Willem Dafoe, il poliziotto alle prese con il clone di sua moglie Emma Stone, l’adepto soggiogato da una setta in cerca del nuovo Messia. La candidatura di Plemons ai Golden Globe lasciava qualche speranza non rispettata in una categoria già abbastanza serrata vista la competizione praticamente a due tra Chalamet e Brody. Ma Kinds of Kindness è il Lanthimos che è ritornato ai livelli di Kinetta. Surrealista e lisergico fino alla pura esaltazione estetica, ponendo drammatici dilemmi sulla soggettività dell’individuo e sulla fede. In un Oscar giusto avrebbe meritato almeno le nomination per regia, attore protagonista e sceneggiatura.
Challengers o Zendaya femme fatale
Il grande escluso ad un passo dal sogno è indubbiamente Luca Guadagnino. Il regista italiano, ormai accettato a pieno titolo nell’industria hollywoodiana, attraverso una storia sul tennis ci parla di una dipendenza emotiva che parte dallo sport e arriva ad una battaglia dei sessi. L’incredulità dell’esclusione del film riguarda soprattutto Zendaya. Una grande prova quella della grande attrice americana, tutta incentrata sul tenere al guinzaglio due uomini, in un personaggio diverso rispetto a ciò che ci ha abituato. Una candidatura quasi certa ma svanita probabilmente nei minuti finali. Tra una soap-opera gestita come un action e un triangolo direttamente uscito dalla nouvelle vague anni sessanta, Challengers è la vera sorpresa tra le tante esclusioni di quest’anno. Un film che vive della musica calzante del compositore Trent Reznor e del verboso montaggio di Marco Costa. Due categorie in cui il film di Guadagnino meritava di esserci.
Giurato numero 2 , Eastwood al suo massimo
Un altro grande escluso è indubbiamente il vecchio leone della storia del cinema, Clint Eastwood per il suo Giurato numero 2. Il cineasta americano qui è in grande spolvero in un thriller giudiziario sulla colpa e il senso di giustizia. Il cinema di Eastwood anche qui è diviso tra chi ha ragione e chi torto, chi fa la cosa giusta e chi evita di farla. E Giurato numero 2 sorprende per come il vecchio leone tiene insieme una tessitura ben salda grazie allo stupendo montaggio alternato, con una tensione che scalpita per tutto il film. Non sempre la giustizia è verità e la verità è giustizia. Una disarmante rappresentazione della legge e dei valori americani. Ed è per tutto questo che il film politico di Clint Eastwood è la grande assenza ai premi Oscar 2025.
Vermiglio e Parthenope
Dopo una grande scalata si ferma la corsa del piccolo film di Maura Delpero e dell’Italia candidato dall’ANICA come film internazionale. Il suo posto è stato preso dall’inaspettato film d’animazione Flow e anche per questo la sua esclusione ha quel sapore dolce e amaro di chi vede il traguardo e non riesce ad oltrepassarlo. Un film di Ettore Scola ma al femminile in un piccolo villaggio del Trentino dove l’istruzione è sempre in bilico tra tradizione ed emancipazione. Anche se non si può parlare di esclusione, subito sparito dai radar di previsioni e short list, anche il film di Paolo Sorrentino Parthenope meritava qualche valutazione in più. L’opera distribuita in America da A24 con un’emergente Celeste Dalla Porta e il premio Oscar Gary Oldman, è la prima volta di Sorrentino con un personaggio femminile. C’è tutto il suo mondo di metafore e maschere in un perenne gioco tra grottesco e ritualità. Un’opera che meglio di The Substance riesce a darci le contraddizioni della bellezza eterna, sfidandosi continuamente tra fasi temporali e porzioni di irrealtà.
Nicole Kidman, Denzel Washington e gli altri
Quando uscì il Gladiatore 2 la candidatura di Washington sembrava non solo quella più certa ma anche con più chance di vittoria. Il suo Macrino parte come mentore per poi diventare la vera nemesi di Paul Mescal, il protagonista del film. Evidentemente qualcosa non ha funzionato e parte della colpa è quasi probabilmente ascrivibile ad una performance sopra le righe. Ma le esclusioni più illustri sono di due grandi attrici. Angelina Jolie e Nicole Kidman. Nella sua Maria Callas nel biopic Maria di Pablo Larrain, la Jolie incanta negli ultimi giorni di vita della grande lirica, in una condizione in cui non riesce a distinguere la sua voce dalla realtà; un’interpretazione che avrebbe meritato certamente la candidatura.
Dopo aver vinto la Coppa Volpi al festival di Venezia, Nicole Kidman con il suo Babygirl sembrava lanciatissima. Una manager tra possesso e trasgressione erotica che strizza l’occhio al capolavoro di Stanley Kubrick Eyes Wide Shut. Come del resto, sulla scia delle ex popcorn girl– come direbbe Demi Moore – e sicura della candidatura, era anche Pamela Anderson nel film d’esordio di Gia Coppola The Last Showgirl. Similarmente a Mickey Rourke in The Wrestler di Aronofky, la Anderson si mette completamente a nudo interpretando una showgirl in declino decisa a riprendersi la sua vita e ricucire il rapporto con la figlia. Un’amarezza per la mancata nomination confermata dell’ex playmate:
“Questo film significa molto per me, e sono orgogliosa del lavoro che abbiamo fatto. Non si tratta solo dei premi, si tratta di raccontare una storia che tocca le persone”.
Quindi tornando alla celebre frase morettiana, si nota più chi non c’è rispetto a chi ha la fortuna di esserci. L’Oscar come ogni anno ha fatto il suo corso e maggiormente in questa edizione si notano gli esclusi che non ci saranno.