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‘Taxi!’: guida a 8 tassisti del cinema e ai loro film

"A ogni autista il suo passeggero" è il go-to per qualunque taxista incallito. Quando il mezzo e il suo guidatore diventano protagonisti di una storia, il cinema li racconta così... Ecco 8 film che li hanno resi famosi

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7 film sui taxi, tra Stati Uniti, Europa e Oriente. Tutti con un comun denominatore. Cosa possono vedere gli occhi di un tassista?

La rassegna è dedicata al cinema che prende vita tra le strade di New York, Parigi, Seul, e a coloro che ne percorrono l’asfalto alla ricerca di segreti profondi o di verità mal celate. Questi sono i tassisti di notte, di giorno, di tutte le ore; e questi sono alcuni dei film che li hanno raccontati.

Per le vie di Parigi

Francia, Parigi, 1933, è la festa nazionale del 14 luglio. Anche il film, di René Clair, si ambienta lì, e in quella data un tassista, Jean (George Rigaud), incontra il suo primo passeggero, Anna (Annabella). Inizia così la loro storia d’amore, fatta di alti e bassi alacri, e che si snoda tra le strette vie di una Parigi dipinta – nella scenografia e nell’immagine – secondo i suoi aspetti più genuini. Nel tipico stile registico di Clair e quello direttivo dello scenografo Lazare Meerson, Per le vie di Parigi (Quatorze juillet) è un applauso alla patria del cinématographe Lumière, al suo clima e alle sue canzoni.

Diretto dopo A me la libertà (À nous la liberté, 1931) e Sotto i tetti di Parigi (Sous les toits de Paris, 1930), è la rappresentazione completa della Francia all’indomani del sonoro. E non dimentica di un certo gusto per l’assurdo derivato anche dai lavori precedenti di Clair (Un cappello di paglia di Firenze, 1927; e Entr’acte, 1924, direttamente avanguardista nel suo sano richiamo a una “logica” Dada).

René Clair, con la cinepresa, riprende la sua Parigi con una volteggiante piroetta, che si ferma sui visi e sulle coscienze dei protagonisti rivelando la loro più profonda umanità, in un’onda di creatività crescente.

Se interessati a un approfondimento sul cinema francese di ieri e di oggi, vi invitiamo a leggere l’articolo dedicato  su TaxiDrivers.

Taxisti di notte

7 film sui taxi, tra Stati Uniti, Europa e Oriente. Tutti con un comun denominatore. Cosa possono vedere gli occhi di un tassista?

Fotogramma del film “Taxisti di notte” (1991)

Il regista statunitense Jim Jarmusch, dopo il successo di critica ottenuto con il primo film Mistery Train (1989), ritorna due anni più tardi con un secondo. Come in Mistery Train, nel quale più personalità, di idiomi e culture differenti, si scontravano e si incontravano a Memphis, in Taxisti di notte (1991) sono cinque gli episodi e sono tutti parlati in diverso accento. Il comun denominatore, in questo caso, non è più una città del Tennessee. Bensì, come da titolo, i taxi. O almeno, cinque di questi.

La storia inizialmente si situa di notte a Los Angeles (con Winona Ryder e Gena Rowlands) e finisce, al nuovo sorgere del sole, a Helsinki (con Matti Pellonpää, Kari Väänänen, Sakari Kuosmanen, Tomi Salmela). Nel mezzo, si passa per la frenetica New York (l’episodio di Giancarlo Esposito e Armin Mueller-Stahl), la trafficata Parigi (Isaach De Bankolé e Béatrice Dalle) e la bella e passionale Roma (con Roberto Benigni e Paolo Bonacelli).

Spunti di inventiva derivano dall’uso che il film fa del suo tempo, dalla musica di Tom Waits e dalle personalità degli autisti di taxi. Da un istrionico Benigni, a Winona Ryder e la sua controparte, Gena Rowlands, che sembrano fare avanti e indietro per le strade come fantasmi non appartenenti a questo mondo.

Per un approfondimento sul film Taxisti di notte, vi consigliamo di leggerne la recensione integrale su TaxiDrivers.

Collateral

7 film sui taxi, tra Stati Uniti, Europa e Oriente. Tutti con un comun denominatore. Cosa possono vedere gli occhi di un tassista?

Dal film “Collateral” (2004)

Nel 2004, un tassista (Jamie Foxx) diventa complice di un crimine. O meglio, di cinque. A bordo del suo taxi, infatti, un uomo (Tom Cruise), che si rivelerà in seguito essere un sicario, gli offre 700 dollari come spesa minima per farsi portare da una parte all’altra di Los Angeles. Collateral (2004) è un film di Michael Mann (Heat – la sfida, 1995; L’ultimo dei Mohicani, 1992; Ferrari, 2023), regista per eccellenza del cinema d’azione, e che nella propria filmografia annovera star del calibro di Al Pacino e Robert De Niro (quest’ultimo fu provinato per il ruolo di Max Durocher, il tassista interpretato da Foxx).

Il ritmo frenetico e la violenta energia che scaturiscono dalla città calata nella notte sono i veri protagonisti della storia. E ben si sposano con la voracità di due personaggi diretti su strade diverse ma parallele tra loro.

Per un approfondimento sui film di Michael Mann, l’articolo su TaxiDrivers.

A Taxi Driver

A Taxi Driver

Fotogramma dal film A Taxi Driver

Da Los Angeles, prendendo l’aereo e impiegando circa una giornata, si atterra a Seul, Corea del Sud. Qui si incontra un tassista, Kim Man-seob (Song Kang-ho), che guida solo a Seul e lo fa negli anni ’80, durante la dura contestazione universitaria di Gwangju accesasi in rivolta contro la dittatura al potere. In una raggelante descrizione dei crimini commessi dall’esercito del regime nel sedare la rivolta, e un’attenta denuncia della soppressione delle idee e del diritto/dovere all’informazione, A Taxi Driver (2017) di Jang Hoon (Rough Cut, 2008; The front line, 2011; Secret Reunion, 2010) esplora un Paese senza lasciare nulla al caso.

La macchina da presa di Jürgen Hinzpeter (Thomas Kretschmann), il giornalista co-protagonista inviato dalla Germania occidentale, ricalca il percorso di documentazione obiettiva che anche il regista, forse a tratti ingenuamente, segue, al fine di ricreare un contesto e dei personaggi. Questi sono, dalla vita vera, ripresi con delicatezza e sensibilità, mostrati mentre attraversano un limbo tra spensieratezza e perdita morale.

A Taxi Driver, pur raccontando solo metà della storia del massacro di Gwanju, ne coglie in realtà i risvolti più sintomatici: strascichi di un’epoca, di un Paese e di un popolo rivivono attraverso gli occhi della pellicola, che ridà loro la speranza– ma solo la speranza – di un riscatto futuro.

Qui la recensione per TaxiDrivers.

Taxi Driver

7 film sui taxi, tra Stati Uniti, Europa e Oriente. Tutti con un comun denominatore. Cosa possono vedere gli occhi di un tassista?

Capolavoro indiscusso di Martin Scorsese, Taxi Driver (1976) racconta la storia di una solitudine che ne incontra un’altra, e un’altra ancora, fino a perdere se stessa su strade conosciute e rilievi di città notturne. Senza averlo visto, resta celebre la frase detta davanti allo specchio dal protagonista, Trevis Bickle (Robert De Niro), agli esordi di un attacco di quel folle “senso di giustizia” che lo caratterizzerà per tutto il resto del film. “You talkin’ to me?“, detto con l’enfasi di un pazzo che deve ancora rivelarsi tale, apre un immaginario ampio di cui è difficile trovare l’inizio (o la fine).it.wikipedia.org/wiki/Martin_Scorsese

Bickle è un tassista, e questa forse è la cosa più normale che di lui si conosce. L’opera eccellente di Scorsese, targata post guerra del Vietnam, nella sua focosa descrizione di un mondo privo di aspettative non risparmia nemmeno il protagonista. Questi, ex-marine e vittima più che complice della violenza che costringe la New York degli anni ’70, riassume in sé il senso di alienazione e di sconforto che, all’indomani della conquista di Saigon, approdano negli Stati Uniti.

Volenteroso di diventare un “paladino” schierato contro coloro che ospita a bordo del suo taxi, il personaggio di De Niro si trova invece a venire corrotto da quella stessa feccia che vorrebbe eliminare e che lo conduce irrimediabilmente a scoperchiare gli oscuri impulsi del suo cuore.

Qui trovate la recensione completa.

Il quinto elemento

Fotogramma del film “Il quinto elemento” (1997)

Tra la guerra del Vietnam e Il quinto elemento intercorrono circa 300 anni di storia. In una realtà ambientata nel 2263, Korben Dallas (Bruce Willis) è un tassista che viaggia sul suo taxi volante a più di mille metri da terra. Altissimi palazzi che si estendono ai lati di strade senza asfalto, insegne luminose e computer fantascientifici, sono gli elementi che arricchiscono, riempiendola quasi per horror vacui, l’inquadratura.

In realtà, la storia inizia molti anni prima, quando, agli albori della Prima Guerra Mondiale, forme di vita robotiche extra-terrestri arrivano sulla Terra promettendo di salvarne le sorti contro il “Male Supremo”, che sarà pronto a colpire trecento anni più tardi. Il quinto elemento (Le cinquième élément) di Luc Besson, 1997, non si scosta di molto dal genere sci-fi che gli è proprio, senza perciò arrivare a formulare meccaniche narrative originali. Se non altro, è un film che nella sua grande spettacolarità e mise-en-scène architettonica restituisce scenari e mondi con magniloquenza emotiva e fasti futuristici.

Il tassinaro

7 film sui taxi, tra Stati Uniti, Europa e Oriente. Tutti con un comun denominatore. Cosa possono vedere gli occhi di un tassista?

Fotogramma del film “Il tassinaro” (1983)

Dopo aver passato il continente americano, la Corea e la Francia di Clair e Besson, si arriva in Italia. La grande tradizione di commedie all’italiana vede, tra i suoi tanti volti, quello di Alberto Sordi, iconico personaggio e voce riconoscibile di molti capolavori della cinematografia nostrana. A questo proposito, come penultimo titolo di questa rassegna di film, vi proponiamo Sordi nel ruolo di Pietro ne Il tassinaro (1983), di cui fu anche regista, oltre che brillante interprete.

Giulio Andreotti, Presidente del Consiglio di fascia democristiana, sale su un falso taxi guidato dal “tassinaro” Sordi, a Roma. Inizia, così, una surreale vicenda, costruita su dialoghi elogiativi dell’autista alla squadra calcistica che porta il nome della Capitale e altri di simil monologo in cui Sordi spiega le proprie afflizioni di padre amorevole. “Poi uno dice che ammazza il figlio!“, esclama con indignazione mentre lamenta la scarsa capacità di giudizio del figliolo, laureando in ingegneria eppure desideroso di seguire l’esempio di carriera del papà. Un episodio che sembra estrapolato da un’intervista di un forum politico televisivo, regala, grazie all’immancabile vena ironica di Alberto Sordi, un momento di pura e vivace surrealtà.

Di momenti come questo Il tassinaro è pieno. Basti menzionare, in ultimo, la scena dei due americani del Texas ai quali viene offerto, nel mentre che viaggiano sul taxi di Sordi, un giro turistico della città con l’autista a far loro da cicerone. In un inglese maccheronico o del tutto inesatto, ai due passeggeri vengono indicate e mostrate le bellezze di Roma, fino a quando non si scopre che i due sono originari di Dallas. Al sentire quel nome, Sordi tira un “daje” in preda allo sconforto: la sua famiglia è ossessionata dalla nota serie televisiva, che porta lo stesso nome della città texana, rendendola a lui insopportabile. Nasce allora l’equivoco, che genera a sua volta una situazione paradossale e di forte e impietoso umorismo, che si trascina per circa cinque minuti di pellicola.

Una notte a New York

Dal film “Una notte a New York” (2024)

New York è la città metropolitana dipinta dal nero della notte e dal giallo dei taxi che la attraversano. Ma è anche una città piena di segreti, di idee e di persone nascoste dall’ombra – o dal riflesso di un finestrino. Così in Una notte a New York (Daddio, 2024) di Christy Hall, Clark (Sean Penn), tassista incallito e alla mano, si propone al suo passeggero, una giovane donna interpretata da una radiosa Dakota Johnson.

Una conversazione che prende una piega inaspettata, si tramuta in un confessionale, in un piccolo angolo di mondo nel quale due anime si devono e si vogliono incontrare. Per induzione o per deduzione, i dialoghi offrono pezzo per pezzo una storia allo spettatore, che non sa dove andranno a parare ma che se li gode fino in fondo. Nella nevrotica New York, il tempo sembra dunque fermarsi. La macchina da presa indaga i dettagli, includendoli casualmente nelle sue inquadrature, dilatando gli spazi immateriali del pensiero.

Qui potete leggere la recensione completa.

Tassisti fuori orario

Il cinema non si limita a renderli dei protagonisti. Essi, infatti, popolano i secondi piani di molta filmografia, accompagnano le storie dei personaggi principali e scambiano battute con questi, riuscendo spesso a non accontentarsi di un: “Dove posso portarla?“. Così è per la tassista che trascina a spasso Cleo e la sua amica tra le vetrine e i café di Parigi in Cleo dalle 5 alle 7 (Cléo de 5 à 7, 1962) di Agnès Varda.

Spesso, d’altra parte, i taxi fungono da puri e semplici mezzi di trasporto. Vengono usati, ad esempio, per attraversare una grande rotatoria in centro a Milano e raggiungere così l’altro lato del marciapiede – arrivando a costare la bellezza di 10 000 lire! – (l’iconica scena è ripresa dal film Il ragazzo di campagna, 1984, della coppia di registi Castellano e Pipolo). O ancora, sono vincoli silenziosi che legano più mondi “terreni” tra loro come in Eyes wide shut (1999) di Stanley Kubrick.

Infine, essi possono diventare espedienti che rendono facile una fuga o, meglio ancora, un inseguimento. Emblematiche in questo senso la scena in Arabesque (1966, Stanley Donen) con Gregory Peck e Sophia Loren a fare da protagonisti. E quella ne Il mistero del cadavere scomparso (Dead men don’t wear plaid, 1982) di Carl Reiner. Qui un lungimirante Steve Martin in bianco e nero, per non farsi acciuffare da chi pensa lo stia seguendo, paga la corsa di un taxi senza salirvi e prendendone un secondo griderà all’autista: “Insegua quel taxi!“. Tanto, era già pagato!

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