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Trieste Film Festival

“A Year in the Life of a Country”, un anno cruciale nella storia polacca

La “magnifica ossessione” del documentarista Tomasz Wolski, in concorso al Trieste Film Festival, per le contraddizioni, le tare e gli eccessi della Polonia comunista

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Tomasz Wolski e Trieste: un rapporto di lunga data

Non è certo la prima volta che le brillanti opere del documentarista polacco Tomasz Wolski fanno capolino al Trieste Film Festival. E con esse un modo arguto e lucidissimo di guardare a quegli snodi cruciali, che hanno caratterizzato il tramonto del regime comunista in Polonia.
Ciò che di tale cineasta sorprende è la capacità di trovare ogni volta, per il proprio lavoro, una soluzione formale idonea e al contempo anche di rottura, ovvero provocatoria tanto stilisticamente che nell’approccio ai singoli temi. Il pensiero corre naturalmente a 1970. Presentato al 33° Trieste Film Festival e perciò nel 2022, questo stupefacente documentario prendeva forma sullo schermo attraverso l’apparizione di generali, funzionari e uomini di partito realizzati in plastilina, plasmati cioè in modo da essere straordinariamente simili a personalità politiche dell’epoca e ad altri personaggi reali; animati, poi, tramite la stop motion e fatti così “risorgere” dal passato ignominioso cui erano relegati.
A ben vedere non vi erano soltanto ingegnose ed estremamente creative scelte formali, tra i presupposti che hanno portato alla realizzazione di 1970 da parte di Tomasz Wolski, documentarista che rappresenta già da un po’ una delle voci più rilevanti del cinema polacco contemporaneo. Nel caso specifico a innescare il processo produttivo è stato il ritrovamento di registrazioni audio appartenenti ai più importanti funzionari governativi, intenti a pianificare la repressione delle agitazioni scoppiate, per l’appunto, durante il fatidico 1970, tra gli operai di Danzica o di altri cantieri navali dislocati lungo la costa, ed allargatesi ben presto ad altri settori della società civile. Tali registrazioni si configurano innanzitutto quali testimonianze accurate del cinismo e del profondo distacco emotivo, da parte dei guardiani del cosiddetto “socialismo reale”, nei confronti di quella stessa classe operaia dei cui presunti interessi e valori si consideravano, ipocritamente, i portavoce.

Un anno vissuto pericolosamente

Altro giro, altra corsa. Nel concorso documentari del 36° Trieste Film Festival vi è un nuovo film di Tomasz Wolski, A Year in the Life of a Country (Rok z życia kraju, 2024), la cui proiezione pubblica è in programma oggi 21 gennaio 2025 alle ore 18, presso il Cinema Ambasciatori. Anche qui ad accendere la miccia è una fase cruciale della storia polacca più o o meno recente: il 1981, per essere più precisi il 13 dicembre 1981, data spartiacque, data segnante in quanto vide il Generale Jaruzelski annunciare alla TV l’entrata in vigore della legge marziale, che sarebbe durata poi circa un anno. Tutto ciò allo scopo di domare l’ondata di proteste che aveva attraversato il paese e che aveva il suo cardine negli scioperi proclamati da Lech Wałęsa e dalla prima organizzazione sindacale indipendente del blocco sovietico, Solidarność, in risposta a una galoppante crisi economica cui i vertici della Polonia comunista avevano reagito con sprezzante noncuranza.
Nel corso del documentario, costruito dall’autore facendo dialogare tra loro i più disparati materiali d’archivio, in bianco e nero o a colori, assistiamo a quel convulso susseguirsi di eventi da molteplici prospettive. Osserviamo cioè più o meno in ordine cronologico le proteste di massa organizzate da Solidarność, la preoccupazione degli organi di partito riguardo a una possibile guerra civile, il tetro discorso di Wojciech Jaruzelski alla televisione, la brutale repressione della società civile da parte delle forze armate, le interviste (più o meno spontanee, per non dire dalla chiara impronta propagandistica) a persone comuni apparentemente d’accordo con la mano pesante del regime, il riemergere dello scontento popolare, la scarcerazione degli stessi membri di Solidarność precedentemente arrestati e l’ammissione di uno sconsolato Jaruzelski della sostanziale impossibilità di portare avanti la linea dura, continuando così a sottrarsi a un dialogo con le forze d’opposizione non più procrastinabile. Ma come vediamo tutto questo, nel film?

Il montaggio quale guida dell’analisi storica

Come abbiamo già appreso da 1970, volendo anche dal precedente An Ordinary Country, le scelte stilistiche di Tomasz Wolski non sono mai scontate, né tantomeno “neutre”. Giacché il suo è un cinema d’impegno civile che non fa certo sconti alle nefandezze del passato regime. Se in 1970 il timbro era dato dall’animazione in stop motion dei pupazzi di plastilina, trovata tanto funzionale sul piano diegetico quanto capace di sprigionare un potenziale satirico dichiarato, in A Year in the Life of a Country la chiave di lettura più importante è rappresentata decisamente dal montaggio.
L’accostamento dei materiali così vari presenti nel film è un continuo generatore di senso. Altra costante dell’operazione è una sotterranea ironia, rivolta naturalmente alla grigia immobilità del regime comunista e ai suoi metodi tanto ottusi quanto brutali. La matrice più lontana di tale poetica può coincidere, ovvio, con la ricerca delle avanguardie russe sul montaggio stesso: “montaggio analogico” et similia. Ma, in modo un po’ irriverente, ci piace accostare anche l’approccio di Wolski a quello portato avanti per anni in Italia dai curatori di Blob, il geniale programma televisivo ideato da Angelo Guglielmi, dirigente storico di Rai 3, assieme al gruppo di critici cinematografici capitanato da Enrico Ghezzi e Marco Giusti. Certi sferzanti meccanismi attuati in A Year in the Life of a Country lo ricordano alquanto. Soprattutto verso la fine, quando un ormai imbambolato Jaruzelski sembra dover rispondere della sua grettezza in un immaginifico, iperbolico campo e controcampo, quasi come se il Cinema ne avesse definitivamente messo a nudo la pochezza di fronte al tribunale della Storia.

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