Triestinità sul grande schermo
Per esperienza, un sapore particolare hanno sempre al Trieste Film Festival quelle proiezioni e quegli eventi speciali, il cui legame con la cultura locale è forte. Quando, cioè, la “triestinità” sale in primo piano. E difatti la presentazione di C’era un comico di nome Cecchelin, avvenuta sabato scorso al Teatro Miela, è stata accolta con un entusiasmo tale che chi vi scrive ha persino rischiato di non trovare posto in sala. Per fortuna si è riusciti ad agguantare una delle ultime poltroncine a disposizione. Ciò ci ha permesso di scoprire, grazie alla brillante e sfaccettata ricerca documentaria di Alessio Bozzer (già sugli scudi nel 2017, al festival giuliano, col suo Trieste, Jugoslavia), una figura che da molti è stata paragonata a Petrolini per quanto concerne la scena comica della Capitale e a Totò per quanto riguarda Napoli. Fama meritata? Certo. E ci azzardiamo semmai ad affermare che di Angelo Cecchelin, se si considerano sia il carattere irriverente, popolare e graffiante della sua comicità, sia certi trascorsi biografici, si parla oggigiorno fin troppo poco.
Angelo Cecchelin e il Potere
Lasciamo però la parola ad Alessio Bozzer, il regista: “Ho ricostruito la sua vita, la sua professione e le sue vicende, ho letto gli scritti su di lui e quelli autobiografici che ha lasciato. Ne è emersa una figura davvero sfaccettata. Un uomo triste (come dice suo figlio Guido ‘triste come tutti i comici’), assolutamente geniale e vulcanico, allergico a qualsiasi forma di potere costituito. Un personaggio perfetto a cui dedicare un film.”
Ecco, “allergico a qualsiasi forma di potere costituito”. Zigzagando tra immancabili “carèghe” sullo sfondo, travestimenti degni di un Arturo Brachetti ante litteram e pose da “petesèr” o ubriacone in libera uscita, col dialetto a fare da minimo comun denominatore, l’artista fece sì che nel suo concepire avanspettacolo e canzonette risaltasse sempre la volontà, indubbiamente meritoria, di stare dalla parte del popolo e di scagliarsi contro tutte le forme di potere succedutesi a Trieste nel corso di svariati anni. Prima la presenza Asburgica. Poi l’ingresso nel Regno d’Italia col Ventennio fascista a seguire. Ma anche, volendo, i nuovi padroni della città, ovvero nell’immediato Dopoguerra prima i Titini e successivamente il comando Alleato. Memorabile, nel documentario, il momento in cui si ricorda un suo sketch che, senza bisogno di grossi cambiamenti, riuscì a mandare su tutte le furie in ordine cronologico i Fascisti, gli occupanti venuti dalla Jugoslavia e persino gli Angloamericani. Senza contare, naturalmente, quelle battute anticlericali che gli posero contro a volte anche la Chiesa.
E tutto ciò non senza conseguenze: diffide, accuse pesanti, arresti, più o meno lunghi periodi di detenzione hanno costellato tutto il percorso di un versatile uomo di spettacolo, che non si è mai assoggettato al potere, prendendosene semmai beffe con ingegno e arguzia.
Testimonianze, omaggi e ricordi vari
In C’era un comico di nome Cecchelin, documentario inebriante come quel vino che fa capolino spesso e volentieri nell’articolata narrazione, Alessio Bozzer ha saputo restituirci il peso specifico e i tratti distintivi del personaggio da una molteplicità di angolazioni, attingendo a un materiale di repertorio (soprattutto fotografico) di prim’ordine nonché alle testimonianze d’archivio di personaggi come Giorgio Strehler o Tullio Kezich. Una lunga lista di “epigoni” o di semplici ammiratori cui più di recente si è aggiunto, accomunato anche dalla medesima volontà di irridere i potenti sul palco, il comico Paolo Rossi.
Ed è infine ad alcuni alfieri della comicità triestina contemporanea che nel film è stato assegnato il compito di ricordarlo, attraverso siparietti tendenti alla “fiction” o d’impronta teatrale dal godibilissimo timbro situazionista; fraseggi, questi, che arricchiscono e puntellano la storyline dell’opera, rendendo tale documentario non soltanto ricco di aneddoti, ma anche parecchio divertente e piacevole da seguire.