In Sala
‘Il mio giardino persiano’ Poesia, malinconia e coraggiosa denuncia politica
Finalmente al cinema, il film di Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha
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4 settimane agoon
É al cinema Il mio giardino persiano, dei coraggiosissimi registi e sceneggiatori iraniani, Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha. Il film, con il titolo internazionale My favourite cake, è stato presentato al Festival di Berlino nel 2023. Moghaddam e Sanaeeha non erano presenti, perché le autorità hanno ritirato loro i passaporti. A niente sono serviti gli appelli del festival che avrebbe voluto la loro presenza per la premier internazionale. Questa la loro dichiarazione:
“Abbiamo deciso di accettare le conseguenze della nostra scelta di dipingere un quadro realistico delle donne iraniane. Ci sentiamo come genitori a cui è proibito guardare il loro bambino appena nato. Oggi non ci è stato permesso di goderci la visione del film insieme a voi. Siamo tristi e stanchi, ma non siamo soli”.
A mano a mano che il film raggiunge le sale internazionali, e ora tocca a quelle italiane, Moghaddam e Behtash Sanaeeha sono sempre meno soli.
Film apprezzabilissimo, per la resa estetica, la densità dei contenuti e per la sfida a una politica sempre più ottusa.
Il mio giardino persiano. Trailer
Il mio giardino persiano La trama ufficiale del film
Un pomeriggio, dopo un pranzo con le amiche, Mahin decide di rompere la sua routine solitaria e di riaprirsi all’amore. Un incontro inaspettato si trasformerà in una serata indimenticabile e il desiderio, almeno per una notte, avrà la meglio sulle regole della vita e sulle leggi del regime iraniano.
Il mio giardino persiano Il titolo italiano
Una volta tanto la traduzione italiana del titolo rende bene un elemento fondamentale del film. Il giardino è l’ambientazione privilegiata del magico incontro tra i due anziani protagonisti. La città di Teheran e tutta la società iraniana sono lontane; il giardino si fa luogo segreto (come segreta è stata in buona parte la realizzazione del film), che le brutture politiche non possono contaminare. Spazio sacro, di consolazione per lei, finalmente condiviso con quell’uomo appena conosciuto, che nel giro di poche ore diventa amico, confidente e, chissà, forse anche amante. Spazio altamente evocativo e simbolico per la narrazione. Il titolo è accompagnato dagli aggettivi mio e persiano, a sottolineare il punto di vista del racconto, che è sempre quello di Mahin, e la collocazione iraniana, molto più di un semplice sfondo.
My favourite cake Il titolo internazionale
Anche la torta del titolo internazionale è però carica di significati. È quella che Mahin prepara in solitudine per darsi un po’ di dolcezza e che ora viene offerta a lui, come gli odori che sono nel giardino. Faramaz è invitato a godere dei profumi, dei sapori (il cibo e il vino proibito, che lui gusta dopo anni di privazione), e della complicità che comprende anche la promessa del corpo: questa con un po’ di pudore, ma neanche troppo.
Come mi sono divertita! Dice Mahin (Lily Farhadpour) nella parte più intensa della narrazione, dopo aver ballato con Faramarz (Esmail Mehrabi), sulla musica di una conosciuta canzone iraniana di Fereydoun Farrokhzad. E dopo aver sperimentato l’intimità, non ancora nella fusione dei corpi (un sogno che può sembrare incredibilmente possibile), ma nell’abbandono della danza.
Il mio giardino segreto
Il personaggio di Mahin
Buona parte del film, prima dell’incontro con Faramar, è dedicata alla costruzione del personaggio di Mahin, una donna ripresa nella sua triste quotidianità, mentre si trascina fuori di casa per fare la spesa, portando faticosamente con sé il peso del corpo e dell’anima. E della solitudine.
In sala si avverte l’inizio di una risata trattenuta quando Mahin si presenta imbellettata, con i suoi vestitucci frou frou indossati per onorare l’ospite, con un’inattesa civetteria. È proprio l’avvertimento del contrario di cui parlava Pirandello, quel contrasto che si fa comico nella sua stravaganza. Quando però subentra la compassione, quando si comprendono le ragioni profonde del comportamento, in questo caso di Mahin, la sensazione del contrario segna il passaggio dalla comicità all’umorismo.
Foto ufficiale del film
Per questo personaggio femminile, descritto meticolosamente, l’empatia precede le scene che la vedono con un trucco pesante e le sue mise che sarebbero improponibili, insieme al suo atteggiarsi teneramente seduttivo, se non avessimo già condiviso con lei la sofferenza, tutta femminile, la solitudine, e i ricordi della libertà, negata ormai da troppo tempo.
“Nel film focalizziamo la nostra attenzione sulla figura delle donne, la solitudine, la vecchiaia e sull’assurdità della vita”. Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha
Mahin è sempre al centro della scena, con efficacissime inquadrature simmetriche e movimenti lentissimi: niente che possa distrarre dal suo coinvolgente mondo interiore.
La denuncia politica di questa storia privata
La nostra Mahin non è solo una donna che riscopre la femminilità e il desiderio. Ma una persona che sa opporsi alle angherie di un potere assurdo, sposando il pensiero dissidente dei suoi autori.
Per anni, le donne iraniane hanno dovuto confrontarsi con leggi ingiuste come l’obbligo di indossare l’hijab e la mancanza di pari diritti. Le relazioni con il sesso opposto vengono osservate al microscopio in tutte le situazioni. Queste condizioni diventano ancora più complesse quando una donna decide di vivere da sola, come nel caso della nostra protagonista. Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha
Ballad of a white cow
Nel loro intensissimo film, Ballad of a cow (2021), presentato a Berlino due anni prima di The favourite cake, i due registi hanno già raccontato la storia di una vedova iraniana, Mina (la stessa regista Maryam Moghaddam), che si ribella con tutta se stessa al potere politico, e non si rassegna alla perdita del marito, giustiziato per un crimine che non ha commesso. Con tutta se stessa, porta avanti una battaglia contro le istituzioni che vorrebbero il suo silenzio in cambio di un misero risarcimento materiale.
‘Ballad of a White Cow’ il cinema iraniano alla Berlinale – Taxidrivers.it
La madre di Mina le consiglia di fare come fanno tutti: “Alcuni bevono, altri si drogano, altri ancora come me guardano serie tv”.
L’impegno del cinema iraniano
Mahin guarda le serie tv e si commuove davanti alle scene d’amore, ma è spavalda nell’affrontare la polizia morale, più volte nominata nel film e resa in azione con tutta la sua arroganza. La concessione della serata di libertà con il nuovo amico, unico uomo nella sua vita dopo trent’anni, è anche la sfida a tutte le brutture imposte dal regime.
La scena in cui Mahin affronta la polizia morale. Foto ufficiale del film
Nel racconto di una storia privata, Il mio giardino persiano è così un film militante. Un piccolo film, ma dal respiro molto più ampio, come le altre storie raccontate dal cinema iraniano, che vanta autori come Jafar Panahi, Zar Amir Ebrahimi e Mohammad Rasoulof.
Siamo in attesa dell’ultimo film di Rasoulof, Il seme del fico sacro. Rasoulof ha vinto l’Orso d’Oro di Berlino (2020) con Il male non esiste. Arrestato quattro giorni dopo in Iran, rilasciato l’anno dopo per un amnistia e condannato di nuovo nel 2024, decide di fuggire per l’Europa. Di Panahi conosciamo tutti le difficoltà e l’arresto. L’attrice e regista Zar Amir Ebrahimi (Tatami), da parte sua, continua a sostenere la causa delle donne iraniane.
Il mio giardino segreto è distribuito in Italia da Academy Two.