Ungheria in primo piano
La kermesse cinematografica triestina sa essere molto accogliente, anche nei confronti dei giovanissimi. O magari di quegli adulti che non hanno mai smesso di sognare. E così anche il 36° Trieste Film Festival si sta rapportando brillantemente a tale tradizione. Nello spazio ribattezzato non a caso TSFF dei piccoli quest’anno è di scena l’Ungheria, con una interessante, vivace selezione di cortometraggi animati ivi realizzati nel Dopoguerra, sebbene la storia del cinema d’animazione ungherese inizi addirittura nel 1914.
Questa florida tradizione, presa nella sua dimensione più popolare e soprattutto seriale, non ci era poi del tutto ignota, se si considera che una fortunata serie come La famiglia Mezil venne trasmessa anche in Italia, addirittura sulla Rai (un’operazione stile Goldrake, potremmo dire), nei primi anni ’80. E noialtri serbiamo in effetti una seppur vaga memoria di questo bizzarro cartone animato con la sua cornice fantascientifica.
Una selezione varia e di notevole qualità
Tra poco faremo ritorno allegramente nello Spazio. Ma intanto ci fa piacere sottolineare come suddetta sezione, allestita con la collaborazione del National Film Institute Hungary – Film Archive, si stia dipanando a Trieste attraverso una sfilza assai varia di proposte e di appuntamenti. Da parte nostra vi abbiamo preso contatto venerdì 17 gennaio, quando al Teatro Miela sono stati proiettati alcuni episodi del futuristico Le avventure intergalattiche di Peter e i suoi amici. Sabato 18 gennaio è stato il turno di un altro mini-programma ribattezzato “Magie ungheresi in stop motion”, a riprova di quanto anche questa tecnica sia stata sfruttata, nel tempo, dai così visionari, creativi ed esperti animatori magiari. Mentre domenica 19 gennaio cioè oggi sarà il turno dei “Racconti animati dall’Ungheria: Gustavus e altri mondi”.
Torniamo però a Le avventure intergalattiche di Peter e i suoi amici, che ha felicemente ampliato il nostro immaginario in materia di creazioni robotiche, nonni inventori e surreali avventure sospese tra scienza e science fiction.
Fantasie magiare a briglia sciolta
Presentati al Teatro Miela dalla direttrice del festival Nicoletta Romeo e da Anna Ida Orosz, curatrice e storica del cinema d’animazione venuta appositamente da Budapest, i brevi ma intensi episodi scelti per rappresentare Le avventure intergalattiche di Peter hanno destato un certo entusiasmo in sala sia presso i più piccini, cui intelligentemente sono state offerte dagli organizzatori alcune pillole introduttive a loro mirate, sia presso qualche spettatore più attempato quale senz’altro è il sottoscritto.
Ad essere proiettati, per brevità ci rifacciamo alla versione italiana dei titoli, sono stati corti come La palla rossa a pois bianchi (1961), Peter e l’uomo robot (1961) e Peter e la macchina meravigliosa (1963).
Fantasiosa e a tratti esilarante, estremamente “pop” come quel gusto cromatico tipicamente anni ’60, la serie in questione fa a meno di dialoghi ed è alquanto basica, a livello di “storyline”, con l’ingegnoso Professor Leo (neanche troppo criptico omaggio a un grande artista e inventore, l’italiano Leonardo Da Vinci) che si diletta a sviluppare progetti avveniristici, generalmente anche utili, ai quali i dispettosi nipotini Peter e Kati – sempre accompagnati dal buffo bassotto Félix – fanno fare spesso una brutta fine, utilizzando le invenzioni più stupefacenti di nascosto e in modo improprio. Più in particolare Peter e l’uomo robot, narrativamente parlando, è quasi un controcanto di Topolino apprendista stregone, con le due piccole pesti e l’irrequieto cagnetto che in assenza del Professor Leo pensano di poter soddisfare ogni loro desiderio attivando l’uomo robotico da lui inventato, ma ne perdono ben presto il controllo causando autentici disastri!
Questa serie, con le sue immaginifiche trovate, rappresenta assieme a La famiglia Mezil menzionata in precedenza una dimostrazione di come l’animazione ungherese realizzata tra gli anni ’60, ’70 e ’80 sapesse accostarsi all’immaginario fantascientifico da angolazioni insolite, rivelando così uno humour alquanto naïf e uno spirito di timbro positivista ma non dogmatico, in grado anzi di ironizzare sulle implicazioni non sempre facilmente gestibili della crescita tecnologica in atto.