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Trieste Film Festival

‘Celts’ Il vuoto morale di una società in frantumi

Un film che esplora l'indifferenza e l'alienazione in una società segnata dalla guerra

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Esistono guerre che segnano indelebilmente la storia e l’animo umano, battaglie che richiedono attenzione, coinvolgimento e memoria. E poi ci sono quelle guerre che restano sullo sfondo, invisibili o volutamente ignorate, lasciate a esistere in un mondo altro e lontano. Celts, il lungometraggio d’esordio di Milica Tomović, vincitore del premio CEI al Trieste Film Festival nel 2022, si colloca esattamente in questo contesto. Ambientato nella Belgrado del 1993, durante il conflitto che ha segnato la dissoluzione della Jugoslavia, il film non è una cronaca di guerra, ma un ritratto intimo e disturbante dell’indifferenza e del vuoto morale che accompagnano gli eventi più tragici.

Un contesto evocato senza mostrarsi

La guerra in Jugoslavia è un fantasma che aleggia su tutto, ma non compare mai direttamente. L’assenza di immagini di sangue e distruzione non sembra essere una scelta di omissione, quanto piuttosto una provocazione che amplifica il senso di estraniamento. La narrazione si concentra invece su una festa di compleanno apparentemente banale: una famiglia belgradese – il padre tassista Otac (Stefan Trifunović), la madre casalinga Marijana (Dubravka Kivjanić) e le loro due figlie: Tamara (Anja Djordjevic) e Minja (Katarina Dimic), la festeggiata – organizza un rinfresco per celebrare l’occasione nonostante la scarsità di beni essenziali come uova, burro e panna.

Alla festa si uniscono amici e parenti, creando un microcosmo che riflette la società in disfacimento. I bambini, relegati in una stanza separata, passano il tempo tra giochi e dispetti, mentre gli adulti si lasciano andare a conversazioni vuote, discussioni politiche sterili e incomprensioni personali. Milica Tomović costruisce un universo claustrofobico, dove ogni personaggio è intrappolato nella propria solitudine e nel proprio egoismo, incapace di connettersi con chi gli sta accanto.

La forza dei personaggi e la fragilità delle relazioni

Il nucleo centrale del film è rappresentato dai personaggi. In uno spazio limitato, dove lo sviluppo di una trama dinamica sarebbe impossibile, Tomović opta per un ritratto corale che esplora le contraddizioni di ciascun individuo. Gli adulti si rifugiano in conversazioni semipoliticizzate che rivelano tutta la loro vacuità. Ogni affermazione sembra priva di senso, ripetitiva, pronunciata con una sicurezza inquietante che sottolinea la loro inconsapevolezza.

La regista utilizza il paradosso per mettere in luce la vuotezza delle loro idee: più i personaggi parlano, più risulta evidente che non credono davvero in nulla di ciò che dicono. Sono anime smarrite, incapaci di ascoltare o di vedere l’altro. Ma è proprio in questo contesto che emerge un barlume di speranza, incarnato da coloro che scelgono il silenzio. Alcuni personaggi – il piccolo Fica (Konstantin Ilin) e la piccola Minja e i suoi due genitori – osservano e soffrono senza bisogno di riempire il vuoto con parole inutili. Il loro dolore trattenuto diventa una forma di resistenza, un modo per conservare la propria umanità.

Un’estraneità che riflette la dissoluzione di un paese

L’ambientazione del film è un elemento chiave. La Belgrado del 1993 è un luogo sospeso, dove la guerra è onnipresente ma invisibile e la Jugoslavia sembra essere ormai solo un ricordo. La società è frammentata, proprio come i personaggi, che non sembrano possedere nemmeno un briciolo di identità. L’indifferenza verso ciò che accade all’esterno si riflette nelle loro azioni e nelle loro parole, rendendoli complici inconsapevoli delle tragedie che li circondano.

Eppure, il film non si limita a denunciare questa apatia. Con una regia attenta e una scrittura sottile, Milica Tomović riesce a trasformare questa estraneità in una riflessione più ampia sul senso di impotenza che accompagna il vivere la storia. I personaggi appaiono slegati tra loro, proprio come il loro paese, un tempo unito e forte, ma ormai disgregato.

Conclusione

Celts non è un film facile, né rassicurante. Con una regia che cristallizza ogni momento in un’atmosfera sospesa e una sceneggiatura che scava nel profondo dell’animo umano, Milica Tomović offre un ritratto spietato ma necessario. Non servono immagini di guerra per parlare di disperazione e impotenza: basta ascoltare le parole vuote dei personaggi e osservare il loro isolamento per comprendere quanto siano diventati simili a comparse mute, incapaci di affrontare la realtà.

In definitiva, Celts è un’opera che invita alla riflessione, non solo sul passato, ma anche sul presente. La festa triste è ormai finita, resta solo il silenzio. Ma è proprio in quel silenzio che si intravede la possibilità di un futuro, di un punto di partenza immaginario per affrontare e risolvere i nodi irrisolti di un’esistenza collettiva.

Celts

  • Anno: 2021
  • Durata: 106'
  • Distribuzione: EED productions
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Serbia
  • Regia: Milica Tomović

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