Quando si dice Il Caso. Di caso si è trattato, questo straordinario recupero in extremis. I miei occhi ‘dovevano’ vederlo. E consiglio a tutti gli occhi di imbattercisi. Anzi, di andarlo proprio a scovare. Searching for Sugar Man è uno di quei piccoli e misteriosi oggetti visivi dell’essenza di un prisma, il cui compito è di riflettere una verità abbagliante nella sua semplicità. Talmente palese, e per questo, così difficile da trovare in un mondo (l’attuale) in cui Essere è diventato quasi un lusso che pochi possono permettersi. Sixto Rodriguez è uno di questi.
Al regista svedese Malik Bendjelloul, il merito di aver scoperto e filmato in un doc tipico (tuttavia capace di infondere aura di mistero nel calibrarne i tasselli-momenti di tempo e spazio) una storia artistica e soprattutto umana che lascia senza parole da differenti prospettive. La prima è proprio quella legata al caso, ai mancati incastri della vita. Un giovane di origini messicane, schivo, solitario, che conosce la strada, che traduce percezioni, sensazioni in versi e musica così tremendamente potenti nell’identità di vere rivelazioni. Una perla, nella bellezza ‘ultraterrena’ di pacificazione interiore di uno stare dentro le cose, totalmente dentro le stesse, dentro la vita. Eppure passa inosservato. Due album: la sua rivelazione è da molti addetti ai lavori giudicata potenzialmente più dirompente di quella di Bob Dylan, ma in America non vende. Lo splendido cantore non viene riconosciuto. Accosta, invisibile, svelamenti, turbamenti, tenerezze, malinconie, ma nessuno se ne accorge.
E lo stesso caso lo ‘beffa’ a sua insaputa, clamorosamente. In un altro pezzo di globo Rodriguez ci arriva con l’anima, invece: portato in aereo dentro un vinile, che all’ascolto si trasmette di orecchio in orecchio, fino a diventare il portato musicale e di coscienza di una generazione nel proprio risveglio. Sixto Rodriguez e il suo At His Best alimentano la lotta contro l’apartheid nella consapevolezza di occlusione, di stagno-isolamento interno ed esterno dei bianchi sudafricani. Nasce (per loro) una leggenda musicale di cui la leggenda stessa ne è completamente all’oscuro. E con un colpo di coda che potrebbe a molti irritare (se toccati dalla medesima ‘sorte’), il caso torna da Rodriguez quando è troppo tardi… E’ a questo punto del racconto che ne comincia un altro, il più incantato, il più ‘eroico’. Immaginare un Sixto Rodriguez suicidatosi nell’alone mistificante del ‘dannato’ o di una caduta umana preda di una ribellione esistenziale ad un gioco di dadi non favorevole? Affatto. Stupiti ed abbagliati da una ‘reazione’ che niente altro rappresenta se non un vivere attaccato al reale, nel valore che si dà ad un esistere che è essere qui ed ora, consapevolmente.
Sfumato il suo sogno di dedicarsi esclusivamente alla musica, Rodriguez si è messo a lavorare sodo come operaio, si è fatto una famiglia, ha continuato a ‘riprodurre’ se stesso in una quotidianità per nulla sterile ed alienata. Una umiltà nell’accezione più vivida che si possa dare: portarsi avanti a prescindere dagli scambi che la vita ti impone, mantenendosi sempre saldi a ciò che nessuna causalità può toglierti: quello che realmente si è. E tale forza appare in tutta la sua testimonianza contrapposta al come, anche economicamente, il successo in Sudafrica non abbia portato indietro a Rodriguez neppure un giusto profitto. Lo splendido cantore avrà coronata la sua meritata gloria artistica come nelle favole più belle e più amare. Ma poco conta. Ciò che conta in Searching for Sugar Man è la lezione (inconsapevole) che quest’uomo ci dona. Oltre alla sua straordinaria musica, da ascoltare e riascoltare fino a saziarsi.
Presentato al Sundance Film Festival, il doc riceve il premio Audience Award, World Cinema Documentary e il premio World Cinema Special Jury Prize. Inoltre: Audience Award, Best Music Documentary Award all’International Documentary Film Festival di Amsterdam del 2012; premio BAFTA, premio Academy Award come miglior documentario nel 2013. Oscar 2013 come miglior documentario.
Maria Cera