La realtà è l’accumulo di identici spettacoli e il crimine un democratico destino, che spaventa e seduce come tutte le cose nell’ombra. D’altronde “chiunque può diventare una vittima”, sussurra una disincantata Tilda Swinton che con la retorica pornografica della tv del dolore inaugura l’esordio di Luca Guadagnino, The Protagonists (1999), disponibile ora su MUBI.
E se il crimine è uguale per tutti mentre elegge le sue vittime, vale lo stesso per i carnefici? Ognuno può provocare la morte oppure uccidere è un estro innato? Un omicida seriale fa paura, ma un colpevole al di sopra di ogni sospetto sconcerta il credo di una società. Allora si corre ai ripari del linguaggio della distanza – “il mostro” gridano subito i media – ma niente spaventa più di un assassino simile in tutto all’uomo comune.
Cose che succedono nell’Inghilterra post-thatcheriana, quando nel novembre del ’94 a West London due studenti di Oxford, senza movente ma colmi di tutta la noia borghese, uccidono a coltellate l’egiziano Mohammed El-Sayed, tra le ombre di un parcheggio senza conforto. Ed è nel solco del racconto degli assassini – dai nomi omessi e le biografie spiattellate tra comodi cliché – che prende corpo l’inchiesta di una troupe figlia della neotelevisione, dove “l’evento, catturato al proprio nascere, è diventato messa in scena”, come insegna Eco.
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Le citazioni di The Protagonists
Parole che trasudano moderne idee di cinema nell’esordio di un giovane Guadagnino che cita vecchi maestri e implora nuove forme, in un appello giovanile accorato che pare tanto quello del tormentato regista Kostja de Il Gabbiano di Cechov.
Allora ecco che The Protagonists segna l’inizio di un cinema (ri)pensato lungo i delitti di un intero immaginario, tra il Nodo alla gola (1954) hitchcockiano e Il silenzio degli innocenti (1991) di Jonathan Demme. A spronare l’ossessiva cinefilia di un esordiente e le fantasie dei primi teen della sua poetica, Happy e Billy (nomi fittizi dati dalla troupe). Figli di una stanca borghesia, inseguono l’Eros ma si arrendono al thanatos, tra morte e sessualità. Sognando spedizioni in Iraq dentro le calde mura di una cameretta, preparano il terreno all’incontro dei futuri giovani esplosivi di We are who we are e Bones and All.
Happy e Billy: null’altro che enfants prodiges del crimine dissacrati tra la satira di un falso documentario true crime, dove il reale del delitto scolorisce nel making of della sua messa in scena. El Sayed muore tre volte nella dissezione di Guadagnino: la prima nella notte di un thriller metropolitano, la seconda in una violenza erotica, con i primi piani scissi tra il taglio di un pugnale e quello di uno stridulo montaggio, e l’ultima, a riempire di senso e sangue i misteri dell’inchiesta.
L’aspetto godardiano di The Protagonists
Fare a pezzi segni e codici antiquati per trovarne di nuovi. È il mandato di un film godardiano, quindi disarmonico, tra l’inchiesta (neo)televisiva del documentario e i deliri del thriller notturno, passando per il mélo del padre/marito amatissimo. Ma più di tutto respira la finzione in ogni fotogramma, con la giraffa del microfono, intrusa e ostentata, che entra in scena proprio come le telecamere si affacciavano nelle aule dei tribunali nei primi anni Novanta.
Forse è un esordio troppo affezionato alle sue (nuove) forme godardiane il The Protagonists di Guadagnino, che cerca il reale tra gli appelli di un processo – mediatico prima che giudiziario – ai confini del making of, con un’affaticata e onirica Laura Betti a giudicare colpe e misfatti degli assassini. “Tutto è spettacolo” direbbe Debord, soprattutto la narrazione di un delitto e dei suoi protagonists, appunto, nuove maschere della modernità e mire di una frenetica opinione pubblica. E forse, la cronaca nera non è mai stata così simile al romanzo popolare.