Here (2024), ventiduesimo lungometraggio di Robert Zemeckis, rappresenta in un certo qual modo la condensazione del suo cinema. Un compendio stilistico, narrativo e tematico. Finanche per quanto concerne il cast, nel quale c’è il suo attore “feticcio” Tom Hanks e la ritrovata “musa ispirativa” Robin Wright.
Un lungo andirivieni tra alcune decadi storiche degli Stati Uniti, attraverso un secolare piano sequenza fisso posto in un soggiorno, luogo topico della middle class americana. Un film che riflette sul trascorrere del tempo (topoi del cinema di Zemeckis), ma soprattutto uno sguardo riflessivo, da terza età, sulla caducità della vita.
Right Here, Right Now: l’esistenza umana vista attraverso un soggiorno
Negli Stati Uniti il film ha ricevuto critiche aspramente negative. Giudizi avversi che ormai accompagnano l’ultima decade creativa di Zemeckis. In particolare, i penultimi Le streghe (The Witches, 2020) e Pinocchio (2022); ma quest’ultimo è stato, per la verità, stroncato globalmente. Pareri sfavorevoli come se il funambolico regista, da The Walk (2015), non fosse più recepito come un autore stimolante.
Eppure Robert Zemeckis, cresciuto sotto l’egida di Steven Spielberg, sin dall’esordio è stato capace, proprio come il regista di Cincinnati, di coniugare uno storytelling classico con il virtuosismo tecnico. Ma questa peculiarità, in passato apprezzata dal pubblico, pare non suscitare più le medesime attenzioni, come ormai i magri incassi (rispetto ai budget) mettono in evidenza.
Con Here, caleidoscopica storia “immobile”, questo disamore pareva potersi colmare, perché ci sono nuovamente al centro individui comuni, alle prese con complicati rapporti interpersonali e problematiche esistenziali da risolvere, dentro la grande storia degli Stati Uniti che fluisce.
Tratto dall’omonima Graphic Novel di Richard McGuire, che ha avuto una prima pubblicazione nel 1989 (6 pagine) e poi una espansa e definitiva edizione nel 2014, la pellicola di Robert Zemeckis, co-sceneggiata assieme al quotato Eric Roth, già co-sceneggiatore di Forrest Gump (1994), al netto del risultato finale conferma l’usuale profonda passione cinematografica del regista. E se a livello formale c’è l’ennesimo prodigio sperimentale, all’interno si rinviene la classica narrazione Bigger than Life, che ha sempre contraddistinto le sue opere.
Commedie incentrate su figure umane comuni, ma che al contempo, partendo da queste descrizioni intime, sono pungenti illustrazioni della società americana. E la trilogia di Ritorno al futuro (1985-1990), Forrest Gump e The Walk ne sono un fulgido esempio. In particolare, Here si riallaccia a queste opere perché nel cuore della commedia c’è il dramma, la consapevolezza della finitezza umana. In Forrest Gump con la morte di Jenny (Robin Wright), primo e unico amore di Forrest (Tom Hanks); in Back to the Future la paura di perdere i propri cari e DOC (Christopher Lloyd); e in The Walk il crollo delle Torri Gemelle.
Lutto, dipartita, assenza che permeano sin dall’inizio Here: un soggiorno ormai svuotato dal mobilio. Un luogo casalingo, con una storia millenaria pregressa (su quel pezzo di terreno si sono avvicendati dinosauri, ere geologiche, nativi americani e figure storiche), che è come una scatola di ricordi, nel quale si sono avvicendate, nelle varie decadi del Novecento, diverse vicende familiari, tra amori, incomprensioni e decessi improvvisi.
E Zemeckis, invece di adottare una narrazione lineare, che procede in ordine cronologico, tiene come fondamento principale la storia che ha per protagonisti Richard (Tom Hanks) e Margaret (Robin Wright).
E su questa trama principale inserisce dei flashback/flashforward sottoforma di ritagli, che appaiono sullo schermo come finestre che poi si allargano sulle altre epoche, facendoci vedere le altre traversie esistenziali dei precedenti (o futuri) residenti che hanno riempito quel mitico luogo. Connessioni che confermano il ripetersi di usuali dinamiche familiari, relazionali e vitali.
Here: un profondo atto d’amore dentro l’artificio della IA
Sin dalle origini il cinema ha implementato (per dare sempre più strabiliante spettacolo) le tecniche. E in questi ultimi anni ( ad esempio con il metaverso) sta portando avanti questo corso. Le pellicole di Zemeckis, da Ritorno al futuro in poi, sono anche opere che certificano l’avanzamento tecnologico del cinema. E il regista le ha sempre utilizzate per giusta causa cinematografica, benché sovente criticate come ad esempio con gli eccessivi La leggenda di Beowulf (Beowulf, 2007), A Christmas Carol (2009) o il già citato Pinocchio.
Ma gli effetti speciali, uniti alle storie di matrice umana, hanno reso possibile – e reso credibili – eventi mai accaduti (ad esempio Forrest che stringe la mano a JFK; o l’interagire tra umani e cartoon a Hollywood). Oppure ricreare la fantastica sfida di Philippe Petit in The Walk, nostalgico sguardo a una società ancora in grado di sognare e raggiungere i propri obiettivi.
In Here di incredibile c’è l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, che ha sostituito l’ormai obsoleto e complicato make-up. L’IA ha permesso di poter ringiovanire facilmente sia Tom Hanks che Robin Wright, trasformandoli in adolescenti. Un progresso tecnologico eccezionale, che fortunatamente forgia soltanto la confezione.
L’aspetto che maggiormente attrae del film è l’attenzione verso una storia d’amore tra due individui, che il tempo della vita (fattori interni ed esterni) disgrega. Richard e Margaret sono un’altra coppia che si aggiunge a quelle già raccontate. E come nelle precedenti pellicole, con inusuali tocchi di romanticismo.
La ricomposizione della coppia Hanks–Wright inevitabilmente fa tornare alla mente quella iconica di Forrest Gump, e al contempo quella di Cast Away (2000), con Tom Hanks sopravvissuto per anni su un’isola deserta (pensando alla sua amata), per poi poi scoprire, tornato nella vita normale, di aver perso il suo amore. E storia d’amore anche in Allied – Un’ombra nascosta (Allied, 2016), questa volta declinata con sfumature cinefile (i noir e le Spy Stories anni ’40), aventi come protagonisti i divi odierni Marion Cotillard e Brad Pitt.