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‘It Ends With Us’, la commedia contro la violenza di genere
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2 mesi agoon
It Ends With Us – Siamo noi a dire basta ha rappresentato per la carriera dell’attore regista Justin Baldoni (volto televisivo conosciuto soprattutto per la partecipazione alla serie CW Jane the Virgin) una vera e propria occasione d’oro: realizzare la prima trasposizione cinematografica del romanzo di una scrittrice popolare come Colleen Hoover. Nonostante le critiche non siano state sempre positive, i numeri al botteghino americano hanno dato piena soddisfazione a Baldoni. La battaglia a colpi di carte bollate con la Star del film Blake Lively rischia però di rovinare la festa.
Distribuito in Italia dalla Eagle Pictures, il film è visibile sulla piattaforma Prime Video.
La trama del film
Lily Blossom Bloom (Lively) ha perso da poco il padre, uomo autoritario e violento. Mentre elabora questo lutto decide di realizzare un vecchio sogno nel cassetto: aprire in quel di Boston un negozio di fiori. Si innamora di Ryle (lo stesso Baldoni) un aitante neurochirurgo che però si rivelerà non essere propriamente un “prince charming”. Col supporto del suo primo amore Atlas (Brandon Sklenar, già visto in 1923), nel frattempo diventato un ristoratore di successo, troverà il coraggio di chiudere una relazione tossica e pericolosa.
Un successo editoriale a misura di social network
Vera e propria stella editoriale nell’epoca del web, Colleen Hoover ha venduto circa venti milioni di libri e conquistato legioni di fans. E lo ha fatto proponendo nei suoi romanzi una letteratura rosa che cerchi anche di affrontare argomenti importanti e difficili, quali la violenza di genere e gli abusi domestici.
Come, appunto, è il caso di It Ends With Us che la scrittrice (che ha esordito pubblicando a proprie spese i primi lavori) considera il suo romanzo di maggiore fatica. Ricompensata poi, è facile immaginare, dal successo editoriale, tanto è vero che le avventure di Lily sono continuate nel sequel It Starts with Us – Siamo noi l’inizio di tutto. Era solo questione di tempo che il cinema o qualche network televisivo si facessero avanti. E la Columbia Pictures ha battuto tutti sul tempo, garantendo anche una confezione più lussuosa di quanto non avrebbero potuto fare giganti dell’intrattenimento come Hallmark o Netflix.
La regia è stata affidata a Justin Baldoni che, scaltramente, aveva acquistato i diritti del libro (e del suo seguito). E che, partendo da una sceneggiatura di Christy Hall, ha in cambio assicurato alla casa di produzione un successo di cassetta. Se i film si giudicassero solo in base ai risultati economici di It Ends With Us si dovrebbe parlare solo in termini positivi. Ma, tuttavia, qualche distinguo è possibile farlo, anche perché quello che, a suo modo, funziona sulla pagina scritta, può non essere ugualmente efficace quando passa sugli schermi, piccoli o grandi che siano, e senza dubbio un dramma maggiormente realistico avrebbe affrontato meglio delle tematiche così delicate, anche se fortunatamente già molto indagate.
«If you ever find yourself in the position to love somebody again, just fall in love with me»
Gli stilemi della commedia romantica
Sebbene molti recensori abbiano utilizzato il termine soap opera per affrontare il lavoro di Baldoni, credo che l’aspetto più curioso dell’operazione sia che per buona parte del film (che dura 130 minuti, regista e sceneggiatrice si sono decisamente presi i loro tempi) si faccia ricorso a stilemi tipici delle commedie romantiche. Quindi la protagonista che flirta col partner, scherza con la mamma o con la migliore amica/cognata/collaboratrice (l’ottima Jenny Slate che garantisce un robusto supporto ma che, in effetti, meriterebbe copioni più sostanziosi), cambia abito praticamente ad ogni sequenza e, malgrado non noti delle “red flag” grosse come una casa (il vigoressico Ryle entra in scena praticamente prendendo a calci una sedia), ci convince, nonostante i traumi del passato, di essere una persona assai in gamba.
Il romantico trailer di ‘It Ends with Us – Siamo noi a dire basta’
L’eroina giusta per i nostri tempi?
Lily è l’eroina perfetta per una letteratura reduce da Cinquanta Sfumature. E la performance di Blake Lively rispecchia perfettamente la natura, diciamo così, ambivalente del film. La Serena di Gossip Girl o, se preferite, la bad mama di Un piccolo favore, garantisce al suo personaggio sorrisi d’ordinanza e una bella energia, lasciandoci immaginare cosa potrebbe fare con un soggetto alla Nora Ephron. Sarebbe però ingeneroso liquidare sbrigativamente la protagonista insinuando che l’attrice reciti nel film sbagliato, anche perché già in passato l’interprete ha avuto modo di mostrare le sue doti drammatiche. Come, ad esempio, in The Town di Ben Affleck, pur se nei limiti previsti dal ruolo. Lively risulta credibile anche nei passaggi meno brillanti (e occhio anche all’esordiente Isabela Ferrer che interpreta Lily nei flashback).
Un lieto fine scaltramente da manuale
Va poi riconosciuto a Baldoni di aver gestito appropriatamente, per quanto abbastanza in corner, il passaggio più complicato, quello della presa di coscienza della protagonista, spazzando via certi sospetti di ambiguità (Ryle è veramente così violento o quelli che capitano a Lily sono davvero incidenti?) che hanno comportato le critiche più severe. Il film assicura alla sua protagonista un lieto fine (e la possibilità di continuarne la storia) ma la cosa più importante è che al pubblico sia arrivato un messaggio chiaro sulle violenze cui Lily riesce a sottrarsi.