Quando nel 1928 venne pubblicato il Manifesto sull’asincronismo, firmato da Sergej M. Ejzenštejn, Vsevolod I. Pudovkin e Grigorij V. Aleksandrov, l’intento dei tre registi russi era quello di sottolineare i punti di forza del cinema sonoro, ma soprattutto di metterne in luce le criticità e i rischi che avrebbero potuto limitare il potenziale artistico del cinema.
Le funzioni del montaggio tra piano sonoro e piano visivo
La capacità immaginifica del cinema deve molto alle tecniche del montaggio. Perciò, l’idea che la funzione del sonoro fosse quella di coincidere con l’immagine visiva, venne esclusa dalla convinzione che dovesse piuttosto essere usato come contrappunto a un’inquadratura, o a un’intera sequenza. Il termine contrappunto è preso in prestito dal linguaggio musicale, e non è usato a sproposito. In musica si usa per riferirsi alla tecnica compositiva che prevede la combinazione di due o più linee melodiche, che nella loro dialettica armonica non escludano però una certa tensione strutturale. Le immagini in movimento, di per sé, soprattutto grazie alla tecnica del montaggio, risultano efficaci nel momento in cui tra loro si stabilisce un rapporto di continuità, grazie ad esempio alla presenza di un elemento ripetuto in due o più inquadrature consecutive, in cui viene ripreso in modi diversi, oppure alla somiglianza stessa di due inquadrature che però riprendono elementi diversi.
La preoccupazione principale dei tre registi russi che firmarono il Manifesto era il sospetto che il film parlato, nella coincidenza esatta tra voce e movimenti delle labbra, avrebbe portato al deterioramento delle funzioni del montaggio. L’accostamento analogico, altresì simbolico, di due immagini, perde il suo potere iconografico nel momento in cui il suono, per via dell’immediatezza con cui trasmette significato, si sostituisce alla capacità associativa dello spettatore. Se nel cinema muto il pubblico era costretto a sforzarsi di capire perché a un’immagine ne seguisse un’altra, l’uso del sonoro, se applicato in questi termini, avrebbe potuto limitare lo sviluppo di nuove tecniche di montaggio, originariamente funzionali alle capacità espressive dell’immagine. Invece, il sonoro usato come contrappunto all’immagine, non più quindi nella sua funzione puramente illustrativa o naturalistica, acquisisce lo stesso valore dato alle immagini e alla composizione delle inquadrature, ma soprattutto si aggiunge come nuova facoltà delle tecniche di montaggio.
Rabbits
Un esempio di questo uso del sonoro è rappresentato perfettamente dal cinema di David Lynch, e in particolare da Rabbits (2002), che nasce come miniserie televisiva composta da sette cortometraggi, della durata di circa sei minuti ciascuno. Sostanzialmente si tratta di una sitcom, in quanto ne sfrutta gli elementi narrativi. Si svolge infatti interamente in una stanza, e il cast è composto da personaggi fissi: in questo caso i protagonisti sono tre conigli, e ciascuno ha la propria battuta ricorrente, o una gag che ripropone da un episodio all’altro. La rivoluzione nell’uso del sonoro come contrappunto, che determina qui l’atmosfera surreale e inquietante, dipende dal fatto che le risate e gli applausi registrati tipici delle sitcom sono inseriti non a seguito di una battuta divertente, ma in momenti atipici. Il suono della pioggia e dei tuoni, assieme alla colonna sonora curata da Angelo Badalamenti, sono tutt’altro che divertenti e rassicuranti. Senza entrare nel merito di quale potesse essere il messaggio della serie, ne è evidente il carattere sperimentale. In questo caso però, il suono è presente esclusivamente come contrappunto all’immagine e non al montaggio; quest’ultimo quasi del tutto assente, per via della breve durata degli episodi e della staticità delle inquadrature.
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Il cinema polifonico
Un altro esempio di contrappunto sonoro è dato dal cinema di Franco Piavoli, che in parte contraddice le “regole” stabilite dal Manifesto. La contraddizione si trova nel fatto che il regista rinuncia al valore denotativo del linguaggio parlato, riducendolo a una funzione puramente fonica. Il risultato è che nei suoi film i dialoghi tra le persone non assumono più un valore semantico; piuttosto, vengono percepiti al pari del sibilo del vento e del crepitio delle foglie. Tuttavia, nel cinema di Piavoli è frequente l’uso del sonoro come contrappunto a immagini che non corrispondono necessariamente allo stimolo acustico percepito. In questo senso, il regista rinuncia alla corrispondenza tra campo visivo e campo sonoro, per ricorrere alla sperimentazione extradiegetica. Ed è proprio dalla ricerca di Ejzenstejn che, per fare riferimento al cinema di Franco Piavoli, si prende in prestito l’espressione “cinema polifonico”. La polifonia – come riportato in Semiotica del cinema e lineamenti di cine-estetica di Jurij M. Lotman – è funzionale a far emergere, a un dato momento di svolgimento del discorso filmico, un determinato elemento espressivo al massimo delle sue possibilità e a fungere più di altri da significante principale.
La rappresentazione visiva del suono
Con la nascita dell’immagine in movimento, si sono subito avvertite le potenzialità espressive di questo nuovo linguaggio, che si rivela adatto a soddisfare le esigenze del settore pubblicitario. Con l’avvento della televisione, la pubblicità si trasformò in una forma di intrattenimento. Negli anni ’90 MTV ha quasi il monopolio dei video musicali, allora uno dei mezzi più importanti per vendere dischi. Non era un’esigenza dei musicisti produrre i videoclip, quanto delle case discografiche. Infatti, il pubblico di quegli anni conosceva la musica attraverso MTV, e il video musicale divenne uno strumento efficace per riassumere e promuovere l’estetica dominante di quel periodo. Spike Jonze e Michel Gondry esordirono nell’ambito dell’audiovisivo come registi di videoclip, al fianco di artisti del calibro dei Daft Punk e di Björk.
Michel Gondry, figlio d’arte – il nonno fu l’inventore del Clavioline, la madre è una pianista, e suo padre ha un negozio di strumenti musicali – e a sua volta batterista nella band francese Oui Oui fino al 1992, ha fin dal principio un approccio sinestetico al cinema. La sua principale fonte di ispirazione sono i film d’animazione cechi e russi, di autori come Břetislav Pojar e Jurij Norštejn, ma non nasconde la sua ammirazione per Georges Méliès, riconosciuto come il padre degli effetti speciali.
Nella realizzazione del videoclip per Around the World (1997) – ancora inconsapevole di aver contribuito al fenomeno cult dell’elettronica francese – disegna la coreografia immaginando di dover rappresentare ogni strumento con un gruppo di ballerini. I bassisti sono atleti, la drum machine le mummie, le chitarre sono scheletri, il vocoder robot e i sintetizzatori le disco girl. Il risultato è una rappresentazione visiva del suono, che si serve dell’immagine per assumere il carattere interattivo di personaggi reali.
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Un (ab)uso didascalico del sonoro
Un altro esempio di uso del sonoro come contrappunto è presente in Gli amanti del Pont-Neuf (1991), scritto e diretto da Leos Carax. Una sequenza del film, ambientata all’interno della metropolitana di Parigi, mette in luce quanto la percezione dello spettatore cinematografico contemporaneo sia falsata dall’abuso di una colonna sonora extradiegetica, comunemente inserita al servizio degli stati d’animo dei personaggi, per esaltarne l’espressività. Quando i registi che firmarono il Manifesto supponevano che l’uso “didascalico” del sonoro, nella coincidenza esatta tra voce e movimenti delle labbra, avrebbe portato al deterioramento delle funzioni del montaggio, forse non avevano previsto che anche l’uso esasperato del suono extradiegetico avrebbe avuto delle conseguenze significative.
Il protagonista del film, Alex (Denis Lavant), pedina Michèle (Juliette Binoche) all’interno del métro. La Sonata per violoncello solo Op. 8 di Kodály accompagna l’intera sequenza in cui Michèle corre nei tunnel della metropolitana, seguita da Alex. La melodia dissonante del violoncello, associata alla tensione delle immagini che riprendono la corsa, è percepita come extradiegetica fino al momento in cui Alex incontra il musicista che sta suonando il brano. L’effetto sorpresa dipende esclusivamente dal fatto che lo spettatore è abituato a percepire il sonoro come un sottofondo musicale, che accompagna l’immagine in modo didascalico e prevedibile.
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