Il mito, considerato nella sua accezione narrativa, rappresenta da tempo immemore un efficace strumento di trasmissione della cultura umana. Quando l’essere umano si è scontrato con la necessità di giustificare la propria esistenza nel mondo, ha trovato nel mito la possibilità di raccontarsi, e di soddisfare così quelle esigenze identitarie e morali sopraggiunte nel processo di evoluzione sociale.
È dagli albori del cinema che il mito si presta al racconto cinematografico: se in passato la rappresentazione figurativa del mito è affidata alla pittura o alla scultura, attualmente è il cinema il principale strumento di trasmissione della cultura mitologica.
La letteratura di John Ajvide Lindqvist (autore di Lasciami entrare, da cui l’omonimo adattamento cinematografico diretto da Tomas Alfredson), dirige nel teatro della contemporaneità i personaggi più celebri della mitologia e dell’immaginario folclorico. Il racconto Confine, presente nella raccolta Muri di carta, ha ispirato Border – Creature di confine diretto da Ali Abbasi. Il film, distribuito nelle sale dal 2018, è ora presente nel catalogo Mubi.
La prima stesura della sceneggiatura è stata curata dallo stesso Lindqvist, che ha reso possibile una trasposizione efficace a partire da un racconto breve (trentasette pagine nell’edizione italiana), basato sul diario tenuto dalla protagonista. Abbasi, nell’intervista realizzata da Cristina Battocletti, afferma di non aver voluto in alcun modo ricorrere all’uso di flashback. Questo è stato possibile grazie alla libertà concessa da Lindqvist ad Abbasi e Isabella Eklöf, entrambi cosceneggiatori del film, che hanno potuto aggiungere alla trama nuovi elementi. In questo modo, al classico racconto di formazione di stampo letterario si somma la suspense del thriller psicologico, in un film che si colloca a metà strada tra l’horror e il fantasy.
Border – Creature di confine
Tina (Eva Melander), agente della dogana portuale di una città svedese, ha un olfatto oltremodo sviluppato e un intuito infallibile. Oltre a lavorare per le autorità locali, collabora come investigatore criminale. Per questo resta coinvolta in un’operazione i cui sospettati sono indagati per produzione di materiale pedopornografico.
Lo straordinario sesto senso di cui è dotata, ma anche l’insicurezza dovuta alla sua femminilità non convenzionale, la portano a non sentirsi a suo agio con le persone; perciò passa la maggior parte del tempo libero nella foresta di conifere in prossimità della proprietà di famiglia. Condivide la casa con Roland (Jörgen Thorsson), un allevatore di cani con cui ha una relazione di convenienza. Roland ricava dal rapporto stabilità economica, mentre Tina accetta la compagnia dell’uomo rassegnata al fatto che il suo aspetto le impedirebbe di essere amata davvero da qualcuno. Inoltre affitta la casetta del giardino ai turisti di passaggio.
Il punto di rottura
Il suo olfatto infallibile sembra vacillare quando un uomo chiamato Vore (Eero Milonoff), intercettato alla dogana da Tina, viene fermato per una perquisizione. Solitamente Tina segnala piccoli contrabbandieri che cercano di varcare il confine, e che emanano un odore che lei riconduce alla paura di venire scoperti. Talvolta a insospettirla è “l’odore del senso di colpa”. Ma la valigia dell’uomo non contiene merce di contrabbando, né sostanze sospette. Perciò Tina chiede a un suo collega di sottoporre Vore a una perquisizione personale, il cui esito rivela che l’uomo sembra in realtà essere una donna. Inoltre scopre che Vore ha la stessa cicatrice all’altezza del coccige che ha anche Tina. Questi gli unici elementi degni di nota che risultano dalla perquisizione. Viene così congedato e Tina, per scusarsi con Vore, gli offre ospitalità nella casa che solitamente affitta ai turisti.
Vore, che condivide la stessa passione di Tina per la foresta e gli animali che vi abitano, è determinante nel percorso di scoperta di sé intrapreso dalla protagonista del film.
La vita di Tina è segnata dall’isolamento sociale, dal senso di inadeguatezza dovuta al suo aspetto e dall’impossibilità di consumare rapporti sessuali. Attribuisce i suoi problemi fisici e la sua stessa dote sensoriale a un’anomalia cromosomica. Suo padre, che vive confinato in una casa di riposo, risponde in modo evasivo alle domande a cui Tina cerca risposta.
Al confine tra realtà e favola
Lo svolgimento della trama di Border ricalca la struttura narrativa del mito come viaggio di scoperta del sé.
Tina inizialmente vive una condizione di parziale consapevolezza di sé, dovuta al fatto di essere riuscita, nonostante i suoi problemi, a integrarsi socialmente. Parziale, perché la sua stabilità emotiva dipende dal suo rapporto con l’altro, piuttosto che da un’indipendenza maturata dall’accettazione della sua diversità e al conseguente sviluppo della propria identità.
Il conflitto che porta alla rottura di questa precaria armonia è rappresentato dallo sconvolgimento che Vore causa nella protagonista. Tina si rende conto che l’unica qualità che credeva radicata – il suo olfatto – è anch’essa fallibile. Questa fallibilità avvia il processo che la porterà a mettere in discussione i valori morali di prima. La mitezza che Tina incarnava all’inizio è messa da parte in favore di aspetti più impulsivi e brutali della sua personalità. La scoperta dell’atto sessuale nelle sue manifestazioni più ferine mette in discussione la femminilità fino ai limiti del reale.
Ed è a questo punto che il mito di Tina, l’eroe che affronta un viaggio di liberazione del proprio sé e di esplorazione dei propri confini morali, incontra la rappresentazione classica della favola, pur nella sua accezione più grottesca, ma sempre rivelatrice e significativa.
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