L’urlo di Munch – Il grande furto, film documentario di genere true crime a opera dei registi Sunshine Jackson e Nigel Levy, prodotto da Curve Media, Night Train Media e Abacus Media Rights in collaborazione con Sky, è andato in onda su Sky Arte ed è disponibile on demand su NOW.
Il covo dei ladri
Il lavoro che proprio adorava era rubare. Insomma, ci godeva proprio.
Questa frase tratta da Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese, opportunamente separata dal suo contesto originario, sembra la più appropriata per descrivere brevemente la natura e la persona di Pål Enger (il protagonista di questo breve ed interessante documentario) prematuramente scomparso nel giugno di quest’anno.
Sì, perché il giovane e promettente calciatore del Vålerenga Fotball era anche un delinquente specializzato fin dall’adolescenza in furti con scasso. Cresciuto negli anni ’80 a Tveita, allora uno dei quartieri di Oslo con il più alto tasso di povertà e criminalità, Pål Enger dichiara di aver sempre visto lo sport come unica alternativa alla tossicodipendenza; ciò non gli impedì tuttavia di entrare presto in contatto con il sottobosco delinquenziale del quartiere e soprattutto con la Tveitagjengen, la più famigerata banda criminale della zona. Dopo aver scontato quattro anni di carcere per aver rubato il dipinto “Il vampiro” di Edvard Munch dalla Galleria nazionale di Oslo nel fallimentare tentativo di impossessarsi del ben più noto “L’urlo”, Enger metterà a segno il colpo più clamoroso della sua carriera riuscendo effettivamente a impadronirsi del sopracitato capolavoro.
Penger vuol dire “soldi”
Åse Kleveland, la più illustre tra gli ospiti intervistati in quanto ex Ministro della cultura norvegese, pone la domanda cardine: era possibile che qualcuno l’avesse rubato per pura e semplice malvagità? Questo è il quesito che funge da cornice per l’intero progetto, il quale non brilla certo per digressioni stilistiche. Si tratta infatti di un documentario dalla struttura molto convenzionale, che alterna interviste ad immagini di repertorio, passando per ricostruzioni di segmenti reali attraverso l’uso di attori. Ciò che contraddistingue questo documentario è la volontà di puntare la macchina da presa non tanto sul vasto assortimento di individui che contribuirono al ritrovamento del dipinto e all’arresto di Pål Enger, quanto in direzione dello stesso protagonista nel tentativo di spingere lo spettatore a riflettere sulle elucubrazioni di un criminale esperto.
Si tratta di avidità? Di narcisismo? Oppure di una passione così profonda ed imperscrutabile da sfociare nella vera e propria ossessione? Enger tenta di fornire una risposta a questa domanda fin dal primo minuto del documentario, tramite un gioco di parole basato sul proprio nome:
Penger, in norvegese, vuol dire “soldi”. Ma i soldi mi interessano relativamente, quello che mi piace davvero è giocare.
Ed è esattamente allo sviluppo di un gioco durato anni che lo spettatore assiste nel giro di un’ora e mezzo. Un gioco iniziato nel 1988, l’anno in cui Pål Enger iniziò a scontare i suoi primi quattro anni di prigione e, per pura coincidenza, l’anno in cui il comune norvegese di Lillehammer venne scelto per ospitare i Giochi olimpici invernali del 1994. Vedendo correttamente in quell’evento la perfetta occasione per poter agire relativamente indisturbato, Enger pianificò il furto de “L’urlo” di Munch per ben sei anni prima di portarlo a compimento.
La paura prima di un colpo ed il brivido del successo
Stando a quanto Enger dichiara nelle interviste, quel dipinto rappresentava già da tempo una delle sue opere d’arte preferite nonché un catalizzatore di ricordi d’infanzia traumatici; ora era diventato una concreta possibilità di rivincita per il precedente colpo andato male. Qui stanno le regole del lungo gioco di Pål Enger, nel puro gusto di agire impunemente, di dimostrarsi più scaltro. Pur riferendosi raramente a eventuali riscatti, sembra che egli ci tenga particolarmente a veicolare un senso di divertimento contorto nell’animo di chi guarda e ascolta la sua versione dei fatti, oltre che di insolito rispetto per l’illustre bottino.
Questo divertimento sembra amplificarsi a dismisura per via dei Giochi olimpici invernali del 1994, che funsero da diversivo perfetto per la riuscita del colpo, ma non solo. Il paese tornava ad ospitare un evento di tale portata per la prima volta dopo quarantadue anni:
I Giochi olimpici fornivano alla Norvegia l’occasione di mettersi in luce, ci saremmo fatti valere – dichiara con un sorriso l’ex Ministro della cultura Kleveland.
È pressoché impossibile, dunque, immaginare ciò che un ladro professionista possa provare sapendo di aver colpito un’intera nazione, di aver attirato l’attenzione della stampa di tutto il mondo o di aver costretto il governo norvegese a chiedere aiuto al dipartimento di Scotland Yard specializzato in furti d’arte. Tuttavia, è questo l’obiettivo che L’urlo di Munch – Il grande furto si pone: spingere lo spettatore a riflettere su come possa funzionare una mente criminale e, in definitiva, a trarre le proprie conclusioni.
Un concetto non molto dissimile dal tentare di scoprire il motivo nascosto dietro l’angoscia ritratta in quel particolare dipinto.