Personaggi
Febo Mari: l’artista dimenticato
Riscopriamo insieme Febo Mari, attore e direttore di teatro e attivo durante l’epoca d’oro del cinema muto.
Published
4 mesi agoon
A Torino si sono da poco concluse giornate ricche di convegni dedicati al personaggio di Febo Mari. L’evento è un progetto dell’Università di Torino e del Teatro Stabile di Torino, in collaborazione con Museo Nazionale del Cinema e Rai Teche. In questa occasione si è presentato il Fondo Febo Mari, ricco di materiali preziosissimi per studi a riguardo. Gli incontri hanno generato riflessioni stimolanti, nuovi interrogativi e hanno dato vita a un incisivo punto di contatto tra ricercatori di cinema e di teatro.
Ma chi è Febo Mari? Cosa caratterizzava questo affascinante artista? Quali sono le sue opere più note e quali, invece, sono cadute nell’oblio? In questo articolo tenteremo di rispondere a tali interrogativi.
Febo Mari: tra teatro e cinema
Alfredo Giovanni Leopoldo Rodriguez nasce a Messina da una famiglia aristocratica. Si distingue dapprima nell’ambito giornalistico e letterario, poetando e scrivendo il romanzo Chi sa perché…?, per poi abbracciare l’arte teatrale. In questo modo, Mari diviene un attore, seppur non provenendo da genitori teatranti e farà propria una poetica squisitamente dannunziana. Tra le interpretazioni più riuscite ricordiamo quella di Gherardo Ismera ne Il ferro, dramma di Gabriele D’Annunzio, e la messa in scena di Giovanni Episcopo, testo sempre dannunziano. Egli non si limiterà, però, a recitare: infatti, inizierà ben presto a dirigere gli attori.
Parallelamente, essendo grande appassionato d’Arte, Febo Mari non poteva che addentrarsi anche nel mondo cinematografico, diventando così uno dei divi del cinema muto italiano. Reciterà quindi in film quali Il fuoco e Tigre reale, di Giovanni Pastrone. Non solo: Mari sarà direttore (all’epoca non esiste ancora il termine regista) di molteplici film, quali L’emigrante, Il fauno e il più noto Cenere. Proprio in quest’ultimo lavorerà accanto a Eleonora Duse, musa dannunziana per eccellenza e attrice straordinaria, immortalandola nella sua unica apparizione cinematografica. Cenere, quindi, possiede un inestimabile valore per gli appassionati di cinema e di teatro: è possibile essere testimoni, seppur molto limitatamente, della potenza interpretativa della Divina.
Eleonora Duse in Cenere
La recitazione di Febo Mari
Come scrive Armando Petrini in Fuori dai cardini. Il teatro italiano negli anni del primo conflitto mondiale, la poetica di Mari comprende sia elementi estetizzanti e che rimandano al dolorismo dusiano, sia tratti più vicini al realismo. Come si legge da alcune recensioni teatrali dell’epoca (ma facilmente riscontrabile anche nelle interpretazioni filmate) Febo Mari è in grado di restituire al pubblico una recitazione intensa, capace di grande potenza drammatica, oscillando tra una recitazione sobria e controllata e una più impetuosa.
I gesti da lui compiuti a volte sono misurati, altre invece più ampi e quasi violenti, come se non sapesse trattenere l’entusiasmo e la passione che vivono in lui e nel suo personaggio. Gli occhi di Mari ora sono fissi, ora sgranati, riprendendo il lavoro dell’attore di teatro Ermete Zacconi (che sarà il protagonista di L’emigrante).
Febo Mari, poi, rielabora il dolorismo estetizzante di Eleonora Duse, che emerge soprattutto in Cenere. Mentre la Duse tende a nascondersi, a sottrarsi dalla cinepresa e rimane fedele alla sua poetica, Mari appare in tutta la sua grandezza attorica, in una recitazione che va da gesti che si collocano nell’ambito del realismo, ad altri appartenenti all’estetismo. Complice la tragicità della vicenda, Mari ci regala una toccante interpretazione sofferta, soprattutto nella scena finale. Tuttavia, senza alcun dubbio la figura più ipnotica del film è quella della Duse, anche grazie all’aura di ambiguità che qualifica il suo personaggio.
Il fuoco: Febo Mari come attore di cinema muto
Febo Mari e Pina Menichelli in Il fuoco
Incentrato sul tema della passione ardente e suddiviso in tre sezioni (La favilla, La vampa, La cenere), Il fuoco è un film del 1915, diretto da Giovanni Pastrone. La vicenda narra di un pittore, Mario Alberti (Febo Mari), che improvvisamente si imbatte in una giovane poetessa (Pina Menichelli). Entrambi, infatti, stanno immortalando un magnifico tramonto. Per Alberti scocca immediatamente la scintilla, mostrandosi profondamente attratto dalla donna, che invece si comporta quasi con indifferenza.
La giovane lo metterà di fronte ad una scelta: continuare a conservare un distacco amoroso, oppure seguirla, spiegando però che il loro rapporto risulterebbe breve, ma intenso. Vedi! Come la passione la sua fiamma si leva fino al cielo e abbaglia. Ma dura solo un attimo, gli ricorda la poetessa. Come promesso, i due vivranno una relazione ardente e Alberti raggiungerà anche una notevole fama come pittore. Tuttavia, il loro rapporto sarà ben presto destinato a spegnersi e a tramutarsi, appunto, in cenere.
Protagonista indiscussa dell’opera è la Menichelli, che veste i panni della femme fatale: essa è musa ispiratrice, donna-gufo indipendente, dotata di un fascino letale e di un carisma che risultano magnetici agli occhi di Alberti, ma che riescono ad affascinare gli spettatori di diverse epoche.
Febo Mari, invece, incarna l’uomo sottomesso, schiavo del piacere e dell’Arte. La donna-gufo, infatti, può essere semplicemente considerata come puro desiderio carnale, ma è emblema anche dell’ispirazione artistica. Quando i due vivono assieme, Alberti riesce a esprimersi al meglio, realizzando quadri di qualità e dando il meglio della sua capacità creativa. Senza più alcun modello a cui riferirsi, invece, l’Artista entra in crisi, perde sé stesso e la propria vocazione.
Memorabile, poi, il finale che vede un Mari quasi allucinato, dall’aspetto trasandato e che sembra appartenere ad un’altra realtà. Dai suoi occhi traspare un breve lampo di lucidità: per un momento, infatti, essi incontrano quelli dello spettatore, con uno sguardo sfuggente verso la cinepresa, prima di perdersi nel vuoto.
L’emigrante: Febo Mari nella veste di ‘direttore’
L’emigrante, film del 1915 diretto da Mari, è rinvenuto a noi solo parzialmente. Infatti, ciò che rimane dell’opera non è che poco più di un terzo del lungometraggio originale. Della parte perduta rimangono solo foto di scena che raffigurano vari attori e alcuni momenti non presenti nella pellicola ritrovata.
Personaggio principale di L’emigrante è Ermete Zacconi: egli veste i panni di Antonio, un umile lavoratore che deciderà di emigrare per permettere alla famiglia di vivere più dignitosamente. Antonio venderà parte della mobilia per poter intraprendere il viaggio, anche se verrà in parte derubato al mercato, mentre è intento a comprare alcune provviste. Nel film vediamo poi la moglie (Enrichetta Sabbatini) e la figlia Maria (Valentina Frascaroli), che apparentemente non possiedono grande importanza. In realtà, come è emerso dal convegno torinese, la seconda parte dell’opera vedrebbe proprio la Frascaroli come ulteriore protagonista.
Arrivato nelle Americhe, Antonio diventa un modesto operaio edile, guadagnando però solo pochi pesos. Come se non bastasse, egli rimane vittima di un incidente sul lavoro, costringendolo al ricovero ospedaliero e, conseguentemente, non percepisce il denaro che gli sarebbe spettato. Dimesso dall’ospedale, dichiarato guarito (ma in realtà inabile al lavoro) e con la notizia della malattia della moglie, Antonio è costretto a tornare a casa.
Il frammento, quindi, ci descrive una vicenda che sembrerebbe concludersi con un finale amaro. Come ha proposto Claudia Gianetto nella sua ipotesi di ricostruzione del film, dietro L’emigrante si cela molto di più. In particolare, come sopra citato, la seconda parte del lungometraggio sarebbe incentrata su Maria, figlia di Antonio. Secondo i materiali ritrovati, infatti, la ragazza sarebbe andata a vivere con un conte (Amerigo Manzini), che vediamo nella prima parte dell’opera in un ruolo apparentemente non rilevante. La giovane conduce ora una vita molto più agiata, finché il padre non la ritrova: Maria si ricongiungerà a lui e il film si chiuderebbe con il loro abbraccio. È evidente come il vero finale possieda toni ben diversi se confrontati con quello in nostro possesso. Oltre a ciò, è anche molto probabile che, a causa della censura, il frammento perduto sia stato tagliato volontariamente.
Con L’emigrante Febo Mari rende note le dure condizioni degli umili lavoratori, spesso costretti a lasciare le proprie famiglie in cerca di un guadagno maggiore che permetta loro di condurre una vita migliore. Forti, poi, sono le inquadrature che mostrano con estrema crudezza e realismo l’incidente sul lavoro di Antonio, illustrando i molteplici pericoli affrontati quotidianamente dagli operai.
Mari, però, non rinuncia ad un certo simbolismo: come ha giustamente notato Cristina Jandelli, nella medesima sequenza il corpo di Zacconi è sollevato dai colleghi, in una composizione che rimanda alla Deposizione di Cristo.
Pietro Lorenzetti, Deposizione dalla croce
Ciò ricorda anche un momento finale di Cenere, quando la figura della Duse viene innalzata, ricordando il Cristo morente.
Eleonora Duse e Febo Mari in Cenere
Conclusione
In uno spazio limitato come questo sarebbe difficile trattare in modo più ampio una grande personalità come quella di Mari. Numerosi sono i progetti da lui realizzati o abbozzati: ad esempio, la versione per la Caesar mai terminata di Pinocchio, l’opera simbolista e dannunziana Il fauno o il film perduto Tormento (che Stella Dagna ha tentato di ricostruire).
Con questo articolo ci auguriamo, però, di aver stimolato la vostra curiosità e di aver suscitato la volontà di approfondire le molteplici sfaccettature di Mari, con la speranza di restituire un’opportuna notorietà al suo nome e alla sua Arte.