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Roberto Andò: “Il tentativo rimane quello di raccontare storie che appartengono alla grande narrazione di questo paese”

Cinema italiano tra passato, presente, futuro. Rubrica a cura di Giovanni Berardi

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 Roberto Andò e Giovanni Berardi

Dapprima il regista  Roberto Andò  aveva pronto il suo libro  Il trono vuoto,  2012,  vincitore, tra l’altro, del prestigioso premio letterario Campiello Opera Prima. Nel 2013  Il trono vuoto è diventato un film esilarante e riconosciuto, diretto dallo stesso Andò,  Viva la libertà,  vincitore del David di Donatello per la sceneggiatura, scritta dal regista insieme allo sceneggiatore  Angelo Pasquini,  e a cui hanno prestato le loro doti di attori Toni Servillo e Valerio Mastandrea (premiato anche Mastandrea dal David di Donatello per la sezione attore non protagonista).  Sicuramente grandi riconoscimenti per il film di Andò, non ultimo il forte riscontro al botteghino ed il forte riscontro dalla critica.

Dice Roberto Andò:  “L’esperienza  di  Viva la libertà  tratto dal romanzo  Il trono vuoto  per me è stata felice. Il film è andato molto bene ovunque e sono contento di questo. Le problematiche non sono mancate certo, si rischia molto di più quando è il tuo stesso romanzo ad essere tradotto in un film, perché comunque il confronto tra le due opere diventa subito più immediato, meno mascherato, è subito più rafforzato.  La chiave felice però è stata quando, insieme allo sceneggiatore  Angelo Pasquini,  siamo riusciti a trovare quella strada in grado di mantenere intatta l’idea di fondo del romanzo, l’idea soprattutto del personaggio forte, che abbiamo subito affidato alle corde interpretative di  Toni Servillo.  Devo dire che già all’atto di stesura del romanzo si imponeva proprio e nettamente il volto dell’attore Toni Servillo per la fisicità del mio  personaggio doppio. Questo forse è stata una spinta in più affinché il romanzo diventasse subito anche un film.  Dopo è stato quasi un passaggio naturale riuscire a mantenere la drammaturgia del romanzo nell’essenzialità e nel tono leggero. Ed in questo conteso credo che si è rivelata appieno invece la complessità del tema”.

Il film, come il romanzo, racconta la storia di un uomo politico, un deputato del centrosinistra, che in piena campagna elettorale decide di sparire, forse intimorito da un clima non più rilassato che investe oggi “il potere”, e per rimpiazzarlo gli “amici” di partito pensano bene di sostituirlo con il fratello gemello, un professore di filosofia ormai completamente matto, tirato fuori da una casa di cura. E nella follia dell’uomo molta verità politica, da un po’ di tempo in avanti, trova un certo riscontro ed anche una certa logica.  Viva la libertà  è stato un trionfo per quanto riguarda la stagione cinematografica italiana in corso, ed è un merito assoluto, perché il film tratta una tematica decisamente politica in un momento storico, appunto, in cui il popolo guarda alla politica con estremo disagio e forte sofferenza. C’è addirittura indigestione ed inaccettabilità verso il mondo politico del nostro paese.  Ed infatti il film, anche questa, in linea di massima, tende a sottolineare, quella della realtà politica sempre più lontana dalla vita quotidiana e dalle esigenze del cittadino. Riaffiorano in Viva la libertà – noi definiamo il film “il grido artistico di Andò” –  le cose migliori di Elio Petri. Guardando poi al percorso artistico del regista, dove la condivisione di tavoli di lavoro con, ad esempio  Leonardo Sciascia e Francesco Rosi  soprattutto, Federico Fellini e Tonino Guerra  (sul set maestoso, e mai più ritrovato, di  E la nave va, 1983)  ma anche Francis Ford Coppola e Michael Cimino   (dove Andò è assistente alla regia nei loro film girati in Sicilia,  il padrino parte III, 1990, per Coppola,  Il siciliano, 1987, per Cimino),  non possono, a nostro parere, non avere il valore assoluto di una ricchezza di cammino sempre più straordinaria.  A Roberto  Andò, insomma, è potuto accadere quello che oggi è praticamente quasi impossibile, nel cinema come in qualunque altro lavoro, cioè il passaggio di esperienze.  Dice il regista Roberto Andò:  “Vivevo ancora a Palermo quando cominciai ad incontrare Leonardo Sciascia. Avevo scritto un trattamento letterario che volevo risolvere cinematograficamente. Chiesi all’editore Elvira Sellerio di aiutarmi ad incontrare Sciascia. La cosa fu resa facilmente fattibile, così cominciai molto presto, già dai tempi di Palermo, ad incontrare periodicamente Leonardo Sciascia. L’esperienza per me fu, come potrai immaginare, impagabile, poi per la mia giovane età, non avevo ancora vent’anni, fu una esperienza che vivevo certamente come qualcosa che aveva a che fare proprio con il sogno realizzato. Sciascia è stato un maestro senza mai stare in cattedra, non aveva assolutamente l’aria di fare il maestro, era un uomo di grandissima umanità e cultura. Trasmetteva proprio immediatamente il sapere. E tutto questo poi accadeva ancora in una Palermo sicuramente priva di riferimenti culturali stanziali. Io invece potevo ritrovarmi spesso a casa di Sciascia dove insieme si poteva discutere di letteratura, poesia, teatro, cinema, dove capitava spesso che Sciascia mi consigliava i testi più adatti, spesso regalandomi anche copie di libri che arrivavano a Sciascia per un consulto, un articolo, un intervento. Poi la frequentazione con Sciascia ha avuto un seguito fondamentale anche a Roma, in un secondo tempo, dove mi era trasferito per poter fare davvero il cinema”.  Erano i tempi a cui a Sciascia era stato chiesto di diventare un deputato della repubblica, una richiesta che proveniva  dal Partito Radicale, ma soprattutto dall’onorevole Marco Pannella in primissima persona.

Dice Roberto Andò: “Devo dire che Sciascia, forse senza pensarci troppo, accettò entusiasticamente questa proposta, e così anche lui decise per il trasferimento a Roma. Io a Roma cominciavo a fare il cinema, ero l’assistente di Francesco Rosi, si preparava il set del film  Cristo si è fermato ad Eboli,  tratto dal bellissimo romanzo di Carlo Levi”.  Sul set di Cristo si è fermato ad Eboli,  come ci ha spiegato Roberto Andò, l’esperienza non poteva non essere da magistero. Dice Roberto Andò: “Non nascondo che tutta l’esperienza con Rosi è considerata da me come un vitale ciclo di lezioni universitarie. Tutto quello che di necessario c’era da imparare sul cinema, con Francesco Rosi, l’ho davvero imparato.  Andò ci parla entusiasta dei cinque mesi trascorsi in Lucania, a ritrovare i posti descritti in maniera così cruda da Carlo Levi nel suo struggente romanzo, una realtà così speciale e così lontana dal sud siciliano vissuto sino a quel momento dal giovane Roberto Andò. Un’esperienza  (ed un film) che non poteva non diventare, prima di tutto, una lunga meditazione sulla condizione di quel sud Italia, un raccapricciante quadro di insieme fatto soprattutto di povertà e di dolore.  Cristo si è fermato ad Eboli  tra l’altro è uno degli ultimi film che ha affrontato con precisione, e con il piglio deciso dell’autore, la problematica del sud-Italia, cioè una ricchezza sempre più ricca al nord, una povertà sempre più povera al sud, una differenza, pensiamo, non solo ancora decisamente persistente nel suo malaffare, ma negli ultimi anni addirittura aggravata, e sono passati anche quasi trentacinque anni dalla pellicola di Rosi.  L’esperienza con Francesco Rosi è stata così fondamentale ed amata tanto da offrire la possibilità ad Andò di testimoniarla nel documentario Il cineasta ed il labirinto. Ritratto di Francesco Rosi,  girato nel 2002 e prodotto dal Centro Sperimentale di Cinematografia in occasione del compimento degli ottanta anni del grande regista napoletano.

Andiamo ora alla filmografia di Roberto Andò, il suo precedente film, Viaggio segreto, 2006, ad esempio  (e qui chiedo perdono per la virata piuttosto personale) è un film troppo amato, non tanto per la sua calligrafia o per qualcos’altro di speciale o di originale, semplicemente è un film che il cronista pensa appartenere decisamente al suo intimo, alla serie delle visioni vissute piuttosto con il cuore. E Viaggio segreto non è solo in questa sezione personale e sentimentale del cuore, viaggia fortemente insieme ad un gruppo di pellicole come, per citarne solo alcune, Uccellacci e uccellini, 1966, Pier Paolo Pasolini, Zabriskie Point, 1970, Michelangelo Antonioni, La prima notte di quiete, 1972, Valerio Zurlini, Lo specchio, 1974, Andrej TarkovskijAdele H., una storia d’amore, 1975, Francoise TruffautIrene, Irene, 1975, Peter Del Monte, Dimenticare Venezia, 1979, Franco Brusati, Paris, Texas, 1984, Wim Wenders, Dancing North, 1999, Paolo Quaregna.

L’attività cinematografica di Roberto Andò si alterna da sempre con le tante regie teatrali. Il suo debutto con lo spettacolo infatti è avvenuto in teatro nel 1986 quando ha allestito per le scene un testo inedito di  Italo Calvino, poco prima della morte del grande scrittore. Le collaborazioni ripetute poi con il commediografo  Harold Pinter (Andò metterà in scena  La stanza, 2001,  Anniversario, 2001,  Vecchi tempi, 2003)  porteranno tra i due una grande amicizia, tanto che Andò dedicherà a Pinter anche un film,  Ritratto di Harold Pinter, 1998. Anche le collaborazioni con Moni Ovadia, Diario ironico dell’esilio, 1995, Il caso Kafka, 1997, Shylock ovvero il mercante di Venezia in prova, 2009, cementeranno una grande amicizia che Andò considera ormai fraterna. Dice Roberto Andò: “Con Moni Ovadia si è stabilito un sodalizio, qualcosa che va davvero al di là della collaborazione occasionale. Ci riguardano un grande retroterra di cose in comune, il rapporto, l’interesse che abbiamo verso la politica e verso la società, il lato ebraico di Moni, il mio status di intellettuale siciliano, c’è davvero, tra noi, anche un grande rapporto proprio con la memoria”.  L’attività teatrale di Roberto Andò continua anche ai giorni nostri, attualmente è alle prove con un testo interpretato da  Laura Morante e Gigio Alberti, da portare in tourné nella prossima stagione. Nel suo primo lungometraggio concepito per il cinema, Diario senza date, 1995, Andò concentra l’idea di raccontare Palermo attraverso i suoi cittadini, anzi attraverso un ipotetico diario scritto dai suoi cittadini dopo le morti di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino (poi nel 2008 la sceneggiatura di Diario senza date  è stata trasformata in un romanzo saggio), vede protagonista un attore internazionale come  Bruno Ganz  e, per l’economia della sceneggiatura, che ha una struttura simile ad un documentario, pur non essendolo in realtà nella sua grammatica, compaiono gli scrittori  Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo, Gianni RiottaMichele Perriera, i magistrati Roberto Scarpinato, Erminio Amelio, Ignazio De Francisci. Diario senza date, visto alla Mostra del cinema di Venezia, ha fatto sognare, di fatto, il regista  Giuseppe Tornatore, tanto da proporre ad Andò, successivamente, la realizzazione di quello che sarà il suo primo vero film di esordio, il film che veramente rivelerà Andò, Il manoscritto del Principe, 1999, il racconto cinematografico degli ultimi quattro anni di vita dello scrittore siciliano  Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ritratto negli anni della scrittura del suo romanzo, Il gattopardo.  Con il film Sotto falso nome, realizzato nel 2004, interpretato tra gli altri da attori quali  Daniel AuteuilAnna MouglalisGreta Scacchi,   Roberto Andò,  tutto sommato, esplora finanche la grammatica del film cosiddetto di genere, come il noir, testimoniando direttamente di non provare nessuna forma snobistica verso quella platea.  Ed è un altro grande merito da riconoscergli.

Dice Roberto Andò:  “Dal mio punto di vista si può riuscire a fare benissimo il cinema e a comunicare qualcosa anche attraverso i racconti del male, delle ombre.  Lo avevano capito molto bene scrittori come Carlo Emilio Gadda e Leonardo Sciascia”. Tra i progetti futuri di Roberto Andò, oltre ad un film ancora tenuto in uno stato embrionale, “sono ancora in una fase di innamoramento del progetto e della confidenza necessaria alla sua realizzazione dice Andò, c’è la possibilità di quella che potrebbe diventare una riduzione televisiva di un vecchio trattamento scritto dal regista, simbolo del neorealismo nel cinema italiano, Giuseppe De Santis  (“il tentativo rimane quello di raccontare storie che appartengono alla grande narrazione di questo paese, riuscirci sarebbe perfetto”)  e che é venuto fuori dai cassetti del regista De Santis  grazie alla tenacia ed alla perspicacia dell’Associazione Giuseppe De Santis, fondata, ed attiva, nel paese di origine del regista, Fondi.

Giovanni Berardi 

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