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Interviews

‘La storia del Frank e della Nina’ intervista con la regista Paola Randi

Tre giovani protagonisti in una Milano inedita e "unica", raccontati da una regista che ama sperimentare

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Paola Randi

Dopo l’anteprima a Venezia e il passaggio nelle sale (che potrebbe tornare…), è arrivato anche al Festival del cinema di Porretta Terme La storia del Frank e della Nina di Paola Randi. Il film, prodotto da Fandango con Rai Cinema, Spotlight Media Productions con RSI Radiotelevisione Svizzera, è distribuito da Fandango.

La Storia del Frank della Nina è un romanzo di formazione per sognatori. Un narratore muto, una realista rivoluzionaria e un irriducibile sognatore dentro una Milano carezzata dalla nebbia, romantica e complessa, nascosta e irresistibile. (Fonte: Fandango)

Nella cornice del festival abbiamo fatto alcune domande a Paola Randi per approfondire e comprendere meglio alcune scelte del film.

Paola Randi: tra i colori e Milano

La storia del Frank e della Nina è sicuramente un film nel quale i colori hanno un significato e un valore particolare. Non servono solo a distinguere un mondo da un altro, o meglio un modo di vedere un mondo rispetto a un altro, ma intervengono proprio all’interno della narrazione. Come hai avuto l’intuizione? Sembra che ci siano vari livelli di lettura soltanto relativi all’utilizzo dei colori.

Tutto nasce da un mio interesse particolare: la memoria emotiva. Ed è un qualcosa che si lega perfettamente con la narrazione cinematografica a mio avviso. Perché con il cinema cerchiamo di catturare un’emozione e potenzialmente farla rivivere per sempre. Quindi è un’arte intrinsecamente nostalgica, celebra la memoria. E sono dell’idea che la memoria che influenza direttamente la nostra libertà sia proprio la memoria emotiva (e qui si potrebbe citare il Frank che dice che la realtà è un punto di vista). Sostanzialmente questo significa che se due persone fanno la stessa esperienza ognuna di loro la vivrà comunque in maniera diversa e traducendolo in immagini vuol dire che i nostri ricordi, legati a odori, colori, sapori sono parziali.

Per questo motivo, e perché volevo fare un film completamente libero, mi sono creata un mio modo di rappresentare tutto questo, partendo innanzitutto dal punto di vista. I colori variano a seconda dello stato d’animo di Gollum, il mio narratore muto.

L’altro elemento fondamentale è Milano. Una Milano che per certi versi è riconoscibile grazie ad alcuni elementi precisi, ma per certi altri è una Milano molto personale e diversa da quella che siamo abituati a vedere.

Milano è la mia città. È una città che io definisco come una città dentro. Se pensi a Roma, Roma ti si offre. È tutta fuori, la vedi, è proprio lì pronta a mostrarsi bella e spettacolare com’è. Milano, invece, no, è nascosta, devi andarla a scoprire.

Partendo da questo presupposto, se io volevo raccontare un po’ la mia città, la prima cosa da fare era raccontare qualcuno di cui si potesse scoprire il mondo segreto. Quindi un narratore senza voce, di cui sentiamo il pensiero, è perfetto per questo. Ma è perfetto anche perché l’intero film è un costrutto della sua memoria, cioè noi siamo dentro un racconto. Ed ecco che, per questo motivo, ci siamo inventati il bianco e nero selettivo. Lo facevamo direttamente sul set, grazie anche al direttore della fotografia Matteo Carlesimo (che è anche un grandissimo operatore steadycam), che mi ha lasciata molto libera. Ovviamente è un lavoro che abbiamo fatto insieme al reparto costume, che ha adoperato dei costumi che potevano riflettere lo stato d’animo del protagonista nel momento in cui ce lo raccontava.

paola randi

Come osservare il film di Paola Randi

Hai anticipato una mia domanda. Avevo notato questa attenzione ai colori relativamente a ogni personaggio che avevo considerato nell’ottica di attribuire un colore a ognuno di loro sulla base dell’emozione prevalente che incarnano. Gollum con il giallo-arancio che richiama la gioia (che lui prova quando è con gli altri due), il Frank con il rosso perché è innamorato della Nina, la Nina con il verde che rappresenta la speranza di evadere dalla rigidità della sua vita e della sua quotidianità.

Sì, certo. E poi devi pensare che io, parlando di Milano, parlo di ricordi, quindi dentro La storia del Frank e della Nina ci sono tanti riferimenti fra cui, per esempio, il fatto che il giallo era il colore preferito di mia madre che per me è stata una presenza fondamentale. Lei era un’imprenditrice ed era a capo di un’organizzazione internazionale che si occupava di diritti delle donne nell’economia, quindi era tutto tranne che la mamma tradizionale, ma per quella è stata una formazione fondamentale. Per questo mi sembrava che Gollum potesse essere caratterizzato al meglio in questo modo. Forse è quello fra i tre che mi rappresenta di più, è più vicino a quella che ero io, una molto timida che girava per la città in cerca di avventure in periferia. Anche se vengo da un’estrazione completamente diversa da quella del personaggio, ma credo che sia quello che meglio incarna l’essenza di Milano. Milano è una città di sognatori perché è una città di emigrati che migrano all’inseguimento di un sogno e di una vita migliore. Io volevo rappresentare una Milano romantica.

E, in effetti, la Milano che ci fai vedere è una Milano accogliente. Una Milano che riconosciamo da alcuni elementi, ma allo stesso tempo è anche un posto nel quale chiunque può sentirsi accolto.

Sì, perché c’è anche quella nascosta, la Milano di quella valanga di outsider di cui però tutti abbiamo fatto parte. E per questo motivo è facile identificarsi in questi ragazzi. Tutti e tre hanno un motivo per avere qualcosa che non va (il Frank, per esempio, ha un problema mentale che gli permette di comunicare perfettamente con il comandante, anch’egli fuori dagli schemi).

I protagonisti e i personaggi de La storia del Frank e della Nina

Interessante è, infatti, anche il rapporto tra i giovani e gli adulti del film. In generale ci sono pochi adulti perché i tre protagonisti sono essi stessi dei piccoli adulti o dei grandi bambini.

Esatto, perché gli adulti purtroppo hanno a che fare con la realtà, con i problemi. Poi c’è da dire che due dei tre protagonisti hanno a che fare con una cosa sproporzionata per la loro età e se ne occupano da ragazzi, facendo anche cose sbagliate.

Per quanto riguarda gli adulti del film credo che abbiano un problema fondamentale: hanno paura. E quando uno ha paura fa fatica a comunicare, anche con le migliori intenzioni. Quindi mi piaceva cercare di raccontare anche questa differenza di vedere e vivere il mondo tra giovani e adulti.

Alla fine il tuo film mostra un mondo adulto che è quasi antagonista, per certi versi, dei protagonisti. L’unico che non rientra in questa categoria è il Comandante che, invece, riesce in qualche modo a dialogare.

Certo, perché il Comandante ha superato tutti gli stereotipi, tutti i condizionamenti della realtà e quindi può stare tranquillamente dall’altra parte con loro.

Una dedica speciale

Infatti è un personaggio interessante per tanti motivi. Uno è sicuramente questo.

E poi è interpretato da Bruno Bozzetto, tanto per dire. Ed è ispirato un po’ a mio papà che durante gli ultimi anni di vita aveva un po’ perso la memoria, ma, nonostante questo, riusciva ad avere una comunicazione con me come mai l’aveva avuta prima. Questa cosa mi fa riflettere sul fatto che io inserisco sempre qualcosa di mio nei film e La storia del Frank e della Nina è il film di mio fratello. Io avevo un fratello, Eugenio, che faceva lo storico della filosofia medievale ed era davvero un genio tanto che il libro che aveva scritto è ancora oggi un punto di riferimento per gli studiosi di filosofia medievale. Oltre a questo e alle tantissime cose che ha fatto e di cui potrei parlare, aveva anche tantissimi interessi, dal jazz ai fumetti e anche al cinema.

Questo film è il suo film perché, prima di tutto, Bozzetto me l’ha fatto conoscere lui e poi perché c’è un momento in cui il libro di mio fratello, Il sovrano e l’orologiaio, è citato, precisamente quando il Frank dice ma se Dio può tutto, può peccare?.

Quindi ogni tuo film si può ricondurre a un membro della tua famiglia?

Sì! Il primo è per mia sorella perché parlo di quello che studiava mia sorella all’epoca: la migrazione cellulare. Poi ho fatto un corto per mia mamma, La tecnica dell’ascensione, in pellicola.

Tito e gli alieni era il film di mio padre perché era tutto sulla memoria e sul fatto di aver perso sua moglie. E questo è il film di mio fratello. A questo punto mi manca fare un film su di me (ride, ndr).

La (non) comunicazione nel film di Paola Randi

Interessante quello che dici perché è vero che il Frank è colui che riesce a comunicare con il Comandante, però, per certi versi, io l’ho visto un po’ come l’alter ego di Gollum, anche e soprattutto per le difficoltà che entrambi, chi per un motivo, chi per un altro, hanno nel parlare e nel relazionarsi con gli altri. Alla fine Gollum prova a parlare dopo aver conosciuto il Comandante. E mi fa sorridere il fatto che tu mi abbia detto che ti riconosci in Gollum e che il Comandante richiama la figura di tuo padre.

C’è da considerare anche il fatto che per me il cinema è stata una gestazione molto lenta. Ho iniziato a 32 anni quando sono andata a Roma perché Milano non la ritenevo adatta a sperimentare il cinema, per me era proprio impensabile. La storia del Frank e della Nina, però, è anche un omaggio alla memoria perché Gollum impara a parlare, cioè capisce qual è il suo linguaggio, dopo che ha conosciuto tutti i mondi con i quali ha a che fare. Quindi è un po’ come dire che sostanzialmente il mio fare cinema ha le sue radici in tutto questo mondo incredibile di personaggi, di ricordi, di situazioni che popolavano quell’epoca della mia vita.

A tal proposito una scena importante è comunque quella in cui lui urla, in maniera liberatoria. In parte siamo di fronte a un momento drammatico perché litiga con il Frank, in parte è divertente perché di tutte le parole riesce a dire proprio quella.

Sì, perché è liberatorio. Secondo me è una cosa che tutti avrebbero voglia di fare. E credo che questo rispecchi anche il mio cinema che non è collocabile.

In più per La storia del Frank e della Nina non ho girato il finale, il film non ha un finale. Approfittando di questa cosa volevo proporre una nuova uscita del film in primavera, in occasione della quale io lo porto in giro con un piccolo libretto che volevo pubblicarmi, che è il mio quaderno di lavorazione, pieno di disegni, spunti, riflessioni, e da questo mostrare il vero finale al pubblico.

Il cinema di Paola Randi

Hai detto che il tuo cinema non è collocabile e, a tal proposito, ho letto una definizione di questo tuo film che credo sia stata fornita proprio da te e che trovo azzeccatissima: un romanzo di formazione per sognatori.

Sì, perché è questo il film. Per anni ho cercato di trovare e dare una definizione al mio cinema. Tra grottesco, favolistico e tanti altri non sono mai riuscita a individuare qualcosa che lo potesse racchiudere al meglio. Poi improvvisamente ho trovato: realismo soggettivo. Anche perché credo che il mio cinema dia voce a qualcosa o qualcuno che nessuno calcola mai, però tutti ci possiamo identificare nel tipo di approccio alla realtà che mostro. È molto più probabile che la gente, nonostante subisca delle tragedie, viva la vita con leggerezza e ironia, piuttosto che come una tragedia continua.

E tutto questo è incarnato perfettamente dai personaggi che hanno sempre in sé quel pizzico di magia o comunque il fatto di essere a metà strada tra finzione, in senso di sogno, e realtà.

Quindi anche il vederne gli aspetti assurdi e divertenti. Peraltro la vita vera è molto più assurda di qualunque cosa io riesca mai a rappresentare.

E poi diventa fondamentale il rapporto che si instaura tra di loro. Tutti e tre hanno questa visione della realtà che va nella direzione del sogno, anche se in maniera ovviamente diversa.

La cosa interessante, secondo me, è che attraverso l’amicizia, che è, tra l’altro, una delle cose fondamentali della vita, i tre si creano una famiglia alternativa. Io capisco benissimo la famiglia per scelta, il fatto che tu ti crei un nucleo di persone con le quali condividi anche cose importanti, a differenza della cosiddetta famiglia tradizionale che, come diceva Michela Murgia, è, in realtà, quella contadina, fatta da enormi tribù.

L’evoluzione di Gollum

Sempre rimanendo sui personaggi, anche se hai parlato del finale che manca, da quello che vediamo si può dire che Gollum è colui che, in fin dei conti, vince.

Lui raccoglie delle eredità.

Sì perché finalmente crede in sé stesso. Fino a quel momento di sé dice solo cose negative, probabilmente gli altri lo vedono così perché lui si vede così e non usa mai elementi positivi per descriversi, a differenza di quanto fa per gli altri due. Alla fine, invece, anche questo suo atteggiamento cambia e comincia a vedere il mondo in maniera diversa.

Sono molto contenta che tu l’abbia notato. Lui, in qualche modo, racconta il futuro alla bambina, gli racconta il futuro che vuole lui. E l’altra cosa interessante è che lui diventa un testimone della loro storia scritta nei muri della città. Questo è un altro aspetto molto importante perché a me piacciono le città e sono una regista più urbana che di campagna. Più le città sono grandi, più sono porti sicuri.

La sigla milanese nel film di Paola Randi

E a questo concetto richiama indubbiamente la scena subito dopo la sequenza iniziale, quella che si potrebbe quasi definire una sorta di sigla che mostra una Milano diversa da quella che poi vedremo nel film. E questa Milano piena di persone, di caos, di confusione contrasta un po’ con quello che abbiamo visto e con quello che vedremo.

Sì, quelli che vediamo sono pendolari, persone che vanno a lavorare. E sono immagini molto vere che trovo anche più interessanti rispetto a vedere il Duomo. Anche perché il Duomo esiste perché ci sono state una serie di persone che ci hanno lavorato. Milano si fonda sul lavoro, un po’ anche perché è molto vicina alla Svizzera e risente della visione calvinista del sacrificio con il lavoro che è quasi un rito.

E poi Cochi e Renato servono proprio per dare una linea di interpretazione al film anche perché la prima scena è molto drammatica.

Sì, forse la più drammatica di tutto il film, almeno visivamente e perché porta alla scomparsa.

È vero. Forse accanto a questa si può citare anche quella di violenza nei confronti di Nina, ma lì almeno sono tutti e tre insieme e si fanno forza a vicenda.

Il cast (e non solo) de La storia del Frank e della Nina

Prima di concludere, oltre alla regista Paola Randi, non si possono non menzionare i tre giovani attori protagonisti che sono riusciti a cogliere perfettamente il senso dei loro personaggi e a trasmettere le loro paure, ma anche i loro sogni.

Io sono molto fiera dei miei ragazzi, che sono stati bravissimi. Per Gabriele Monti, per esempio, era la prima volta sullo schermo. E anche per Bruno Bozzetto. Potrei stare a citare tutti perché, oltre a Samuele Teneggi e Ludovica Nasti, anche Marco Bonadei nel ruolo non semplice del Duce è stato molto bravo. E poi devo citare anche una serie di amici e amiche, soprattutto amiche, che ci hanno voluto dare una mano: Margherita Di Rauso, Alessandra Casella, Anna Ferzetti.

E non solo gli attori, ma anche la mia squadra. Ho avuto un montatore pazzesco, Andrea Maguolo, ma anche un musicista svizzero, Zeno Gabaglio che ho apprezzato perché è veramente un musicista da cinema.

Paola Randi e il futuro

Progetti futuri per Paola Randi dopo Porretta?

Oltre al finale de La storia del Frank e della Nina che voglio portare in giro, sto lavorando a una serie per Rai1, L’altro ispettore, su un ispettore del lavoro.

Non avendo mai fatto serie per la Rai ho scoperto un mondo nuovo e con un personaggio interessante perché si tratta di un ispettore senza pistola, non è un violento, ma uno che utilizza l’ironia, l’intelligenza e l’attenzione per le persone.

Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli

La storia del Frank e della Nina

  • Anno: 2023
  • Durata: 105'
  • Distribuzione: Fandango
  • Genere: Commedia, Drammatico
  • Nazionalita: Italia, Svizzera
  • Regia: Paola Randi

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