Dopo la presentazione a Venezia 2024, alle Giornate degli autori, Quasi a casa di Carolina Pavone arriva anche al Festival del cinema di Porretta Terme. Il film, prodotto da Sacher Film, Vivo Film, Rai Cinema, con il contributo del Ministero della Cultura, è distribuito da Fandango. Tra gli esordi più convincenti della stagione Quasi a Casa è interpretato da Lou Doillon e, nel ruolo della protagonista, dalla sorprendente debuttante Maria Chiara Arrighini.
Nella cornice del festival abbiamo conversato con la regista Carolina Pavone.
Per la foto di copertina si ringrazia Brando Pacitto.

Quasi a casa di Carolina Pavone
Ho recuperato Quasi a Casa solo in questi giorni e sono uscito dalla sua visione con tale gioia ed entusiasmo da considerarlo uno degli esordi migliori di questa stagione cinematografica. Quasi e casa è una storia che si vede e si rivede anche perché scandito da una dimensione musicale che lo rende altamente fruibile e ogni volta nuovo. Il fatto di essere girato come una session musicale lo rende un film da ascoltare oltreché da vedere.
Che meraviglia, sono molto felice, ti ringrazio. E sono doppiamente contenta per quello che dici perché in questo momento accanto a me c’è Costanza Puma, compositrice di tutte le musiche.
Falle i miei complimenti perché le canzoni, oltre a essermi piaciute, contribuiscono a determinare l’universo della protagonista. Il film si apre mostrando Caterina impegnata a provare il pezzo che dà il titolo al film. Il tentativo di trovare lo stile più adatto alla canzone rimanda agli sforzi compiuti da Caterina per mettere ordine alla sua vita.
Assolutamente sì. Il film ha un po’ una struttura ad anello, comincia con un momento in cui lei si sente persa, non riesce a capire qual è l’adattamento più giusto per il brano a cui sta lavorando e a quel momento ci ritorniamo alla fine. Cominciare il film con una scena del genere ci mette di fronte a un personaggio che come molti giovani è pieno di insicurezze. Caterina lo è tanto della canzone che sta provando quanto della vita che la riguarda. Nei momenti di incertezza capita di farsi venire dubbi un po’ su tutto, dunque la prima scena racconta proprio questo. Quando Caterina si mette le mani in faccia lo fa pensando non solo alla canzone, ma anche domandandosi se ha fatto bene a fare la musicista.
Una performance musicale
Dicevamo di come il film abbia una forma simile a una performance musicale. A dirlo è il tipo di progressione delle singole scene e la maniera in cui queste si relazionano una con l’altra. Anche la divisione della storia in tre capitoli rimanda ai movimenti che compongono una sinfonia musicale. Non so se c’era questa intenzione. In ogni caso ti chiedo a posteriori se questa considerazione può corrispondere a ciò che avevi in mente mentre giravi il film?
Mi sembra veramente molto bello immaginare il film in questi termini. Non posso dire di averlo fatto con un’intenzione precisa ma questa è l’impressione. Immagino che sia proprio così perché il film è pieno di musica dall’inizio alla fine. Il viaggio nella storia è principalmente musicale quindi si comincia con le canzoni di Caterina che inizialmente ci possono sembrare un po’ leggere e poi verso la metà del racconto entriamo nella musica di Mia e il film cambia passo riempiendosi con i suoni e la musica della sua meravigliosa voce.
Alla pari di certe partiture musicali Quasi a casa procede con ritmo sincopato. All’inizio le musiche sono più brevi, interrotte dai continui dubbi di Caterina, poi andando avanti le canzoni riescono a completare il loro corso con una sicurezza che corrisponde allo status da star di Mia.
Sì, sì. Ora che ne stiamo parlando mi viene in mente che in fase di scrittura ho guardato molti documentari musicali prendendo appunti: Sympathy for the Devil di Godard, The Last Waltz di Scorsese, e anche un piccolo documentario di una band, un duo inglese, che si chiamano The Kills. Mi interessava riprodurre anche in un film di finzione questo ritmo un po’ spezzettato di musica e non musica, in cui senti un frammento di una canzone, poi un segmento più ampio, poi delle prove e così via. Una scena a cui sono molto legata è quella in cui Lou fa le prove, si esercita con i suoi musicisti prima di iniziare a suonare perché mi permetteva di raccontare un momento vero della creazione artistica. Volevo che la storia fosse credibile e quindi studiando quei documentari forse sono riuscita ad assorbine anche inconsciamente una verità che poi spero di aver fatto venire fuori nel film.

Peraltro se consideriamo il personaggio di Caterina vediamo che anche lei ha lunghi momenti in cui si comporta in maniera coerente ai suoi propositi ed altri intervallate da brusche interruzioni. Penso alle volte in cui contrariata dalle parole di Mia reagisce con improvvise esplosioni di rabbia. In questo senso anche il personaggio di Caterina ha in sé i ritmi della session musicale.
Anche questa è una cosa molto bella. Se ritroviamo il ritmo della session anche nella protagonista significa che quest’ultima è simile al film e dunque che vi sta bene dentro. Per questo devo ringraziare l’interprete di Caterina, Maria Chiara Arrighini, che ha arricchito il suo personaggio di mille sfumature.
Il disagio di Caterina nel film di Carolina Pavone
Il titolo del film allude al disagio di Caterina rispetto a se stessa e al mondo che la circonda. Quando nel finale la vediamo tornare a cantare la canzone iniziale con una nuova energia capiamo che il percorso è compiuto e che lei, come dice il testo della musica, si sente finalmente a casa.
È così. Sapevo che la risoluzione del film sarebbe dovuta passare da quella canzone però trovare quella adatta a comunicare tutte queste cose era davvero una scommessa. Per farcela c’è voluta la bravura di Costanza che è riuscita a capire cosa avevo in mente. Abbiamo lavorato insieme confrontandoci sui miei e sui suoi riferimenti musicali. Ma per me la vera risoluzione del personaggio sta proprio in come Maria Chiara canta la canzone di quella scena. Dipende da come si muove, dallo sguardo, da quella luce negli occhi che per tutto il film è stata oscurata dalle sue insicurezze. Questo non vuol dire che lei non abbia più problemi, perché qualcosa di quelle paure è destinato a rimanere. Caterina rimane sempre la stessa ma lì trova il coraggio di fare quel passo che nel corso del film non era riuscita a compiere sentendosi una volta per tutte a suo agio nel posto che ha scelto come casa.
Come la musica di Caterina ha bisogno di ritmo così la sua vita necessita di una scossa. La sceneggiatura registra questa esigenza facendo dialogare arte e vita.
Per Caterina capire che la canzone ha bisogno di maggior ritmo equivale a rendersi conto che la sua vita necessita di scrollarsi di dosso un po’ delle cose che la rallentano. Capita spesso anche a me che nei momenti in cui mi sento più giù cerco di darmi una mossa costringendomi a mettere più grinta nelle cose.

I tre capitoli di Caterina
Il cammino di Caterina è scandito da tre differenti capitoli, corrispondenti ad altrettanti fasi della sua crescita, all’interno dei quali troviamo scene simbolo della sua condizione. Nel primo una di queste è la sequenza dal parrucchiere in cui Caterina entra con una precisa idea del taglio di capelli che vuole farsi e ne esce con quello deciso dagli altri.
Esatto. Lì volevo far ridere il pubblico però cercavo anche di raccontare cosa significa essere un’artista donna. La tua immagine ha un peso troppo importante, eccessivo. E Caterina in quel momento non riesce a prendere una decisione neanche su quello.
Il rapporto tra l’artista e la propria immagine è una questione che attraversa tutto il film e che culmina nella riflessione che Mia condivide con Caterina.
Esatto, perché la frase di Mia si ricollega alla scena del parrucchiere e in generale all’insicurezza che Caterina dimostra rispetto al suo corpo e alla sua identità che cela cantando con il cappello calato sugli occhi. Essere artista soprattutto per una donna significa anche avere a che fare con la definizione della propria immagine in una maniera un po’ più complessa rispetto a un artista uomo. E poi Caterina dipende in maniera malsana dal giudizio degli altri. È come se per tutto il film cercasse qualcuno – e a un certo punto questo qualcuno diventa Mia – che le dia il permesso di fare quello che da sola non riesce a mettere in pratica. Mi fa piacere che ne stiamo parlando perché questo aspetto non era mai venuto fuori nelle altre interviste.
Il cambiamento di Caterina
In effetti, dal punto di vista visivo, man mano che il film va avanti, la messa in discussione della propria immagine da parte di Caterina è segnalato soprattutto dal taglio dei capelli e in particolare dal cambio repentino con cui decide di portarli corti. Quello è il segnale che qualcosa sta cambiando e che lei è decisa a riappropriarsi della femminilità che si è lasciata indietro. A quel punto la trasformazione della sua immagine passa anche attraverso un nuovo modo di vestire destinato a diventare più adulto e sensuale.
Sono davvero felice che tu sia riuscito a notare questa costruzione qua, perché ci abbiamo lavorato tanto sia con Maria Chiara che con la costumista e in generale con tutti i reparti. Comunque sì, questo è esattamente il tipo di racconto che abbiamo provato a fare. Farsi i capelli corti è il primo passo verso una nuova vita. Qualche scena prima Mia le aveva detto di pensare alla musica e di non perdere tempo ad aggiustarsi i capelli quindi lei prende la palla al balzo e decide di tagliarseli. A quel punto la faccia di Maria Chiara si colora di nuove espressioni.

Penso che abbiate lavorato molto sulla faccia di Maria Chiara. All’inizio il suo è un volto da bambina che rispecchia il suo sentirsi piccola, in seguito, con l’acquisizione di nuove consapevolezze, lo vediamo diventare quello di una donna.
Sì, dovevamo raccontare il tempo che passava. Il film comincia con Caterina che ha 23 anni e finisce che è molto più grande. Anche qui abbiamo lavorato molto con i costumi, con il trucco ma Maria Chiara poi ha fatto un lavoro enorme per conto suo. Essendo un’attrice precisa e metodica prendeva appunti anche su come avrebbe dovuto essere la camminata del personaggio e su cosa quest’ultimo avrebbe dovuto fare mentre passeggiava. Se siamo riusciti a raccontare in maniera precisa di Caterina lo si deve al cento per cento alla testa e al cuore di Maria Chiara. La sua è stata una performance incredibile.
Un sogno che si avvera nel film di Carolina Pavone
Quasi a casa è anche il racconto di un sogno che si avvera, quello di Caterina che ha la possibilità di incontrare la sua cantante preferita. In questo il film rimane coerente al punto di vista della protagonista adottando uno sguardo in cui si fa spazio la componente onirica e sognante. A favorirla è per esempio l’utilizzo del flashback che permette ai ricordi di assumere contorni quasi irreali al punto di non sapere se quello che vediamo è vero o sia in parte frutto della fantasia di Caterina.
Sì, mi piaceva giocare con questo dubbio che diventa concreto soprattutto nella terza parte, perché quando Mia suona il campanello non sappiamo se è veramente lei o solo una proiezione di Caterina; in questo senso la sequenza in cui loro si addormentano sul tetto della macchina in corsa è ancora più esplicita. Certo, la fotografia del ristorante in cui ci sono loro due sembrerebbe confermare che tutto ciò sia successo. Ciò non toglie che incontrare il proprio idolo come capita a Caterina è più di un sogno, per cui abbiamo lasciato l’impressione di una realtà idealizzata calcando la mano solo alla fine.
La sequenza di Mia e Caterina che escono dalla macchina e si addormentano sopra il suo tettuccio è una delle scene più belle che ho visto al cinema negli ultimi tempi. Peraltro la dimensione onirica con il suo richiamo all’inconscio è perfettamente coerente al contesto del film e al fatto che la forza per crescere e liberarci dalle nostre paure la dobbiamo trovare innanzitutto dentro di noi.
Avevo bisogno di una scena che raccontasse la consapevolezza di Caterina sulla necessità di sganciarsi dal rapporto con Mia e più in generale dal modo in cui la vedeva perché era questo che le impediva di crescere. Lo potevo raccontare in maniera realistica oppure scegliere di andare in un’altra direzione. Nel corso della vita tutti abbiamo rapporti che in qualche modo dobbiamo superare. Questo non vuol dire per forza entrarci in conflitto. Attraversarli mi sembra sia la parola migliore per descrivere il significato che ha per Caterina quella scena.
Mia e Caterina
Uno degli aspetti più affascinanti del rapporto tra Mia e Caterina è il fatto che la prima mantiene intatto il mistero del suo sguardo. Fino all’ultimo non sappiamo fino in fondo cosa pensi, cosa si cela dietro i silenzi che rivolge alla ragazza ogni volta che gli si rivolge.
Come tutti gli artisti Mia è un personaggio ego riferito però a un certo punto sembra disposta ad aiutare Caterina ad aprire gli occhi su quello che l’attende.
Questo aspetto per me era fondamentale. Con Lou Doillon abbiamo fatto un lavoro enorme per costruire il personaggio di Mia perché volevo che restasse ambiguo fino all’ultimo. Mi piaceva che a ogni scena lo spettatore cambiasse idea su di lei perché è esattamente così che si sente Caterina quando sta con Mia. Per questo alla fine è lecito chiedersi se lei le voglia bene perché vede qualcosa in lei o se la tenga vicina perché ne ha bisogno. Volevo mettere lo spettatore nella condizione di farsi le stesse domande che si fa Caterina. Certo è che Caterina dipende dal giudizio di Mia. È lei che deve dargli l’autorizzazione a continuare a essere una cantante e questo va avanti fino a quando la ragazza non si rende conto di doversi liberarsi da questa gabbia che lei stessa si è costruita.
Il film è attraversato da momenti divertenti e anche molto buffi come lo è per esempio quello in cui vediamo Mia e Caterina fare la spesa, con la prima che continua a caricare di oggetti la seconda fino a farla scomparire dalla nostra vista.
Sì, sì, la mia più grande aspirazione è quella di far ridere. Non vorrei fare film esclusivamente comici però in delle storie come questa sento sempre il bisogno di avere delle pennellate di leggerezza perché è cosi che vedo il mondo.
La stessa mimica di Caterina lascia trasparire una rigidità da slip stick comedy.
Devo dire che Maria Chiara ha una vena comica incredibile. Me ne sono resa conto conoscendola e avendola sul set. Anche Lou ce l’ha ma purtroppo il suo personaggio non mi ha permesso di farla vedere.
È una cosa che non si direbbe.
Invece è una persona che ti fa ridere anche solo a livello di body language. Potrebbe recitare in un film comico o in una commedia senza alcun problema.
Corpi diversi nel film di Carolina Pavone
In quello che potrebbe essere un frammento degno di un Buddy Movie vediamo le due attrici sul ciglio della strada con addosso lo stesso costume. Iconica al punto da essere scelta per diventare il poster dei film quell’inquadratura ci ricorda che il film è costruito anche sul rapporto tra corpi differenti,
In quella scena ho cercato di evidenziare le differenze fisiche tra le due attrici a cominciare dall’altezza. Mia è alta, imponente, con un carisma che la precede. All’opposto di Caterina che si sente sempre piccola anche perché il suo corpo lo è. Ci tenevo che questa differenza fosse evidente per tutto il film in vista del finale in cui lei, dopo essere stata minuscola, esile e ingobbita, tira fuori quella carica di energia musicale che poi ci subissa. Quasi a casa è un film di corpi anche perché ho scelto di ambientare buona parte della storia durante l’estate proprio per avere la possibilità di raccontarli meglio. Poi, che dire, ho lavorato con due attrici talmente belle, interessanti e talentuose che la mdp si è subito innamorata di loro.
Carolina Pavone e Nanni Moretti
Guardando il film non ho potuto fare a meno di pensare che la storia in qualche modo ti riguardasse da vicino perché anche tu in giovane età hai realizzato il sogno di lavorare con uno dei tuoi miti.
Assolutamente. Mentirei se dicessi il contrario. A un certo punto della vita ho cominciato ad amare il cinema e a capire che mi sarebbe piaciuto farlo in prima persona guardando i film di Nanni Moretti. Da lì ho cominciato a vedere anche quelli degli altri fino a quando per una serie di circostanze ho conosciuto Nanni a un provino e da lì ho avuto modo di lavorarci. Farlo mi ha fatto capire che mi sarebbe piaciuto scrivere un film che raccontasse quel rapporto tra allievo e maestro. Sono partita da qualcosa che ho vissuto ma poi in sceneggiatura abbiamo costruito due personaggi con una vita propria che ovviamente piano piano si sono allontanati da quella che è la mia biografia.
Lo sguardo di meraviglia di Caterina nei confronti di Mia immagino venga da quello che avevi mentre guardavi Moretti lavorare sul set.
Beh la prima volta che ho messo piede su un set nella mia vita, era quello di Mia Madre facendo l’assistente. Diciamo che avevo uno sguardo molto simile a quello che ha Caterina nel film quando vede nascere una canzone davanti a lei.
Maria Chiara Arrighini e la musica
Lo abbiamo detto più volte durante la conversazione, ma vale la pena ripetere che l’esordio di Maria Chiara Arrighini è di quelli da ricordare per la bravura con cui si è calata in un ruolo non facile per le sfaccettature che implicava il rapporto con Mia.
Io avevo il personaggio bene in mente perché era il frutto di un’esperienza vissuta in prima persona e di alcuni tratti che mi appartengono. Quando ho incontrato Maria Chiara abbiamo incominciato a studiarci a vicenda. Io cercavo di capire l’attrice, lei di capire me come persona, ma il personaggio è diventato tridimensionale quando Maria Chiara ha conosciuto Costanza, la compositrice delle musiche, che in qualche modo è la versione di Caterina nella vita reale. Da lì ha iniziato a seguirla, ad andare alle prove e ai concerti. Quello è stato un incontro fondamentale per la resa del personaggio.
Le musiche sono per forza di cose una parte importante del film al punto da diventare imprescindibili per la temperatura della storia. Come sei riuscita a creare questa sinergia tra scrittura musica e immagine?
Anche questa è stata veramente una magia perché mentre stavo scrivendo il soggetto del film su Instagram mi sono imbattuta in un video di Costanza che cantava. All’improvviso è come se avessi visto vivere il mio personaggio perché anche lei era una ragazza molto giovane, fisicamente piccolina e con questa voce sottile ma potentissima. Le ho scritto dicendo che l’avrei voluta conoscere per farle delle domande che mi servivano per scrivere il mio film. Da lì siamo diventate amiche e a un certo punto le ho detto che avrei voluto le sue musiche nel film.
Musiche diventate la traduzione in musica dei tuoi pensieri.
Sì, sì, ma per davvero. Siamo riuscite a lavorare con un’intesa assoluta proprio grazie alla grande amicizia che è nata conoscendoci.
Il cinema di Carolina Pavone
Parliamo del cinema che ti piace.
Su tutti Paul Thomas Anderson perché è quello di cui aspetto ogni nuovo film con grande trepidazione. Per me lui oggi è il più grande regista vivente, quello a cui mi ispiro. Un’altra che mi piace è Mia Hansen Love, ho adorato in Eden.
Un altro film musicale.
Appunto. L’ho visto mentre scrivevo il mio e l’ho subito amato. Tra gli italiani mi piace molto Marco Ferreri. Qualche sera fa ho visto Girlfriends di Claudia Weil, un film del ’77 abbastanza sconosciuto. Mi è piaciuto davvero tanto.
Quasi a casa partecipa al Porretta Film Festival. Quando lo potrà vedere il pubblico?
È in cartellone per il giorno 11 dicembre e con me a presentarlo ci sarà anche Costanza. Per me sarà un giorno di festa.