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‘Le conseguenze dell’amore’: il cinema italiano e quello americano

“Le conseguenze dell’amore” è un’opera tarantiniana e sorrentiniana. Un capolavoro che indaga l’animo umano

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Su Netflix il capolavoro di Paolo Sorrentino : Le conseguenze dell’amore. Il secondo lungometraggio del cineasta italiano, nel 2004, dopo essere passato in concorso al Festival di Cannes, conquistò vari riconoscimenti ai David di Donatello 2005 : su 10 nominations ne vinse ben 5 tra cui miglior film, regia, sceneggiatura e attore protagonista. Prodotto da Medusa Film, Fandango e Indigo Film, Le conseguenze dell’amore vede tra gli interpreti principali l’attore feticcio di Sorrentino Toni Servillo. Insieme a lui, Adriano Giannini, Rolando Rovello e Raffaele Pisu.

IL TRAILER – Le conseguenze dell’amore

Sinossi – Le conseguenze dell’amore

Titta Di Girolamo ( Toni Servillo)  è un commercialista della mafia esiliato a Lugano e obbligato da Cosa Nostra a depositare la valuta sporca per conto dell’organizzazione criminale. Alienato dalla sua insoddisfazione e dipendente dall’eroina, Titta cercherà di fare la cosa giusta per diventare finalmente una brava persona.

Prigione dorata – Le conseguenze dell’amore

Se Tarantino avesse modo di visionare Le conseguenze dell’amore (e chissà che non l’abbia fatto da cinefilo incallito qual è), ne rimarrebbe irrimediabilmente travolto, con un ghigno di compiacimento ed esaltazione. Il film del regista italiano difatti si presenta come una prova riuscita di rielaborazione di un’idea di altri affrontata con una personalità ben identitaria e centrata. Sorrentino continua col suo secondo film il discorso affrontato dal primo Servillo de L’uomo in più ( 2001); l’individuo insoddisfatto, rinchiuso nella gabbia della vita e poco disposto a darsi una seconda possibilità. Titta è l’archetipo del sociologo George Simmel: l’uomo nella sua alienazione continua, attraverso la noia mette in moto l’ordinarietà come meccanismo e certezza di non voler sperimentare altro.

E il protagonista de Le conseguenze dell’amore è un uomo consumato dalla prigione dorata in cui Cosa Nostra l’ha rinchiuso. Osserva, fuma al bar del suo hotel senza accennare alcuna conversazione rilevante. Assume eroina con cadenza minima ma regolare, annoiato anche dalla trasgressione della droga. Titta consuma le sue giornate a Lugano nel segno della negazione di ogni forma di emozioni. Non prova più nulla nel suo esilio di otto anni. Ripete l’incomunicabilità telefonica con la ex moglie e i figli nel mondo svizzero: finge di non vedere le partite truccate con gli ospiti dell’albergo, rinuncia (inizialmente) a una ipotetica relazione con la cameriera del bar dell’albergo, e continua la sua non comunicazione con il fratello Adriano Giannini che opportunamente Sorrentino dipinge pieno di carica vitale. Titta vive di avanzi. Resti di cui si ciba il teatro dell’assurdo del regista italiano.

Servillo e Jackie Brown

La componente della farsa criminale, la spada di Damocle su Servillo, è rielaborata con il classico autolesionismo filosofico di un film sorrentiniano, ma mostrato nell’ottica visiva di Quentin Tarantino. Il regista di Parthenope cita e ricita Jackie Brown ( 1997). Le scene delle scale mobili dell’aeroporto e del centro commerciale sono dei vividi riferimenti, ma Sorrentino cerca di distinguersi e di non sembrare simile per togliersi dalla classica opera derivativa. Nella scena inziale potrebbe emulare Tarantino col dolly che scorre; invece riprende l’interno con una ripresa fissa.

Certamente il cineasta nostrano è dipendente da Jackie Brown; e lo si vede per come gestisce i falsi raccordi tra una inquadratura e l’altra, l’uso del glitch e i vari particolari sul corpo umano. Adottando anche nella musiche la struttura tarantiniana, e usandole con contrasto nei vari momenti del film: i pezzi dei Lali Puna e dei Mogwai rendono la colonna sonora incredibilmente pulp e inconsueta per il futuro Sorrentino. Mobilità registica e scomposizione di scrittura che non mettono in secondo piano l’uomo in meno di Servillo che diventa l’uomo in più.

Cattive e brave persone

Ma può un uomo corrotto fare la cosa giusta? È questa la strada che sceglie Sorrentino per il suo Servillo. Una domanda amletica che Titta si fa per tutto il film. Cerca e trova alla fine tutti i modi per trasformare un uomo corrotto nel simbolo dell’antimafia. Prima toglie dai soldi sporchi 100.000 euro come regalo per l’interesse romantico per Sofia, la barista dell’albergo. Poi va incontro al suo destino decidendo di non scendere più a patti con la sua coscienza. É una cattiva persona che diventa buona. Sconfina nell’abisso della sua esistenza risalendo negli inferi della sua anima. Trovando gli ultimi residui di bontà che legano l’individuo alla sua limitata permanenza su questa terra.

Sorrentino riesce a far emergere l’eccezionale connubio tra cinema italiano e americano; inquadra il boss nel colloquio con Titta proprio come farebbe Tarantino con Marcellus Wallace, in un epilogo in cui la distruzione dell’esistenza passa dalla morte come nuova vita. Il secondo film del cineasta italiano ci dice una cosa semplice e difficile. L’uomo arriva al culmine della propria soddisfazione non quando sottrare qualcosa all’umanità, ma quando si dona al bene senza indietreggiare mai.

Le conseguenze dell’amore è un film di Tarantino e di Paolo Sorrentino. Violenza e filosofia dell’individuo si fondono per dar vita a una grande opera che ci spinge a riflettere sul senso dell’essere umano. C’è sempre spazio per redimersi alla fine del proprio tempo.

“Progetti per il futuro: non sottovalutare le conseguenze dell’amore.”

Intervista a Paolo Sorrentino – Parthenope

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