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Festival del cinema di Porretta Terme

Stefano Pesce: “Formazione teatrale, ma fare l’attore di set mi fa sentire pieno al cento per cento”

Attore teatrale, televiso e cinematografico, autore, regista e anche insegnante. Quattro chiacchiere con Stefano Pesce in concomitanza del Festival del Cinema di Porretta 2024

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In occasione del 23esimo Festival del Cinema di Porretta Terme, abbiamo avuto la possibilità di parlare con Stefano Pesce. Attore teatrale, televiso e cinematografico, autore, regista e anche insegnante, Pesce è uno degli artisti più importanti e prolifici degli ultimi 25 anni.

Pesce, assieme a Licia Navarrini, sarà anche docente per il corso formativo “CamERActing – Essere attori nell’audiovisivo“, curato dall’ente di formazione Cronopios. Il focus di questo percorso è la complessa struttura del lavoro dell’attore cinematografico e televisivo, che, oltre alle competenze in materia di interpretazione e recitazione, deve avere conoscenze e capacità tecniche che lo pongano in dialogo attivo con tutte le professionalità che compongono la complessa “macchina” produttiva cinematografica.

Il Festival di Porretta 2024, diretto da Luca Elmi, si compone di diverse sezioni e momenti volti a promuovere la cultura cinematografica presso il territorio e le giovani generazioni. Tra queste, anche la sezione I Mestieri del cinema, spazio tradizionalmente dedicato alle giovani generazioni e al territorio, promosse dalla Emilia-Romagna Film Commission.

Di seguito, ecco la piacevole chiacchierata con Stefano Pesce.

Pesce e il Festival del Cinema di Porretta Terme

In questi giorni lei è tra i protagonisti del Festival del Cinema di Porretta Terme, che svolge un importante lavoro di promozione della cultura cinematografica sul vostro territorio e per le giovani generazioni. Cosa significa e cosa porta il cinema per i ragazzi di oggi? E cosa ha significato per lei giovane?

Il cinema è un luogo dove convergono tantissime arti, e quindi appassionarsi al cinema e stare con il cinema, vederlo, frequentare le manifestazioni, i festival, la sala. Ma anche dentro la propria televisione di casa, leggere le recensioni, i giornali, le critiche, guardare le
fotografie di set. Vedere i lavori di tutti i professionisti che lavorano nel cinema o sui set televisivi è un fatto culturale molto importante. Per cui chiunque si avvicini al cinema compie un’autoeducazione. Perché il cinema contiene la pittura, la scultura, il teatro, la fotografia, la
letteratura, la musica, l’ambiente naturale, l’ambiente domestico, l’ambiente industriale. Contiene la nostra storia, parla del nostro futuro. È quindi uno specchio del nostro mondo più complesso, più vasto.

Stefano Pesce

Io penso che sia un mezzo che aiuti a guardare, a vedere vari aspetti culturali della nostra vita. Per quanto mi riguarda è stato proprio questo, ho iniziato con la formazione teatrale ma avevo sempre l’idea di arrivare all’audiovisivo. La formazione di attore di arte drammatica è necessaria per poi essere un buon attore nell’audiovisivo, ma poi c’è tutto il resto di quello di cui parlavo fin da giovane. Mi sono sempre preoccupato di guardare molta pittura, molta scultura, e molta arte.

Lavorare con i giovani

“CamERActing – Essere attori nell’audiovisivo” è uno dei progetti che sono collegati a questo festival. Qui lei ha anche l’occasione di stare a contatto con i giovani, facendo quasi da insegnante. Cosa pensa, da maestro, di poter dare in questo
contesto e di cosa pensa che i ragazzi abbiano bisogno?

Io mi sono sempre rapportato agli allievi, che sono diplomati in teatro in questo corso di alta formazione, come un collega più anziano. Come un collega che ha 25 anni di esperienza che loro non hanno, e quindi consigliare, dopo aver capito che tipi di persone sono, che tipi di attore
sono, quali sono le loro necessità, le loro aspirazioni artistiche. Ma anche un percorso professionale, fornendo l’incontro con dei professionisti. Diciamo così, sono un trait d’union.

Certo, ho fatto anche delle lezioni di recitazione, ma sono un trait d’union con il mondo professionale. Ho impostato dei lavori, una cosa a cui tengo molto, sulla propria presenza, matrice e neutralità di fronte alla macchina da presa. Questo è, sostanzialmente, ciò di cui mi occupo. E poi anche della recitazione. Facciamo anche delle “scene ritrovate”, che chiamo così perché le ri-recitiamo noi, ma poi c’è un sacco di altra roba. Insieme alla codirettrice e ideatrice del corso di alta formazione, l’attrice e formatrice Licia Navarini, abbiamo portato avanti questo secondo anno.

Al termine degli anni formativi produciamo un reel. Un video dove gli attori vengono messi alla prova dentro un piccolo progetto semiprofessionale e presentato al Festival di Porretta. Ed è in questo che si configura proprio la collaborazione con questo Festival.

Stefano Pesce

Dietro la macchina da presa

A proposito di esperienze, lei inizia come attore con una formazione teatrale, passando poi al cinema e alla televisione. Negli ultimi anni però ha aggiunto un nuovo piccolo percorso oltre quello di insegnante, e qui cito le sue parole: “Dopo aver capito bene cosa vuol dire farsi dirigere, adesso superati i 50 anni ho deciso di percorrere anche la strada di autore e regista”. E allora citiamo anche “Le variabili del tempo”, da lei diretto, che sarà anche visionato al Festival di Porretta dai ragazzi. A suo avviso, adesso lei è anche un giovane regista o un regista di una generazione giovane? Oppure, proprio data la sua importante carriera, si considera un esperto nuovo regista, magari con uno spirito più giovanile?

Io sono un giovane regista, assolutamente. Stando dentro vari set, per tanti anni, ho visto bene che cosa vuol dire dirigere e quindi costruire tutta una macchina nella quale un attore si può esprimere. Provo a fare questo con i mezzi didattici per ora: ho fatto un mio corto di 30
minuti, questa è stata la mia vera prima regia. E poi faccio i reel finali di cui si parlava prima.

Un volto, tanti personaggi

Tornando invece alla carriera attoriale, questa prende il volo all’inizio del 2000, più o meno. Ne consegue quindi, che le “nuove generazioni” dell’epoca sono anche cresciute con alcuni dei suoi lavori. Mi metto in mezzo anche io, a 7-8 anni non perdevo una puntata di RIS in televisione con i miei genitori. Le chiedo quindi, tra tutti i personaggi che ha interpretato, quale sente che sia quello che ha lasciato di più? E quale avrebbe voluto che lasciasse qualcosa di più e che magari sente che non sia stato apprezzato a pieno?

Il personaggio al quale sono più affezionato, e che credo che avrebbe potuto lasciare qualcosa di più, è stato il personaggio di Giove, nel film di Ligabue Da zero a dieci. Ero molto giovane dal punto di vista dell’esperienza cinematografica. Quando mi è capitata questa grande occasione, probabilmente avrei potuto dare di più dentro quella scatola bellissima che è stato quel film. Un esordio con una certa forza e una certa visibilità che ha comportato un sacco di cose, perché ho esordito anche come cantante. Si sentiva la mia voce in radio dappertutto. C’erano cartelloni ovunque, e poi l’esposizione mediatica…è stata un’esposizione molto potente. Non ero così pronto per un lancio del genere.

Stefano Pesce

Una soddisfazione su qualcosa che ho fatto, che invece è andata a centro, è stato il personaggio di Padre Isaia, nella serie Il tredicesimo apostolo. Una serie Mediaset dove io interpreto un gesuita omosessuale innamorato di Claudio Gioè, Gabriel, che per salvargli la vita, sostanzialmente, lo denuncia. Sono state due stagioni, secondo me, belle dal punto di vista della realizzazione e così di tutto l’intorno: ambientazioni, scene, dialoghi, casi di cui ci si occupava. Credo di essere riuscito a fare un lavoro di costruzione del personaggio come lo intendo io. Cioè un arco narrativo complesso, con delle battaglie e degli ostacoli da superare. Ostacoli che, superati, cambiano il personaggio e lo portano in un’altra dimensione, e nel giro di due stagioni credo di essere riuscito a fare questo lavoro.

Il “posto” di Stefano Pesce

L’ultima domanda è più che altro una curiosità. Tra attore teatrale, televisivo, cinematografico, regista, insegnante, quale attività gli dà più soddisfazioni?

Ultimamente, devo dire che sto ritornando un po’ alla mia vecchia passione originaria: quella di fare l’attore sul set. L’attore sul set è, come qualcuno dice, my cup of tea. È il lavoro che riconosco, che capisco, con il quale mi sento al cento per cento pieno. Come un pulcino dentro un uovo, è tutto spazio occupato.

 

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