(Non) sempre la stessa musica: 10 biopic musicali rivoluzionari
In un mare di cinema Fast-food dato in pasto a un pubblico che si accontenta troppo facilmente, ci sono film capaci di raccontare ascesa e declino di artisti unici in modo anticonvenzionale. Ecco una selezione di Biopic musicali coraggiosi che hanno fatto la storia
Il 2024 è stato, anche, l’anno dei biopic musicali . Diverse uscite scandite nel corso degli ultimi 12 mesi hanno arricchito una già satura collezione di opere sempre intriganti, capaci di risvegliare emozioni recondite nei fan di artisti senza tempo o di far conoscere, alle nuove generazioni, quelle leggende raccontate con passione, e condite da aneddoti, dai propri genitori.
Biopic musicali come Back To Black, che ripercorre la travagliata e breve vita di Amy Winehouse, una delle più importanti cantautrici del 21esimo secolo, fino al fresco candidato agli Oscar A Complete Unknown, incentrato su un segmento chiave della carriera di Bob Dylan, qui interpretato da Timothée Chalamet. Il 2024 ha poi avuto Marìa, il racconto degli ultimi dolorosi giorni della ‘Divina’ Maria Callas, messi in scena dal genio di Pablo Larraín e con l’interpretazione di Angelina Jolie, e One Love, l’attesissimo biopic su Bob Marley.
Biopic musicali: è tutto un copia e incolla?
L’elevata quantità di produzioni, anche ad alto budget e sopratutto negli ultimi anni, di film appartenenti a un genere per sua natura restrittivo, legato a dinamiche consolidate e replicate allo sfinimento, ha portato il biopic musicale a essere spesso e volentieri una semplice vetrina, sia commerciale che per gli attori protagonisti, con poco da offrire a livello cinematografico, risultando molte volte banale e poco innovativo. L’infanzia travagliata, l’inseguimento di un sogno impossibile, l’improvviso successo e infine il declino: la ricetta è sempre quella.
Se a questo si aggiunge l’assenza d’interpretazioni realmente ‘da Oscar’ e alcune scelte, infelici, forzate nel tentativo di allargare il più possibile il target di riferimento, la frittata è servita: una sfilza di film mediocri e troppo simili tra loro, campioni d’incassi eppure rei di affossare il genere; basti vedere il disastro di Bohemian Rhapsody e il suo simultaneo successo al box office.
Ma in questa valanga incontrollata di produzioni industriali, ci sono film differenti, folli o semplicemente strani, alcune volte lineari altre sperimentali, sottili o taglienti, ma senz’altro indimenticabili e che si sono coraggiosamente distinti dalla massa. Qui una lista, rigorosamente in ordine cronologico, di alcuni biopic rivoluzionari, spartiacque di un genere.
Lady Sings The Blues (Sidney J. Furie, 1972)
Quando a un regista eclettico come Sidney J. Furie venne dato l’arduo compito di rappresentare la vita di un’icona, non solo della musica ma di tutta la black culture, come Billie Holiday, la “signora del blues”, le aspettative erano alte. Lady Sings The Blues, che vanta la stella di Diana Ross, al fianco di Billy Dee Williams e Richard Pryor mescola in un film emozionante i drammi della cantante con il più ampio contesto di un’America in guerra, contro i proprio pregiudizi, e un recente passato a dir poco scomodo.
La pellicola debutta nell’anno zero della Blaxploitation e contribuisce ad alimentare il moto d’orgoglio di quella parte del popolo statunitense che stava finalmente alzando la voce. Il film è un calderone di argomenti e deve fare i conti con una rappresentazione inevitabilmente superficiale di tematiche socioculturali, razziali, storiche e personali, ma il messaggio che Lady Sings The Blues regala al pubblico resta comunque indelebile, chiaro e rivoluzionario, un tassello fondamentale del sovvertimento portato dal cinema nero nella prima metà degli anni ’70.
Lady Sings The Blues (Sidney J. Furie, 1972)
Amadeus (Miloš Forman, 1984)
Tratto dall’opera teatrale di Peter Shaffer,Amadeus è l’epopea di Wolfgang Amadeus Mozart. Il ritratto del celebre compositore austriaco, tra genio, dramma, musica e follia, rispecchia pienamente l’immagine che uno dei più grandi artisti musicali di tutti i tempi porta con se, adattata al cinema frizzante degli anni ’80 e contraddistinto dall’inconfondibile firma del suo regista Miloš Forman, assiduo osservatore dei tratti più folli della mente umana, sempre sul filo tra la vita vissuta in pieno e la morte dello spirito.
Il Mozart interpretato da Tom Hulce è al centro di un’opera che si prende parecchie libertà, a partire dal suo non-protagonista, il rivale segreto Antonio Salieri, ossessionato dal successo di Mozart e, secondo molti, provocatore della sua morte prematura. Salieri è il vero motore della storia che viene raccontata, l’oscuro punto di vista, l’ombra dietro il lume accecante di Mozart. Una coraggiosa scommessa che Amadeus vince alla grandissima, aggiudicandosi nella stagione ’85 ben otto premi Oscar, tra cui miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore non protagonista, quest’ultimo proprio a F. Murray Abraham, l’oscuro Salieri.
Quella formata da Sid Vicious e Nancy Spungen è la coppia più celebre della scena punk britannica e l’emblema di un’epoca che alla fine degli anni ’70 vive la sua inevitabile discesa verso gli inferi in un turbinio autodistruttivo senza via d’uscita. Sid è il bassista dei Sex Pistols, Nancy una groupie nemmeno ventenne; tra i due scoppia l’amore durante una serata passata a farsi di eroina. Da quel momento le loro vite fuori controllo, l’abuso costante di droghe e la tossicità di due animi così reietti li porterà al più tragico degli epiloghi.
Il film vuole raccontare come il modo migliore per rappresentare il canto del cigno del punk inglese sia quello di lasciare la musica in secondo piano, concentrandosi sullo stile di vita e gli ideali che la corrente portava avanti. Le interpretazioni di Gary Oldman e Chloe Webb sono appassionate e convincenti, anche se ai puristi il film può semplicemente risultare una confusa raffigurazione di quel tempo e le diverse sequenze ai limiti del caricaturale gli danno ragione. Al pari di The Dirt, film del 2019 che ripercorre l’ascesa dei Mötley Crüe, anche il biopic musicale di Alex Cox sceglie apertamente la strada del caos, assumendosi l’onere di porre la pietra tombale su un’epoca destinata a morire giovane. Punk is dead.
Sid & Nancyè disponibile su Prime Video tramite Raro Video e gratuitamente in lingua originale su PLEX
Sid & Nancy (Alex Cox, 1986)
Bird (Clint Eastwood, 1988)
Il volto scavato ed espressivo dell’immenso Forest Whitaker, allora pressoché sconosciuto, si presta all’estro meticoloso di Clint Eastwood per un film tanto delicato quanto sferzante. Bird, contraddistinto da una narrazione frammentata e ricca di flashback, non ha la classica struttura del biopic e sfrutta il buio di una notte perenne per raccontare una storia poetica e romanzata, omaggiando le melodie eclettiche del be-bop statunitense di cui Charlie Parker, detto Bird era capostipite.
Una vita dannata, segnata da alcool e droghe, un amore sfortunato e una lunga lista di morti dolorose, in primis quella della figlia piccola, seguite da altrettanti funerali celebrati sotto la fredda luce di un cielo grigio e malato. Ma se le giornate logoravano Parker, il teatro dove poteva sfogare le proprie emozioni, era la notte; serate passate a esibirsi nei Jazz Club newyorkesi fino a tardi e perdersi nei propri pensieri autodistruttivi. Eastwood esordisce nel biopic con un ritratto unico e libero dagli stereotipi del genere, accendendo una luce sulla vita buia e tetra di un grande della musica.
Nel periodo della sua grande ascesa, Marshal Bruce Mathers III, conosciuto ai più come Eminem, è protagonista di un film ormai cult ispirato ampiamente alla sua vita. La 8 Mile Road nella periferia di Detroit, l’infanzia terribile e la scappatoia del rap in un contesto dove essere l’unico bianco non facilita certo le cose. Lo stesso Eminem è il volto protagonista di una pellicola efficace nel dipingere il contesto Hip Hop dei bassifondi americani e lo stile con cui lo fa rende appetibile quella cultura fatta di musica, rispetto e strada anche ai meno avvezzi.
Operazione simile a quella degli N.W.A. con Straight Outta Compton (2015), film che permettono di far conoscere al grande pubblico uno spaccato della cultura underground nel pieno della sua conversione a prodotto di massa. 8 Mileè un biopic indubbiamente anticonvenzionale che ha contribuito a lanciare la carriera di Eminem a nuovi livelli, piuttosto che celebrarla, oltre a essere uno dei migliori film sulla cultura Hip Hop di sempre. Il brano Lose Yourself, tra i più celebri del rapper statunitense, vinse il premio oscar per la miglior canzone originale nel 2003.
La prima metà degli anni 2000 è definita dall’uscita di biopic musicali attesissimi che, seppur mantenendo una struttura classica, si sono distinti per le interpretazioni memorabili dei loro protagonisti; un esempio è l’indimenticabile Jamie Foxx, premio oscar per Ray (2004) oppure il fenomenale Johnny Cash di Joaquin Phoenix e la chimica speciale portata sul grande schermo insieme a Reese Witherspoon nei panni di June Carter in Walk the Line, biografia della leggenda del folk americano.
Walk The Line, in italiano Quando l’amore brucia l’anima non è un film rivoluzionario nella forma o nella sostanza, seppur riesca a ritrarre efficacemente la carriera pubblica e i demoni privati di Johnny Cash; la regia non si distingue particolarmente. La scelta vincente si rivela essere quella di incentrare le vicende proprio sul rapporto, prima professionale e poi sentimentale, tra Cash e June Carter, puntando tutto sulle interpretazioni trascinanti dei protagonisti, capaci di rendere Walk The Line un film di altissimo livello.
La ribelle e travagliata giovinezza di Ian Curtis, frontman dei Joy Division, incapace di trovare l’equilibrio in una vita che, forse, era troppo per lui. Una vita raccontata in pieno stile inglese, con un bianco nero contrastato che si lega a una vicenda, tristemente, con poco colore e scene dialogate trascinanti e struggenti. Sam Riley impersona l’instabilità di Curtis evidenziando le tante, troppe ombre che ruotavano attorno alla band proprio a causa del suo fragile leader.
Corbijn, formatosi come regista di videoclip New Wave, attinge a piene mani dal libro Touching from a Distance, scritto da Deborah Woodruff, vedova di Curtis e realizza un’opera intima e speciale, omaggiando il genio tormentato di Ian Curtis dall’ascesa della sua stella fino alla morte suicida avvenuta all’età di soli 24 anni e a poche settimane dall’inizio del primo tour americano dei suoi Joy Division.
La vita di BobDylan, mito assoluto della musica, capace di trasformarsi, evolversi come pochi grandi artisti hanno saputo fare, raccontata attraverso sei fasi chiave della sua eclettica carriera, interpretato da altrettanti attori. Haynes, al suo quinto lungometraggio, frammenta e reimmagina l’icona portando sul grande schermo un coraggioso biopic, atipico e all’avanguardia ma, sempre e comunque, dal sapore indipendente.
L’interpretazione, in particolare, di Cate Blanchett la quale impersona Dylan nella fase della ‘svolta elettrica’, ci fa domandare quanto fosse veramente necessario che un altro film ne parlasse. I’m Not There è un’opera completa e conclusiva che omaggia meravigliosamente uno dei cantautori più iconici di sempre con sequenze illuminanti e realizzate magistralmente, un cast stellare e una colonna sonora capace di riadattare consapevolmente i brani del musicista del Minnesota. Un film imperdibile, probabilmente il miglior esempio assoluto di come anche un film biografico su un personaggio ampiamente sdoganato, possa riscrivere la storia e rivoluzionare un genere.
Io non sono qui è disponibile in streaming su Prime Video
Love & Mercy (Bill Pohald, 2014)
Il titolo di questo inusuale biopic del 2014 è tratto dal singolo d’apertura del primo album da solista di Brian Wilson, voce e co-fondatore dei Beach Boys, il quale ha vissuto una vita divisa in due grandi momenti: una giovinezza sopra le righe alla ricerca disperata di una via per far esplodere tutta la sua creatività, messo in scena da un fantastico Paul Dano e un’età adulta più ombrosa, sofferente, nella quale un Wilson cresciuto e disilluso (John Cusack), logorato dalle turbe mentali è oggetto dei soprusi dello psichiatra Eugene Landy, un formidabile seppur a tratti esagerato Paul Giamatti.
Il film si concentra sulla psiche del grande artista e il suo dualismo, accentuando questa spaccatura con la scelta di far interpretare il protagonista da due attori differenti e riesce allo stesso tempo a inserire con efficacia tutti quegli elementi stilistici propri dei Beach Boys, accontentando fan della band e cinefili, con una pellicola equilibrata che lascia il segno.
Impresso nella memoria recente di ognuno, Rocketman è stato come un fulmine a ciel sereno nel panorama dei biopic musicali contemporanei. A metà tra opera biografica e musical, il film di Dexter Fletcher descrive a tutto tondo qualità e difetti del leggendario Elton John, interpretato splendidamente da un Taron Egerton ispirato e sopra le righe. Fletcher, che un anno prima aveva portato a termine Bohemian Rhapsody “per conto” di Bryan Singer, adotta uno stile simile correggendo però gli errori che avevano indotto la critica a stroncare il film biografico su Freddy Mercury e i Queen.
Il film, negli ultimi anni, ha saputo far tornare alla ribalta la figura di Elton John, portandolo a realizzare un tour dalle proporzioni impensabili, sullo slancio del successo di Rocketman e il ricordo di un’epoca non così lontana eppure già ricordata con dolce nostalgia.
Rocketmanè disponibile su Prime Video tramite Infinity Selection
In collusione, una serie di domande scomode sorgono spontanee: tutti gli artisti hanno bisogno di un biopic? Anche se condividono storie simili? Anche se quella stessa storia è già stata raccontata più e più volte in salse differenti? Probabilmente no, ma come un cane che si morde la coda, il circolo vizioso dei biopic poco ispirati e deludenti continuerà a proliferare, lasciando spazio, però, anche a perle inaspettate, come i titoli racchiusi in questa lista.
Nel prossimo futuro ci attende l’uscita del primo film biografico sul ‘Boss’, Bruce Springsteen, interpretato da Jeremy Allen White, uno degli attori sulla cresta dell’onda, nei panni di un mostro sacro del rock americano: sarà dunque la solita solfa? Oppure il contesto della scrittura dell’album Nebraska, dunque all’inizio della lunga carriera di Springsteen, saprà regalare spunti innovativi?
Rocketman (Dexter Fletcher, 2019)
Esempi virtuosi, che fanno ben sperare, ce ne sono, come piece by piece (2024), biopic di Pharrell Williams che, sfruttando la sua partnership commerciale con Lego, ha scelto di realizzare proprio nello stile dei celebri mattoncini, oppure il recentissimo Better Man (2025), nel quale la carriera di Robbie Williams viene ripercorsa tramite un musical in cui la sua persona viene sostituita da una scimmia antropomorfa.
Ora non resta che attendere e, perché no, immaginare cosa potrebbero raccontare i biopic musicali del futuro; dagli artisti nati su internet, al fenomeno crescente dei nepobabies, passando per le star della Generazione Z, l’avvenire appare intrigante.
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