fbpx
Connect with us

Festival del cinema di Porretta Terme

‘La storia del Frank e della Nina’, intervista a Samuele Teneggi

In occasione della proiezione di 'La storia del Frank e della Nina' al Festival di Porretta, abbiamo avuto il piacere di intervistare Samuele Teneggi, che ci ha raccontato della sua carriera, del personaggio del Frank e dei messaggi che il film può trasmettere alle giovani generazioni.

Pubblicato

il

Dopo essere stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, La storia del Frank e della Nina, l’ultimo film di Paola Randi, è stato proiettato anche al Festival del Cinema di Porretta. Proprio in questa occasione, abbiamo avuto il piacere di conversare con Samuele Teneggi, il giovane attore che interpreta l’eccentrico personaggio del Frank. In  un’intervista in cui abbiamo potuto discutere della sua carriera, di ciò che il film può comunicare ai giovani. Del ruolo dell’arte, della cultura e del bisogno di positività nel cinema.

Stai presentando in giro La storia del Frank e della Nina, che è un film che sta avendo un buon successo. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, poi arrivato nelle sale. Adesso si sta facendo un bel giro per i festival cinematografici e vedo che, dove va, viene sempre accolto in maniera molto positiva. Tu come lo stai vivendo personalmente tutto questo periodo?

Io sono veramente contentissimo, e a volte sovrastato dalle aspettative che sono sempre migliori. È sempre un po’ migliore delle aspettative, in realtà, e rimango sempre stupito. E sono contentissimo per una serie di fattori. Perché, per esempio, la regista Paola Randi in questo periodo è impegnata su un altro set e quindi magari chiamano me. Provano a chiamare gli altri, ma anche gli altri sono impegnati, quindi alla fine vado io e mi godo tutte queste ondate di affetto. E spesso mi trovo in situazioni veramente molto familiari, molto calorose, con molta accoglienza. Ed è bellissimo, sono totalizzanti come esperienze. Perché alla fine è questo l’obiettivo, no? Vedere le persone felici di vedere il film. E io sto conoscendo un sacco di persone e fa veramente tanto piacere.

La giovane carriera di Samuele Teneggi

Parlando un pochettino della tua carriera in generale, possiamo dire che è comunque una giovane carriera, in un certo senso appena nata, però in realtà hai già avuto modo di lavorare con dei nomi importanti. Hai recitato in Rapito, sul set di Marco Bellocchio con alcuni degli attori e delle attrici più talentuosi e talentuose del nostro panorama italiano. Poi ne La storia del Frank e della Nina hai lavorato con Paola Randi, insieme ad altre giovani promesse del cinema italiano, come Ludovica Nasti e Gabriele Monti, e anche a nomi del calibro di Anna Ferzetti e di Bruno Bozzetto. Sei stata influenzato, non solo come attore, ma anche come persona, da questo contesto in cui ti sei ritrovato, da queste persone che ti circondano?

Assolutamente sì. Perché uno magari da fuori si fa un’idea di quello che è questo settore, di quello che è la vita da set e poi la vita da attore. E, appunto, di solito le aspettative anche in questo caso sono sbagliate. Nel senso, la situazione da red carpet è una situazione momentanea, come una montagna russa che poi finisce subito, è un po’ tutta forma. Invece sul set la cosa più bella in realtà è proprio incontrare le persone.

Tu hai citato i professionisti di Rapito come Barbara Ronchi, Fausto Russo Alesi, Paolo Pierobon, le nuove promesse del cinema e altri già affermati come Anna Ferzetti. Ma c’è una cosa in comune di tutte queste persone e per cui mi sento molto fortunato: una professionalità sul set che deriva prima di tutto dal fatto che sono persone rispettose, belle persone, generose, sensibili. E portano questa sensibilità con grande onestà nel loro lavoro, e io mi sto accorgendo che questo funziona. Essere onesti sia nelle proprie forze che nelle proprie fragilità, e essere generosi, aperti all’incontro con il collega, con il set in generale, con i reparti, che comunque sono parte viva e necessaria del set, con tutti gli addetti ai lavori, è proprio un piccolo segreto strategico per poi restituire delle interpretazioni di valore, secondo me.

Poi appunto mi sento fortunato ad essere capitato su questi set che erano decisamente di qualità, ma mi sento ancora un amatoriale in crescita. È come una scoperta, perché magari uno pensa l’attore schizzinoso con la puzza sotto al naso, e invece no, sono persone che creano comunità.

Il personaggio del Frank

Parlando invece del film, per l’appunto, tu interpreti il Frank, che è un personaggio davvero molto interessante, molto divertente, anche a tratti malinconico, molto eccentrico, perché è questo giovane ragazzo acculturato e bohémienne che vive in bilico tra realtà e sogno, tra periferia e fiaba. Come ti sei approcciato a questo ruolo? E quali sono state le direttive che hai avuto per gestire l’interpretazione?

All’inizio ero spaventatissimo, e Paola Randi lo sa, perché ormai le ho svelato questa cosa, e quando mi ha preso ero ovviamente contentissimo. Tra l’altro mi ha dato lei per prima la notizia dal vivo, ho detto “bomba, adesso ci mettiamo al lavoro”. C’è stata data tutta la sceneggiatura, e io appunto ho scoperto questo personaggio eccentrico, poi mi ha detto “ti stravolgiamo esteticamente, quindi capelli colorati”. Tutta questa libertà d’espressione, tutta questa autodeterminazione che lui possiede, sono cose che non mi appartengono nella vita, come Samuele Teneggi. Sono molto più succube alle situazioni della vita, sono un po’ più insicuro, un po’ più fragile, però è stato figo proprio per quello.

Poi nel tempo lo spavento si è sciolto a favore di un senso di gioco, perché era un po’ come sperimentare come potrebbe essere la mia vita se io avessi un po’ quelle doti. Se io fossi un po’ più sicuro di me, se mi sentissi un po’ più libero. Ed è una cosa che mi ha fatto scoprire che è possibile essere un po’ più liberi, è una cosa che cerco di portarmi dietro, che cerco di emulare del Frank.

E per arrivarci mi sono affidato molto a Paola, che aveva nella sua testa, nella sua mente un’idea molto chiara del personaggio. Mi ha aiutato con dei riferimenti, sia estetici che artistici. Mi ha dato dei consigli di visioni cinematografiche. E questi riferimenti erano inizialmente, anche un po’ esteticamente, Kurt Cobain, e anche quel suo atteggiamento di fascino inconsapevole, semplicità quasi involontaria, una serie di manga giapponesi, e poi ci teneva che io vedessi i film di Redford e Paul Newman, come La stangata, Butch Cassidy. Perché, soprattutto di Paul Newman, Paola voleva che il Frank avesse quella capacità di convincere e trascinare, quell’intelligenza, quella brillantezza negli occhi, e ovviamente ho provato ad essere all’altezza delle assegnazioni.

Un messaggio per i giovani

Il film parla molto di gioventù, che sogna e vuole farlo in maniera libera. Ma che si ritrova anche a lottare costantemente contro sistemi sociali che sono molto più chiusi e intrappolanti di quanto loro non vorrebbero. Secondo te che tipo di messaggio può trasmettere il film alle giovani generazioni italiane?

Mi è capitato proprio a Porretta di parlare di questo. Questo film non è che dà soluzioni, o dice cose direttamente, ma è più come piantare un semino, no? Questo film è come sedersi su una sedia e fare questa cosa semplice e rivoluzionaria, ossia dare ascolto a un adolescente, con tutti i suoi problemi, con tutto il suo vissuto, con tutti i suoi sogni del futuro. Ascoltarlo senza, veramente, nessun tipo di giudizio. E dicevo prima, piantare un semino, perché magari questo film, con delicatezza e sensibilità apparenti, sfiora tutta una serie di temi molto più pesanti invece, affrontandone però la parte di reazione di questi ragazzi.

Tutti questi ragazzi hanno vissuto la violenza. Ma per questa violenza, di cui si vede poco in realtà nel film, viene dato più spazio alla loro reazione. Quindi magari si presenta una possibilità di reazione alle violenze del mondo.  E nei ragazzi questo semino poi potrebbe crescere e sviluppare delle piantine, che sono dei modi di agire assolutamente personali e che devono essere assolutamente libere e personali.

Ieri in platea c’erano tanti ragazzi e ho detto loro proprio questo. Spero che il film non vi dia risposte, ma vi faccia riflettere sul fatto che state attraversando un periodo di vita che è l’adolescenza, molto complicato, e che a volte basta solo sentirsi un po’ più ascoltati per riuscire a reagire e fare quello che si vuole.

Gli ostacoli per l’arte e la cultura

Un altro tema abbastanza forte è quello del potere salvifico dell’arte e della cultura. Al contempo ci viene anche mostrato come questi aspetti vengano spesso ostacolati, sia a livello sociale che a livello istituzionale. Secondo te come mai l’arte e la cultura trovano così spesso certe barriere?

Me lo sono chiesto tante volte e non ho mai una risposta. Però quella che mi viene più spontanea, è un’ipotesi che faccio, è che ormai la cultura è troppo istituzionalizzata. A scuola le nozioni si studiano per programmi didattici, con delle regole. Gli insegnanti devono rispettare delle scadenze, una quantità di nozioni da insegnare e si perde magari la qualità, l’aspetto piacevole dell’imparare.

Infatti nel film si vede la differenza con un tipo di didattica come quella del Frank che ha lasciato la scuola ma va all’università. Quindi lui ha un tipo di cultura di piacere, impara veramente quello che vuole. Ha una cultura spaziale perché sa di tutto, perché gli piace scoprire le cose del mondo. Allora la cultura diventa da quel punto di vista un’arma, un potere nei confronti anche della violenza materiale del mondo, perché con le parole e con la sua intelligenza riesce a scappare da certe situazioni. A rimodellare la sua realtà.

Di contro il tipo di cultura, il tipo di studio che la Nina deve affrontare è un tipo di studio istituzionale. Lei deve prendere la licenza di terza media e quindi si scontra con le istituzioni, con la tipa del provveditorato a cui non bastano le nozioni imparate dalla Nina e impartite dal Frank, ma serve la firma del genitore, il programma preciso, l’autorizzazione del tutore. Può essere un messaggio di quel tipo, ossia di provocazione nei confronti dell’imparare, che forse è quello che dobbiamo ritrovare. E credo che un pioniere oggi di questo tipo sia un po’ Edoardo Prati.

Il nuovo modo di imparare dovrebbe essere quello fatto per piacere, che ritrova, non solo lo studio, ma la lettura proprio di tutti quelli che sono venuti prima di noi e che parlano di cose assolutamente contemporanee. Perché ci sono poche cose, come l’amore, la morte, la paura della morte, il vivere, l’esistenza, che scatenano nell’uomo sentimenti assolutamente senza tempo e universali. E in cui possiamo ritrovarci anche noi oggi.

Il bisogno di positività

La storia del Frank e della Nina ha sì molti momenti anche più emotivamente duri e impattanti, ma tende a lasciare principalmente allo spettatore delle sensazioni più positive. Di gioia, di felicità, di speranza, andando un po’ in controtendenza con certo cinema contemporaneo che invece è molto più cinico, pessimista, nichilista, che racconta un mondo caotico e dispotico. Secondo te c’è forse una svolta in atto da questo punto di vista? O comunque, si sente forse un maggiore bisogno di raccontare delle storie più legate alla positività, magari soprattutto considerando questo periodo storico?

Non so se si sente il bisogno, ma ti dico che una volta visto il film io stesso ero contentissimo. e

Edesidererei vederne molti altri così. Lavorando con Paola Randi, che prima non conoscevo, ho capito che se l’avessi conosciuta, anche solo per nome, sarebbe stato il mio sogno lavorare con lei. Perché in tutta questa tendenza un po’ più malinconica, un po’ più riflessiva e drammatica, lei porta una botta di colore, un respiro di sollievo. Certo, lei vede la vita con tutte le violenze, le difficoltà, i disagi che vedono tutti gli altri autori e che infatti sono anche nel nostro film, però poi sono affrontati con una delicatezza, una sensibilità, un tipo di ottimismo forse, una positività che proprio fa bene. Guardarla è terapeutica, catartica.

Io stesso a volte mi trovo un po’ disilluso e malinconico, perché forse è una cosa della mia generazione, di tutti quelli che stanno vivendo in questo momento nel mondo. Perché veramente a volte la risposta, e lo dico a malincuore questo, sembra solo il lasciarsi andare a una tristezza senza alternative.

Però, ecco, la mia, più che un’osservazione, è una speranza. Spero che nascano altri film così e che ce ne sia bisogno, proprio perché non deve essere passivo il nostro modo di osservare, e di vivere in questa realtà. E da un ottimismo, da una positività, da un ascolto, da una sensibilità e da un’accettazione del prossimo di qualsiasi tipo, dalla non violenza possano nascere, come i semini che ti citavo prima, delle piante che poi influiscono in modo geopolitico in tutto il mondo. Ho imparato tanto da Paola Randi, perché lei porta questa visione. Io tendo più a rattristarmi, invece lei dice “no, allora, dobbiamo lottare, dobbiamo tirarci su”. Ed è questo il modo, quello giusto: lo riconosco.

Scrivere in una rivista di cinema. Il tuo momento é adesso!
Candidati per provare a entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi drivers