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Noir In Festival

Intervista a Violetta Rovetto. Esperienza e queerness ne ‘Il migliore dei mali’

Violetta Rovetto, in arte Violetta Rocks, ha presentato al Noir in Festival la sua opera prima 'Il migliore dei mali' e abbiamo avuto l'occasione di intervistarla sul film, sulla sua carriera e sul futuro della rappresentazione nella media industry italiana.

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Violetta Rovetto sul set del film "il migliore dei mali"

Al Noir in Festival di Milano abbiamo potuto vedere in anteprima Il migliore dei mali di Violetta Rovetto, in arte Violetta Rocks. Il festival, alla sua trentaquattresima edizione, ha portato in sala il meglio della cinematografia del brivido e del mistero in 6 giornate.

Il migliore dei mali è un’opera prima che racconta dell’Italia del 1997 e di cinque ragazzini, alle prese con la scomparsa di un cane e un sinistro vicino di casa. Sullo sfondo, una misteriosa fabbrica piena di segreti e verità nascoste. Un’avventura tra giallo e fantastico dove i misteriosi avvenimenti che si verificano attorno ai ragazzi li porteranno a scontrarsi con le tematiche dell’evoluzione e della resilienza.

Nella cornice del festival abbiamo avuto l’occasione di intervistare la regista, Violetta Rovetto.

Esperienza e adattamento

Com’è stato trovarsi dietro la macchina da presa? Per qualcuno che di lavoro parla di film deve essere un’emozione unica, ma anche una grossa responsabilità…

Rovetto: È stata sicuramente un’esperienza molto, molto intensa. È un’esperienza estremamente formativa, ma anche estremamente stressante. Il set è un luogo meraviglioso dove si può creare di tutto, ma in un attimo puoi perdere anche l’equilibrio e perdere tutto. Però per me è stata veramente una palestra incredibile. Io avevo avuto l’opportunità soltanto di studiare cinema dalla parte della regia e di mettermi all’opera, diciamo, su contenuti ancora non così professionali come un film per il cinema. Quindi è stata una grandissima occasione, una grandissima opportunità ed è stato molto emozionante, con momenti di stress estremi che secondo me fanno anche parte del gioco e ti temprano.”

E come hai gestito, o stai gestendo, l’inevitabile pressione di dare una propria opera in pasto al pubblico?

Rovetto: “Eh, oggi è stata la prima volta, a questo meraviglioso festival, il Noir in Festival, che il film è stato proiettato per un pubblico che non fosse quello degli interni. Quindi è stato un po’ oggi il vero primo impatto. Devo dirti che ho assistito alla proiezione… io ovviamente il film l’ho visto tante volte, quindi non dovevo vedere niente di nuovo, però ecco, sicuramente ho assistito alla proiezione con il cuore in gola, lo ammetto. Ero veramente molto spaventata, come penso sia normale.

Sono stata chiamata a mettermi alla prova e quindi è giusto anche il confronto con il pubblico, perché è quello che maggiormente poi ti dà il feedback, che sia positivo o negativo o un po’ e un po’… ti dà il feedback giusto per crescere.”

Si sente spesso quella che io trovo una critica molto sterile, qualcosa che suona tipo “è meglio il libro”. In realtà la questione è molto più complicata, trattandosi di due media totalmente diversi. Infatti si dice che il film adatta la storia per la sala. Quali sono state le sfide di adattare un’opera dalla carta allo schermo?

Rovetto: “Sono state tante e dipendono anche da molti fattori. Sicuramente, come hai anticipato, stiamo parlando di due media diversi e quindi bisogna proprio tradurre le cose che funzionano maggiormente su un media, che nel mio caso era quello del fumetto, che poi magari potrebbero anche non funzionare su uno schermo cinematografico o televisivo. Quindi c’è tutta quella fase lì, in cui io sono stata accompagnata da altri due meravigliosi sceneggiatori, ovvero Tommaso Santi e Josella Porto, che mi hanno aiutato molto a concretizzare quello che per me era ancora teoria.

E poi un secondo parametro da tenere a mente sono le esigenze produttive. Perché magari sulla sceneggiatura puoi anche riuscire a traslare in maniera corretta il mondo del fumetto immaginando il media visivo… ma poi non è detto assolutamente che funzioni in qualche modo. Però hai dei parametri standard e sicuramente dovrai anche andarti a ridimensionare, per esempio. Perché le esigenze produttive sono assolutamente da tenere in conto e, anzi, sono fondamentali per capire poi la direzione in cui puoi andare fino in fondo.”

Insegnamenti ed evoluzione

Sui social hai parlato di quanto sia stata un’esperienza formativa lavorare a questo film. Quanto e cosa hai imparato sul set?

Rovetto: “Guarda, non ci basta il tempo per dirlo. Sarebbero veramente tante le cose da elencare. Sicuramente, ho imparato la gestione della pressione, la gestione dello stress. Ho imparato a gestire un gruppo di lavoro con dei tempi che sono stati anche sostenuti. Sapere che il tuo lavoro non dipende tutto da te, ma dipende da un gruppo di lavoro, è sicuramente fondamentale.

Quindi ho imparato anche a cercare di guidare il gruppo e trattenere la coesione tra le persone e provare a suscitare in loro il desiderio di apportare qualcosa di personale al film anche attraverso un’esperienza e la loro visione. Ad esempio, esprimendo quello che sentivano rispetto alla sceneggiatura, ai costumi, alle scenografie… quindi diciamo che ho imparato a lavorare nella posizione di leader in un certo senso, perché poi è quello che sei chiamato a fare quando si tratta di dirigere un film.

Poi ho imparato anche che non è così facile come sembra! No, scherzo, non ho mai pensato che fosse facile. Però ho imparato veramente tante piccole cose tecniche, pratiche che ora non ha neanche senso elencare. Sicuramente adesso so che cosa vorrei rifare nello stesso modo e so che cosa invece andrei a rifare diversamente.

Quindi sicuramente tanta, tanta esperienza.

E se dovessi rifare il film, cambieresti qualcosa, o gli inciampi fanno parte del processo evolutivo?

Rovetto: “Gli inciampi fanno parte del processo evolutivo, ovviamente. Se non li avessi attraversati non potrei neanche andare oltre. È chiaro che, nel momento in cui lo vai a rifare, attraverso quelli puoi alzare l’asticella.”

Il concetto di lotta tra ambiente/sistema e organismo/persona è centrale nella narrazione de Il Migliore dei mali. Da dove nasce la necessità di raccontare questo conflitto? 

Rovetto: “Mi hanno sempre affascinato i film che tendevano a raccontare, ad esempio, le catastrofi naturali. Oppure, in chiave più fantascientifica, la fine del mondo o la fine dell’umanità, ecco, che è una grande paura, una grande urgenza umana. E quindi volevo provare a raccontare qualcosa un po’ in controtendenza, una storia di sopravvivenza in un certo senso, su più livelli. Da questo è nata l’idea di dire: nel momento in cui il mondo può finire, magari qualcuno può anche resistere.

È una storia di resilienza, di resistenza, di lotta e anche di evoluzione.”

Rappresentazione, un tema caro

Quanto è importante avere un personaggio queer coded come Michelangelo in un film di genere in Italia? 

Rovetto: “Io lo ritengo molto importante. Nel senso che a me piace molto, quando parlo di cinema sui miei canali, esplorare proprio la rappresentazione queer nei media, nel cinema, nella serialità… e mi rendo conto che magari nel panorama italiano, forse, abbiamo sperimentato poco ancora. Forse non abbiamo raccontato delle diversità, se così vogliamo definirle… quelle che almeno vengono considerate diversità. Quindi con Michelangelo  è chiaramente un primo approccio. Sì, perché si potrebbe, anzi, si può fare anche molto di più ed è un personaggio in evoluzione.

Però penso e spero che il pubblico possa sentirsi, in qualche modo, validato e rappresentato anche se ne stiamo parlando in modo edulcorato, in questo film, no? In modo filtrato, come hai detto tu, coded, ecco.”

Credi che negli ultimi anni ci sia stata un’evoluzione anche sotto questo punto di vista nell’alveo dei prodotti cine-televisivi italiani?

Rovetto: “Guarda, mi sentirei di dirti che ho riscontrato questa differenziazione più nei prodotti all’estero, ecco, questo sicuramente. Nei prodotti italiani probabilmente ci sono stati dei tentativi. Alcuni veramente degni di nota… però credo davvero che, se vogliamo essere competitivi a livello internazionale, dobbiamo anche ascoltare la sensibilità che cambia. Dobbiamo proseguire su questa strada, forse velocizzarci un po’.”

Nel film ci sono tante famiglie che divergono da quella “tradizionale” (se di tradizione si può parlare): Milo vive con il nonno, la madre di Ettore è una madre single. Anche questo è un aspetto cardine in un’ottica rappresentativa?

Rovetto: “Su questo aspetto in particolare probabilmente ci ho posto meno attenzione e meno peso. Sicuramente c’è più diversificazione su questo aspetto che su quello queer. (nei media, ndr)”

Credi che questa cosa, in qualche modo, aggiunga un tasso di immedesimazione maggiore da parte del pubblico?

Rovetto: “È quello che mi auguro! La certezza non la posso avere, perché chiaramente non posso pensare come pensa il pubblico davanti a questo prodotto. Però l’augurio, l’intenzione, era quella.”

Dalla carta allo schermo

Credo sia stato fatto un ottimo lavoro sulla scelta del cast; molto simile alle controparti cartacee. È stato impegnativo? Quanto attenzione hai messo su questo aspetto?

Rovetto: “Ho avuto l’opportunità di poterla seguire in prima persona e devo dirti che ho cercato veramente di metterci tutto l’impegno possibile. Conoscevo molto bene i personaggi in quanto li avevo creati io stessa già prima sul cartaceo, quindi avevo ben presente come mi sarebbe piaciuto tradurli in carne e ossa. Perciò è stata una ricerca lunga ma neanche troppo… devo dire che sono stata anche abbastanza fortunata.

E devo dirti anche un’altra cosa, ho visto tanti ragazzi e tante ragazze e ho avuto proprio dei “colpi di fulmine artistici”, in un certo senso. Ho avuto veramente pochissimi dubbi sul cast quando ho incontrato quelli che, per me, erano proprio gli attori e le attrici giuste. Ho proprio detto: eccolo, è lui! Eccola, è lei!

Perciò mi fa piacere che questo aspetto sia una nota positiva nel film.”

La mia scena preferita del film è quella in cui Neri viene abbracciato dal gruppo, verso il finale. L’ho trovata molto toccante, messa in scena in modo molto dolce. Anche grazie all’aria perennemente rabbiosa/dannata/spaventata che restituisce la fisicità del volto di Andrea Arru, che lo interpreta. Hai una scena preferita? O più di una, magari.

Rovetto: “Sicuramente quella che hai appena citato. Anche se nella realizzazione tecnica ho avuto delle problematiche proprio con l’ambientazione e con il tempo, quel giorno, quindi un po’ ho sofferto. Diciamo che non è venuta come speravo al 100%. Però mi fa piacere che sia riuscita comunque a dare un impatto.

Invece una di cui sono più soddisfatta è quella tra Ettore e Michelangelo nel parco di notte. Non solo la trovo una scena molto carina, ma anche proprio professionalmente sento di essere riuscita ad avere una serie di pianeti che si sono allineati e che mi hanno dato la possibilità di girarla proprio come volevo, con gli strumenti che avevo a disposizione.”

Uno sguardo sul futuro…

Parlavamo prima della lotta ambiente/organismo; secondo te c’è un modo per l’organismo/persona di sconfiggere l’ambiente/sistema?

Rovetto: “Questa è un’ottima domanda! Ma non ti faccio spoiler perché in teoria questo è qualcosa che si dovrebbe affrontare nel futuro, quantomeno del fumetto. Perché il fumetto è diviso in tre fasi, quindi la parte pre-adolescenziale, adolescenziale e adulta dei ragazzi. Perciò non farmi dire troppo già adesso! Non so se mai diventerà un film, ma sicuramente non voglio svelare troppo di quest’idea che ti è venuta in mente, che effettivamente avrà un proseguo…”

In chiusura, e se ti puoi sbilanciare, altri progetti cinematografici in vista? Magari una nuova trasposizione, o qualcosa di inedito?

Rovetto: “Per il momento ti direi di no. Fondamentalmente io sono assorbita a 360 gradi dal mio lavoro principale, che è quello di content creator. Questa opportunità è arrivata lo stesso, grazie anche a un percorso personale di studi, però non so adesso se ricapiterà oppure no.

Certamente, se ricapiterà, avrò tante nuove cose da poter mettere a frutto grazie all’esperienza fatta con questo primo esperimento.”

Il film è stato proiettato fuori concorso al Noir in Festival. Se volete approfondire, qui la nostra recensione de Il migliore dei mali.

Un ringraziamento speciale a Violetta per la disponibilità, la gentilezza e la precisione nel rispondere alle domande.

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