Al Noir in Festival di Milano viene proiettato fuori concorso Il migliore dei mali di Violetta Rovetto. Opera prima della content creator (in arte Violetta Rocks), che adatta per il grande schermo la propria omonima graphic novel. L’opera cartacea, pubblicata da Shockdom, è stata infatti sceneggiata dalla stessa Rovetto e disegnata da Marco Tarquini. Il cast del film è ben variegato da attori giovanissimi e più esperti, presentando anche la partecipazione di Annalisa Isardà, Massimo Wertmuller e Pietro Ragusa.
Il film, prodotto da Solaria Film, racconta una storia dai toni mistery e nostalgici. Nell’Italia della fine degli anni ’90 Ettore (Giuseppe Pallone) e sua madre Giuliana (Annalisa Isardà) si trasferiscono in un dimenticato paesino nei pressi di una fabbrica. Il giovane ragazzo farà presto la conoscenza di Milo (Niccolò Bizzoco), Michelangelo (Riccardo Antonaci), Neri (Andrea Arru) e Dante (Matteo Ferrara). Sulle tracce dello scomparso cane di Milo, il gruppo di ragazzini ficcanaso verrà a scontrarsi con delle trame molto più grandi di loro.
Imperfezioni produttive
Nonostante questi appunti, la storia de Il migliore dei mali ci concede molti spunti interessanti di cui parlare.
Adattarsi per sopravvivere
In un’ottica meta-narrativa, fa sorridere pensare che un film che adatta un’opera proveniente da un altro medium abbia come fulcro proprio l’adattamento. Il migliore dei mali si apre con una citazione, scritta in bianco su nero, dal tono statuario:
Gli organismi viventi sono in equilibrio col loro ambiente, siccome l’ambiente cambia, debbono cambiare anch’essi. Altrimenti sono condannati a scomparire
Mutamento e resistenza
E in questo ambiente, che spazio c’è per gli organismi ribelli? La risposta sembra essere l’esclusione dal gioco, la morte e la costrizione al silenzio. Se nel giovane Neri gli adulti vengono quasi additati come “corrotti”, colpevoli di aver scelto di rimanere a lavorare per una fabbrica che fa più male che bene, è anche vero quanto dice il nonno di Milo, Nestore (Massimo Wertmuller), al nipote:
Non tutti possono scegliere
Se non nasci in un contesto che ti consente di accedere a uno status privilegiato, troppo spesso non esiste una vera scelta. E così, il sistema si autoalimenta: fagocita la verità, uccide i propri dipendenti, avvelena la terra.
L’altra sfumatura dell’adattamento è quella più evidente e facilmente interpretabile, quella evoluzionistica. Senza entrare troppo nei dettagli che potrebbero risultare spoiler, l’evoluzione qui si fa metafora e diventa carne. Quando è impossibile cambiare il sistema-ambiente, l’organismo-persona si adatta per sopravvivere e contrastarli.
Che questo porti a una vittoria, però, non è affatto scontato, anzi.
Un film di genere
La migliore rappresentazione
Nel suo film, Rovetto non si limita a inserire famiglie atipiche in una narrazione che non pone il loro possibile dramma al centro della trama, ma introduce anche una rappresentazione queer coded con la stessa modalità. Siamo abituati a considerare prodotti che rientrano nella categoria queer come storie che parlano e raccontano l’esperienza di persone all’interno della comunità, incentrandosi esclusivamente sulla loro identità di genere o sessuale.
Allo stesso modo, è raro trovare produzioni e narrazioni che integrino queste esperienze senza farne il perno centrale della trama. Michelangelo è un personaggio fortemente queer coded, ma, nonostante ciò, la sua identità queer non è al centro di drammi estesi né particolarmente rilevante per lo sviluppo della trama. Il suo essere sé stesso è legato esclusivamente a ciò che lo rende simile agli altri, non diverso da essi. Quando, nel finale, ciascun personaggio rivelerà le proprie “differenze”, quella di Michelangelo risulterà essere semplicemente una tra queste.
La miglior rappresentazione è infatti quella che inserisce personaggi appartenenti a minoranze senza fare della loro esperienza il fulcro della storia. Questo consente di dare spazio alle diversità, non come esperienze da raccontare o spettacolarizzare, ma come caratteristiche della persona. Nulla toglie valore alle storie che invece mettono al centro queste tematiche; sono necessarie per sensibilizzare e aprire il dibattito su determinati argomenti. Ma è altrettanto apprezzabile che ci sia anche un’altra prospettiva, in cui il personaggio queer non venga relegato solo a “storie queer“.
Il migliore dei mali è una storia che presenta personaggi queer coded, ma che è anche molto altro.
E questo, di certo, fa sempre piacere.
Se volete approfondire i temi della rappresentazione queer (e non solo) non perdetevi la nostra intervista a Giacomo Guccinelli del FQF e alle due direttrici del festival, Elena Magini e Barbara Caponi!