Ecce bombo, secondo lungometraggio di Nanni Moretti, è fresco vincitore del concorso Classici restaurati all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, dov’erano in competizione diciotto grandi film del cinema mondiale, di registi come Vittorio De Sica, Michelangelo Antonioni, Fritz Lang, Nagisa Ôshima e François Truffaut, per citarne qualcuno. Nanni Moretti ha scelto di presentarlo in un incontro con il collega Renato De Maria, dando vita a una brillante conversazione, piena di aneddoti, riflessioni cinefile e politiche, con la profonda leggerezza cui ci ha abituati in cinquant’anni di cinema, che ha rappresentato i lati drammatici, ma anche buffi, del nostro Paese e della nostra società, entrando nel nostro comune immaginario, visivo e linguistico.
Nanni Moretti ed Ecce bombo
Ecce bombo è del 1978. Tu avevi poco più di 24 anni. Come sei arrivato all’idea di fare un film così?
Venivo da un lavoro fatto in Super 8, Io sono un autarchico. Era complicatissimo fare film parlati in Super 8, era problematica anche l’organizzazione: si portavano da un ottico delle minuscole bobine, poi partivano, si diceva per la Svizzera, a volte tornavano, a volte no. Anche far vedere quei film era difficilissimo: io andavo in giro con proiettore, amplificatore e pizze. Oggi, l’equivalente del Super 8 sarebbe il cellulare, ma è molto più facile fare un film così e, soprattutto, mostrarlo, inviarlo, hai i link, la chiavetta ecc. Avevo fatto Io sono un autarchico in Super 8 coinvolgendo amici, senza attori professionisti. Allora, nel circuito del cineclub, a Roma c’era il Film Studio, a Milano l’Obraz, ogni città aveva il suo. A livello di questo circuito, Io sono un autarchico fu un grande successo. Così riuscii a fare il mio primo film all’interno dell’industria cinematografica. Ebbi persino la possibilità di scegliermi il produttore e, per un po’ di tempo, rimasti indeciso tra Franco Cristaldi, notissimo per aver fatto tanti capolavori, e Mario Gallo. Io mi sentivo più a casa con quest’ultimo e scelsi lui. Nel passaggio dai cineclub ai cinema veri e propri, da un pubblico chiamiamolo d’élite a uno di massa, non è che io abbia fatto un ragionamento come a dire «ah il pubblico ha bisogno di certe cose, di certi modi di fare cinema, di un certo modo di musicare il film, montarlo, di scegliere attori». Ecco, io non sapevo e non volevo sapere quali fossero i gusti del pubblico o i gusti presunti. Come per Io sono un autarchico, ho fatto un film continuando a raccontare il mio mondo, che era una fetta di realtà molto piccola.
Io sono un autarchico
Di questo micromondo racconti i tic e i tormenti. La chiave è ironica, il film ha finito con l’essere classificato come una commedia. Ma era il tuo obiettivo?
No, sia io che il produttore pensavamo di aver fatto un film doloroso, ma con delle cose divertenti. Ricordo ancora quando, in una saletta privata del quartiere Prati, vedemmo il film solo io, il produttore e il montatore, prima che uscisse. Dopo, passeggiando insieme, il produttore, dopo lungo silenzio, mi disse di essere affezionato al film come a quei figli problematici, che ti danno più pensieri. Questo per dire che non mi aspettavo assolutamente il successo che poi c’è stato. Per me raccontava una realtà di giovani romani, anzi di una zona particolare di Roma, della piccola e media borghesia, di sinistra, anzi di estrema sinistra, anzi di estrema sinistra però delusi dalla politica, che avevano abbandonato la militanza e organizzavano un piccolo gruppo di autocoscienza maschile. Un’esperienza che io stesso avevo fatto e la cui parodia raccontavo in Ecce bombo. Io pensavo di aver fatto un film doloroso e per pochi, poi Ecce bombo uscì e si scoprì un film comico e per tutti. Ci fu una rincorsa all’immedesimazione da parte di persone che erano lontane dall’ambiente che rappresentavo nel film, per generazione, per estrazione sociale e anche per idee politiche. Fu una sorpresa per tutti. Probabilmente si sentiva l’esigenza di un cinema nuovo.
Ecce bombo diventa la biografia di una generazione. C’è anche l’inizio delle televisioni e delle radio private, che sarà un tema che scorrerà nella tua filmografia.
Sì, quel tema, però, è più del film successivo, Sogni d’oro, dove io interpreto un regista. A un certo punto, lì c’è una specie di match televisivo con un altro regista, interpretato da Gigio Morra. In teoria una cosa culturale, ma poi diventa qualcos’altro. Ecco lì c’era abbastanza consapevolmente l’anticipo di quello che sarebbe diventata la televisione. In Ecce bombo ci sono le prime televisioni e radio private, però non immaginavo assolutamente che cosa poi sarebbero diventate e cosa avrebbero significato per la società italiana.
Sogni d’oro
Quanto è stata lunga e complessa la fase di preparazione di Ecce bombo?
La scrittura del film mi venne abbastanza facile. Ora, invece, sono diventato molto più lento, a parte il fatto che adesso mi piace di più lavorare insieme ad altre persone per scrivere i miei film, allora no, forse la consideravo una diminuzione del mio status d’autore se l’avessi scritto con qualcuno.
Anche in Ecce bombo recitano diversi attori non professionisti.
Sì, in Ecce bombo, per esempio, c’è mio padre che, finché è stato vivo, ho sempre obbligato a interpretare un ruolo nei miei film. Non era un attore, ma un professore universitario di epigrafia greca e, quindi, non c’entrava niente con lo spettacolo, però io lo cooptavo sempre. In Ecce bombo fa un attore disoccupato che, alla fine, legge una sua poesia a una radio libera. Secondo me aveva talento come attore, di certo più di me. Gli ho fatto fare di tutto: in Sogni d’oro interpretava un produttore; in Bianca uno psicologo per la scuola, ma non per gli studenti, per i professori; in La messa è finita fa un giudice; in Palombella rossa un sindacalista.
Ma a lui piaceva, si divertiva?
Un po’ lo obbligavo, un po’ gli piaceva. I suoi colleghi, all’università, lo prendevano in giro, ma, secondo me, erano un po’ invidiosi, considerando il narcisismo dei professori universitari. C’era solo un patto tra noi: che non ci dovessero essere sue fotografie sui giornali o il nome nei titoli. In Ecce bombo ci sono tanti miei amici non attori insieme ad attori di teatro, come Lina Sastri e Glauco Mauri.
Ecce bombo
Tu sei famoso, anche, per il numero di ciak che giri per ogni scena.
In effetti faccio poche inquadrature, ma molti ciak. Il record, per Ecce bombo, è stato 33, ma, per un’inquadratura di Sogni d’oro, impiegai un’intera giornata di lavoro, 10 ore, compresa un’ora di pausa, per fare solo un’inquadratura, di cui feci 93 ciak.
Ma poi, al montaggio, li rivedi tutti?
Riguardo questo, per me oggi c’è un peggioramento della qualità di vita in moviola. Io la chiamo ancora moviola, ma non è più quel gran carcassone di ferro che era. Ora che si monta digitalmente è un tavolo con dei computer. Quando si girava in pellicola, ci si portava in moviola solo le scene buone: cioè la segretaria di edizione sul bollettino scriveva B per buona, che si stampava, R per riserva, S per scarto. Ora, invece, con i computer a montaggio digitale, io guardo tutto e, quindi, ci impiego mesi. Qui ad Ancona, venticinque anni fa, cominciai a girare La Stanza del figlio. Era settembre 1999. Il film, però, uscì solo nella primavera del 2001, insomma un anno e mezzo dopo, proprio perché in moviola sono stato molto tempo, anche a far le riprese, in verità. Tornando a Ecce bombo, il film fu girato in 16mm per risparmiare, stampavamo le buone in bianco e nero perché costava meno, poi il tutto fu gonfiato in 35mm.
Ecce bombo
Come prendesti l’imprevisto successo di Ecce bombo?
Ricordo telefonate di miei amici che, i primi giorni, mi dicevano entusiasti che gli era piaciuto. Poi, una settimana dopo, mi richiamavano e mi dicevano: «Guarda, ci sto ripensando, perché l’hanno visto i miei genitori ed è piaciuto anche a loro, quindi qualcosa non va». Al di là di questi aneddoti, ricordo benissimo che la vita di Ecce bombo coincise con un periodo drammatico della società italiana. Il film uscì l’8 marzo del 1978, otto giorni dopo in Via Fani le Brigate Rosse uccisero cinque uomini della scorta di Aldo Moro e lo rapirono. Ecce bombo rimase in sala durante i quasi due mesi del sequestro. Io raccontavo di giovani molto particolari che facevano autocoscienza, invece c’era un altro tipo di giovani che tenevano in scacco un intero Paese, facendo scelte drammatiche e violente, inventandosi una guerra che non c’era.
Quanta improvvisazione c’è stata sul set di Ecce bombo?
Devo dire che di improvvisato non c’è quasi nulla. Forse solo il mio amico Giorgio Viterbo, che interpretava il giornalista di Telecalifornia, qualcosa d’improvvisato lo ha fatto. Però tutto il resto era scritto.
Dopo Ecce bombo hai avuto un percorso artistico straordinario che ti ha portato fin qui. Al Nanni Moretti di oggi che effetto fa vedere il Nanni Moretti di Ecce bombo?
Beh, il personaggio non è proprio simpaticissimo. Oggi si direbbe un bel soggettone, forse persino più antipatico di come poteva sembrare allora. Per il resto, è passato quasi mezzo secolo e, insomma, si sente. La cosa strana è che forse io, allora, avendo meno consapevolezza di me, rispetto a oggi, scrivendo e girando quel film, raccontavo un me stesso che, magari, razionalmente, non conoscevo, non decifravo, mettendo in scena cose di me che a livello cosciente non erano affiorate.
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