Rocketman. Elvis. Bohemian Rapsody. Back to black. Bob Marley – One Love. Piccolo elenco, in ordine sparso, dei biopic sui cantanti usciti negli ultimi anni. Senza contare Better man e A complete unknown, in uscita nel 2025. È un genere che sta esplodendo, con film più o meno riusciti. Fra questi rientra Piece by piece, documentario su Pharrell Williams, diretto da Morgan Neville.
L’animazione perfetta di Piece by piece
La caratteristica principale di Piece by piece è l’animazione LEGO. È ciò che distingue questo documentario dagli altri, con un senso e una motivazione. Dopo la visione, sembra che si potesse fare un film su Pharrell Williams solo in questo modo. I LEGO si sposano benissimo con la figura eclettica e indefinibile del cantante/produttore/tante altre cose, che approccia alla musica come ci si approccia ai mattoncini LEGO: ci fai quello che vuoi. E la carriera di Williams parla per lui: con la musica ci fa quello che vuole.
L’idea produttiva di unire LEGO e Williams funziona. Il regista Morgan Neville, documentarista navigato, sfrutta al massimo questa animazione. C’è inventiva, creatività, originalità. I colori esplodono e vedere Snoop Dogg (e tanti altri) in versione LEGO è un piccolo regalo di Natale. Un altro esempio è la rappresentazione dei vari “pezzi musicali”: i beat prodotti da Pharrell Williams, che l’artista propone ai vari cantanti dopo averli assemblati, sono rappresentati come dei pezzi LEGO colorati e luminosi. In Piece by piece forma (LEGO) e contenuto (musica) combaciano alla perfezione, come un pezzo da sei su un altro pezzo da sei.
Piece by piece ha qualcosa che non va
Oltre al filtro dei LEGO, c’è un altro elemento usato per raccontare la storia di Pharrell Williams: il documentario. Ed è qui che Piece by piece perde qualcosa. Se da un lato l’animazione LEGO è originale e funzionale, la forma del documentario è più un ostacolo che un’opportunità per la narrazione. Il documentario è molto classico, con una serie di interviste a persone che raccontano qualcosa su Williams. L’approccio è divulgativo (per non dire solo celebrativo). Si parla tanto delle cose belle, si fa qualche accenno alle cose brutte, ma alla fine non si dice più di ciò che si trova sulla pagina Wikipedia dell’artista. C’è l’idea della predestinazione, dell’unicità dell’artista, ma sono stereotipi. Cliché.
Per quanto vero possa essere tutto ciò, in questo tipo di documentario resta sempre il dubbio sulla profondità di ciò che viene raccontato. In Piece by piece c’è un solo punto di vista, una sola narrazione, seppur raccontata con voci diverse. Sono tutti d’accordo: per Pharrell Williams non è sempre stato rose e fiori, ma alla fine si merita tutto quello che ha perché è un mezzo genio. E questo non è abbastanza. Non basta dire che ci sono stati momenti difficili o che il cantante è impegnato a livello sociale. Non si sta problematizzando, non si sta dando una lettura della figura di Pharrell Williams. Se il documentario non interpreta questa storia molto classica, il pubblico è legittimato a pensare che Williams con la musica ci sa fare, ma alla fine è come gli altri. Anche se Jay-Z dice che spacca.
Il senso di Piece by piece oggi
Questa superficialità nella narrazione documentaristica riduce anche la potenza della scelta dei LEGO. Non c’è un reale discorso su questa scelta formale dentro al film, ridotto a una celebrazione della figura di Pharrell Williams. L’aspetto più interessante è esterno al film. L’animazione LEGO distingue Piece by piece dagli altri biopic musicali di questo periodo. Forse è solo una grande operazione commerciale per vendere le versioni LEGO di Pharrell Williams, Snoop Dogg o Kendrick Lamar. O forse è qualcosa di più. Forse è un esperimento che testimonia una necessità di cambiamento in questo genere molto gettonato. Per capirlo restiamo in attesa anche di Better man, in cui il protagonista Robbie Williams sarà rappresentato da una scimmia, altra interessante interpretazione di una figura musicale.
Piece by piece è un documentario classico, su una storia classica, ma con una forma non convenzionale. Serve a far conoscere Pharrell Williams, a vendere più LEGO e più dischi, ma rappresenta anche una possibilità di rinnovare un genere che rischia già di diventare saturo.