In concorso internazionale al Rome International Documentary Festival 2024, The One I Love di Paweł Hejbudzki è un percorso materiale di occasioni mancate: parole non dette, risposte non date, narrazioni inconcluse.
Storia di non detti intergenerazionali
The one I love dovrebbe raccontare una storia profondamente umana e intrinsecamente struggente. Daria, 41 anni, torna in Polonia per confrontarsi con il passato della sua famiglia: abbandoni, segreti e silenzi che l’hanno accompagnata per tutta la vita.
I temi trattati sarebbero capaci di toccare corde profonde: la negligenza materna, la frattura intergenerazionale, il tentativo di ricostruire un rapporto spezzato. Tuttavia, la narrazione rimane superficiale. Nonostante le rivelazioni drammatiche — fratelli biologici mai conosciuti, una madre che ha dato in adozione tutti i suoi figli — il film non scava davvero nei motivi o nei sentimenti di chi ha vissuto queste esperienze. Non c’è una reale scoperta, non ci sono confessioni che illuminino davvero le ombre del passato. Nessuno chiede scusa, nessuno forse dice la verità.
Persino quando Daria perdona la defunta madre, Wiesia, in un finale che vorrebbe essere acme di pacificazione, il gesto appare obbligato, più che una sincera riconciliazione. Una consolazione per il pubblico, più che una conclusione organica alla storia.
Distanze incurabili
La fotografia è pulita, con inquadrature curate al punto da sembrare fittizie. La ricerca estetica di “bellezza” tradisce la spontaneità che dovrebbe invece trasparire, rendendo ogni scena distante e fredda.
È come se il regista volesse dirci cosa provare in ogni momento: la musica invadente sottolinea ogni svolta emotiva, i dialoghi carichi di frasi a effetto sembrano più recitati che vissuti e l’effetto complessivo è di forzatura. Il risultato crea un divario insormontabile tra Daria, la madre e chi guarda.
The One I Love è un’occasione mancata. Nonostante la potenza del tema, Hejbudzki si perde in un’estetica rigidamente costruita e in una narrazione che, paradossalmente, non racconta. La storia di Daria e della sua famiglia rimane avvolta in un non detto intergenerazionale che si trasmette in un’incomprensione spettatoriale, in cui quasi nessuna delle domande con cui si entra in sala viene risolta. Questa distanza e questa freddezza entrano nell’esperienza di visione e, pur parlando di un dolore autentico, The One I Love non riesce a trasmetterlo.
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