La ventunesima edizione di Corto Dorico si è aperta all’insegna di Stefania Sandrelli, un’attrice icona che ha attraversato sessant’anni del nostro cinema, dagli esordi di Divorzio all’italiana (1962, Pietro Germi) fino alla recente presenza in Parthenope (2024) di Paolo Sorrentino.
In pre-apertura del Festival è stata presentata la copia restaurata di C’eravamo tanto amati (1974), affresco dolceamaro di una stagione della nostra storia. Come evento inaugurale, invece, Stefania Sandrelli ha deliziato il pubblico di Corto Dorico con lo spettacolo Le relazioni pericolose, una lettura scenica che nasce da un’idea di Elena Marazzita (Aida Produzioni), testo di Debora Pioli, regia di Marco Voleri. Lo spettacolo è un’affascinante rielaborazione di Cavalleria rusticana, opera che ha attraversato la letteratura con Giovanni Verga, la musica con Pietro Mascagni e il cinema con Amleto Palermi, Carmine Gallone, Franco Zeffirelli.
In scena, Stefania Sandrelli ha stregato tutti con la sua naturale classe da diva, quella impertinente vitalità, quel tratto seducente e giocoso che ha caratterizzato i suoi personaggi sul grande schermo e la sua stessa vita. Una femminilità sempre audacemente contemporanea alle mutate stagioni della società e del costume, dando corpo alla storia del nostro cinema.
Proprio in occasione del Festival Corto Dorico, abbiamo avuto la possibilità di intervistarla, su questo nuovo lavoro teatrale e sulla sua lunghissima carriera cinematografica.
Divorzio all’italiana
Stefania Sandrelli, lei sembra nata per stare davanti alla telecamera.
Ho cominciato prestissimo, per gioco, con mio fratello maggiore Sergio, un cinefilo appassionatissimo. Facevamo dei piccoli film in casa. Lui era lo sceneggiatore, il regista, tutto e io la sua attrice preferita. Penso sempre sia stato quello l’inizio di ogni cosa. Ricordo addirittura che Sergio prendeva delle cose da una parrucchiera per i vari personaggi che creava per me. Lui mi spiegava tutto: il montaggio, il mixaggio, ho imparato ogni cosa, prestissimo, da lui.
Lei ha iniziato giovanissima. Che consapevolezza aveva di quello che stava facendo, dei maestri che stava incontrando?
Quando ho fatto il mio primo provino con Pietro Germi, io ero già un’attrice, ero pronta. Mio fratello mi ha, veramente, in qualche misura, salvato la vita, lui è stato il mio primo regista. Non era facile cominciare a quindici anni a fare cinema. Io, di mio, sono sempre stata molto vispa, esuberante, curiosa come una scimmia, di qualsiasi cosa volevo sapere il perché, per come, per quando. Quando ho fatto il film di Pietro Germi sembravo poco più di una bambina, ma ero già pronta e questo grazie al mio fratellone amatissimo che, ahimè, non c’è più. Pietro Germi, inoltre, era anche un attore e, per un attore, essere diretti da un regista che è anche un attore è meraviglioso. Io poi ho sempre seguito l’istinto. Ho avuto la fortuna di fare scelte giuste e non mi sono mai lasciata soverchiare dal lavoro. Ho sempre lasciato spazio alla vita privata.
In una carriera lunghissima e formidabile, ha recitato relativamente poco a teatro. Che cosa le dà come attrice?
Hai ragione, ho fatto poco teatro, ma, subito, alla mia prima esperienza sul palcoscenico, avevo capito che cosa fosse per un attore: una delle cose più importanti al mondo. È un nutrimento, il pubblico ti nutre. È una cosa magica, fantastica. Nient’altro, nessun altro te la può dare. Solo che, purtroppo, devo parlare un po’ male del teatro italiano. Ultimamente sono stata in Francia, dove mi hanno fatto un bellissimo omaggio alla Cinémathèque française, e ho avuto la possibilità di andare a vedere una pièce, notando che era in cartellone da quattro mesi nello stesso teatro, come avviene a Broadway e in altre città del mondo, ma non in Italia. In Italia noi attori siamo saltimbanchi, cioè, perché devo cambiare letto ogni sera, fare il bagaglio, rifarlo… Facciamo un appello per rendere il teatro più accessibile?
Che cosa l’affascinava della storia di Cavalleria Rusticana, che ha affrontato tanti generi artistici?
Non prescinderei dalla musica, perché in Cavalleria Rusticana ci sono alcune delle arie più belle in assoluto. L’opera di Mascagni è nel mio cuore e la sento continuamente quando sono in scena con questo spettacolo.
Cosa c’è di contemporaneo in questa messinscena del suo personaggio di Santuzza?
Santuzza ci mostra che la lotta per i propri diritti e la ricerca della verità sono temi universali, senza tempo. La sua storia ci ricorda che, nonostante le difficoltà, è fondamentale mantenere la propria integrità e non rinunciare ai propri valori. Santuzza è una figura femminile intensa, che incarna passioni profonde, conflitti interiori. Lei parla di condizionamenti: io mi chiamo Santuzza, ma non è detto che sia una santa, anche se, per gli uomini, si dice nell’opera, siamo o Lole o Santuzze. La mia Santuzza vuole rivedere questi canoni.
Divorzio all’italiana
Tra i tanti personaggi che ha interpretato al cinema, c’è qualcuno che può assomigliare alla Santuzza di Le relazioni pericolose?
Ho interpretato Santuzza ricordandomi del mio primo film, Divorzio all’italiana, che era ambientato nel profondo sud d’Italia. C’è stata molta Sicilia nei ruoli della mia carriera, pur essendo io originaria di Viareggio.
Qui a Corto Dorico siamo in un Festival di cortometraggi. Che rapporto ha con questa forma narrativa, da spettatrice e da attrice?
Mi piacciono molto i cortometraggi, sia da spettatrice che da attrice. Mi piacciono perché amo la sintesi. L’ho sempre cercata, fatta, al cinema. Credo sia una delle prerogative di questa arte. Le cose non dette si possono rappresentare solo al cinema. Comunque, prima o poi, farò solo cortometraggi e non se ne parlerà più. Se il cinema fosse una persona, sarebbe offesa da quello che gli sta succedendo. Da attrice, fare cinema è faticoso: sono tre mesi della tua vita che dedichi a un film per poi dopo, magari, vedere che non esce o che le sale sono vuote.
Da anni si dice che il cinema italiano è in crisi. È veramente così?
Il cinema è la mia vita, il mio amore. Io ho avuto la fortuna di lavorare in un cinema con C maiuscola. Adesso sembra sia faticosamente in vita mediante una specie di respirazione bocca a bocca, quasi inutile. Sento di poter dire di aver fatto film belli, un cinema irripetibile, lavorando con registi e attori straordinari. L’anno scorso, a Bologna, ho rivisto un magnifico film, Il conformista: Piazza Maggiore era gremitissima di giovani! Questa cosa mi ha dato una tale gioia! Il cinema è questo assembramento, non i tappeti rossi di tutti questi festival. Ok, facciamoli pure, ma solo se servono a far vedere qualche bel film.
Il conformista
Il conformista… Bernardo Bertolucci…
Bertolucci mi chiamava «l’attrice di Germi». Lui faceva un cinema più intellettuale, immerso in un mondo borghese in cui mi ha accompagnato. Mi coinvolgeva molto nella sua maniera, ma io rimango più un’attrice istintiva che intellettuale.
Come evento speciale di pre-apertura di Corto Dorico è stata proiettata la versione restaurata di C’eravamo tanti amati. Che ricordi, che emozioni la legano ancora a quel film?
Tante, tantissime. Intanto c’erano tutti i miei amici in quel film. Perché, prima di essere grandi attori, erano miei amici. Una gang di amici. Sto parlando di Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni. Da tutti loro ho imparato qualcosa, soprattutto il rispetto verso gli altri e il lavoro che facciamo. E poi ricordo le risate, io amo molto ridere e c’era tanto divertimento nello stare insieme. L’altro giorno ho sentito una bellissima intervista al direttore d’orchestra Antonio Pappano e ho fatto una similitudine dentro di me. Ovviamente Pappano parlava di musica, cosa che io adoro. Lui parlava di un afflato, di un solo respiro quando si suona e questa è la magia. Tutti per la stessa causa, non c’è nessuno che sia meno importante. Questa è anche la magia e la bellezza del cinema. Come nella musica il suono arriva insieme, così è nell’immagine cinematografica. Su un set come quello di C’eravamo tanti amati sentivi quel tipo di unione che fa la forza, quella vera, quella della passione, non dei quattrini maledetti. Io non ho mai fatto un film solo per i soldi, lo posso giurare sulla mia vita e voglio vivere ancora a lungo. In quel cinema che facevamo, l’insieme degli attori era come un’orchestra. Era qualcosa di vero, come la vita. Capisci? Ecco perché per me l’arte è una cosa seria. Non è solo un gioco, se mai, è un gioco serio. Io sono qui perché ci credo ancora.
Tra i tanti ritratti femminili da lei interpretati al cinema, porto sempre dentro la perfezione e la profondità di Io la conoscevo bene, un film rimasto modernissimo. Posso sapere come lei e Antonio Pietrangeli avete lavorato al personaggio?
Io per quel film ho dovuto litigare con il mio ex fidanzato, Gino Paoli, totalmente contrario al fatto che accettassi quel ruolo. Mi diceva: «Stefania, stai attenta, perché tu sei giovane e vieni dalla provincia proprio come la protagonista Adriana Astarelli. Ti possono associare a lei e non c’è niente di peggio, perché poi sarai legata a un personaggio così e ti limiterà». C’è anche da dire che Gino non era felice che io facessi l’attrice, perché, ovviamente, stavo sempre fuori a incontrare un sacco di gente interessante, insomma, si può capire, no? Infatti lo capivo. Io credo anche che Gino, per Io la conoscevo bene, avesse in qualche modo ragione e questo mi ha dato la possibilità di stare un po’ dentro e un po’ fuori la parte, perché, certamente, c’è sempre qualcosa di me in ogni personaggio che interpreto. In casi come questi, devi saper distinguere, far tuo il ruolo con la consapevolezza che quella storia non era la mia vita e non lo sarebbe diventata. Adriana apparteneva alla mia vita, ma non era la mia vita. Interpretandola, non ho avuto il timore di mostrare anche il lato patetico che c’è in tutti noi.
Io la conoscevo bene
La vita le ha dato ragione, però è un grande ritratto femminile che racconta una società, che si perpetua.
È un ritratto fantastico, ma lì c’era Ettore Scola dietro, alla sceneggiatura. Ricordo ancora che, quando sono andata a fare il provino, ovviamente c’era Antonio Pietrangeli, ma, ad aprirmi la porta, venne proprio Ettore Scola: mi ha sfoderato un sorrisone che mi ha messo subito a mio agio. Io allora non sapevo chi fosse, mi ha detto che aveva collaborato alla sceneggiatura e, insomma, poi l’ho conosciuto bene.
Eh, direi di sì…
Sì, ho fatto parecchi film con lui… C’eravamo tanti amati, La terrazza, La famiglia, La cena. Tutti gioielli.
Stefania Sandrelli, Orlanda Latini, Valerio Cuccaroni (foto Alessio Beato)