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110 anni del Cinema Fulgor: il pubblico come una piccola, grande famiglia. Con Elena Zanni

Negli ultimi anni il Cinema Fulgor si è affermato, e non solo nel bacino romagnolo, per le sue tante iniziative che vanno anche oltre le proiezioni da sala. Abbiamo chiesto a Elena Zanni, direttrice dell'antico cinema riminese che fece sognare un giovane Fellini, quale sia la migliore formula da promuovere per lei e il suo team

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cinema fulgor

Il 5 novembre 1914 si inaugura quello che al tempo il Corriere Riminese definiva “Il Re dei Cinematografi”: il Cinema Fulgor. Situato nel cuore del centro di Rimini, il cinema ha sede all’interno del Palazzo Valloni, un elegante edificio in stile liberty, frutto della lungimirante idea di Ida Ravulli Massa in Soave. Nonostante i numerosi interventi e i bombardamenti che colpirono la città durante la Seconda guerra mondiale, la struttura del cinema rimase miracolosamente intatta. Coincidenze magiche che ispirarono il giovane Federico Fellini, innamoratosi della settima arte proprio qui, da bambino, quando vide sulle ginocchia del padre Maciste all’Inferno di Guido Brignone.

E da adolescente Fellini continua a frequentare la sala, come una seconda casa, realizzando anche illustrazioni per le locandine dei film in programmazione e i ritratti delle star hollywoodiane, in cambio di qualche biglietto. Un legame, quello tra il regista e il Cinema Fulgor, che rappresenta il sentimento profondo che lo univa alla sua città natale, ben rappresentato in alcune delle sue opere. Come in Amarcord, dove la sala del cinema diventa lo scenario dell’incontro con la sensuale Gradisca, trasformandolo in un simbolo nell’immaginario collettivo.

Dal 2001 al 2017 il Cinema Fulgor è stato oggetto di un’importante opera di ristrutturazione, firmata dall’architetto Annio Matteini. Non si è trattato di un semplice progetto: quello che ha avuto luogo è stato un vero e proprio restauro, simile a quello riservato alle opere d’arte più preziose. L’intervento, pensato per restituire la sua estetica originaria, racchiude tutti i segni della poetica felliniana, e molto altro. Grazie all’imponente lavoro scenografico del Maestro Dante Ferretti, il Fulgor si trasforma in qualcosa di più di un semplice cinema: una commistione di stili tra la Hollywood degli anni ’30 / ’40 e un amore per un cinema sognante, evocativo. Un allestimento fuori dal comune, distante dai multisala canonici, ma anche dai piccoli cinema di provincia.

Le porte del Cinema Fulgor riaprono il 20 gennaio 2018, giorno del compleanno di Federico Fellini, con due salette dedicate al regista e alla sua musa e moglie, Giulietta Masina. Dettagli che sottolineano la profonda connessione tra questo luogo magico, ricco di storia, e quel regista che lo ha trasformato in una leggenda, non solo per i riminesi, ma per il mondo intero.

Oggi il Cinema Fulgor è un vero e proprio contenitore culturale, un patrimonio per la città che continua a riunirsi in questo sfarzoso e sognante salotto dai decori rosso e oro. La programmazione spazia dai grandi classici – cari a Fellini – ai titoli più contemporanei, ospitando anteprime, panel sull’industria cinematografica e rassegne originali.

Del passato, del presente e del futuro del Cinema Fulgor, ne abbiamo parlato con la direttrice Elena Zanni.

Cinema Fulgor

Sala Federico, Cinema Fulgor. Progetto del Maestro Dante Ferretti.

Cinema Fulgor: il gioiello incastonato nel cuore di Rimini

Cosa significa per te celebrare i 110 anni del Cinema Fulgor?

Sia chiaro, io non ho 110 anni ! (ride) Scherzi a parte, è un traguardo incredibile, reso possibile grazie a un team straordinario. Fellini ci ha lasciato in eredità non solo i suoi film, ma anche luoghi come questo. D’altronde con una storia particolare: Rimini ha subito distruzioni enormi, tra terremoti e la Seconda Guerra Mondiale, che ha raso al suolo quasi tutto. Eppure, il Fulgor è uno dei pochissimi edifici storici a essere sopravvissuto — se ne contano tre o quattro al massimo.

Fellini credeva molto in queste “ancestralità”, una sorta di magia che avrebbe protetto il palazzo. E vedeva in questo cinema un’anima femminile, anche perché fu una donna, la signora Raulli, a fondarlo, prima di affidarlo al figlio. Raccontiamo sempre questa storia: Carlo Massa, il fratello di uno dei suoi amici d’infanzia, andava a scuola con Fellini. E per questo Federico, da ragazzo, frequentava il Fulgor, finendo poi a disegnare locandine che poi distribuiva nei negozi.

Fellini è un po’ ovunque a Rimini, si può dire.

Sì, il Fulgor è parte della sua storia e della sua immaginazione e non siamo solo noi a notarlo. Pensiamo, per esempio, alla mostra al Castel Sismondo sul rapporto tra Fellini e Lynch. Quest’ultimo gli ha reso omaggio reinterpretando attraverso le sue illustrazioni. Quella mostra, però, è nata da una collaborazione con noi del Cinema Fulgor. Inizialmente, c’era qualche dubbio sul progetto, ma abbiamo creduto fortemente nell’idea e, alla fine, penso che sia venuto fuori un ottimo lavoro.

Lynch e Fellini, poi, hanno un legame quasi karmico: entrambi sono nati lo stesso giorno e hanno iniziato il loro percorso come disegnatori e pittori. Inoltre, Fellini aveva un forte legame con l’estero, specialmente con l’America… è sempre stato un riferimento internazionale.

Un legame che viene messo in evidenza nelle magnifiche scenografie del Maestro Ferretti.

Un po’ di Hollywood romagnola, no? (sorride) Il suo è un lavoro straordinario, di una raffinatezza incredibile. Non si è limitato a ricreare un’epoca storica, ma ha reso omaggio a Fellini, al suo linguaggio meta-cinematografico. Ha immaginato il Fulgor proprio come l’avrebbe fatto Federico: un luogo fuori dal tempo, che esiste in una dimensione parallela, trasformando la realtà secondo la sua percezione. Pensiamo ad Amarcord: non ha ricostruito la Rimini com’era realmente, ma come l’aveva vissuta dentro di sé. Non era un’illusione, era la sua verità. E seguendo questa idea, Ferretti ha riproposto le cornucopie, richiamando gli anni ’30. Ha reso omaggio all’America e alla grande Hollywood dei kolossal, perché anche quello era un pezzo del mondo felliniano.

Un pubblico attivo e giovane

E invece, riguardo a lei? Com’è nato questo amore per il cinema?

Vengo da una famiglia di esercenti, devi immaginarla un po’ come una famiglia di circensi… Puoi anche provare a scappare, ma alla fine quel mondo ti appartiene, ci sei cresciuto dentro! I miei hanno sempre gestito cinema e mio padre ha coltivato questa passione per tutta la vita. Anche quando si è dedicato ad altri lavori, magari più “importanti”, non ha mai smesso di lavorare nel settore, gestendo sale in Romagna e nelle zone limitrofe. Credo che sia stato lui a trasmettermi la consapevolezza di cosa significhi davvero fare questo mestiere: capire i bisogni fondamentali del pubblico e credere fino in fondo in un progetto.

Noi ci crediamo davvero e penso che questo il pubblico lo percepisca. Rimini è un contenitore culturale vivace. Me ne accorgo ogni volta che organizziamo le nostre mattinate al cinema o eventi come lo è stato  l’Aperitivo Corto, l’iniziativa con cui abbiamo celebrato i 110 anni del Fulgor. Alla prima serata abbiamo avuto 80 persone, alla seconda quasi 100… e la maggior parte erano giovani. Questo significa che c’è interesse, c’è curiosità, e per noi è la conferma che stiamo andando nella direzione giusta.

Hai un pubblico molto attivo e attento alle iniziative!

Il pubblico c’era già prima, ma noi abbiamo voluto trasformare il Fulgor in qualcosa di più di una semplice sala cinematografica: un vero e proprio salotto sociale e culturale. Volevamo che qui si respirasse un’atmosfera familiare, un luogo di incontro e condivisione, una comunità fatta di cinema e arte. Tengo molto alla contaminazione tra discipline. Questo non serve solo ad attirare più persone, ma a creare un pubblico che si senta parte attiva di ciò che accade.

Forse è una mia fissazione, ma ho sempre avuto una visione “ibrida” delle arti. Ad esempio, appendere nel foyer fotografie o quadri legati a un film o a una rassegna è un modo per mescolare linguaggi diversi. Ma c’è una differenza fondamentale: un quadro esiste a prescindere dallo spettatore, ha un suo valore intrinseco. Un film, invece, non può esistere senza una sala e senza un pubblico. Se proiettassi un film senza nessuno in sala, mancherebbe qualcosa. Il pubblico non è solo spettatore pagante, è parte del film stesso. Per questo era doveroso e necessario lavorare su questo senso di “comunità”.

Quindi, in percentuale, il tuo pubblico è per lo più under 40?

Direi addirittura under 25! C’è una risposta incredibile riguardo la fascia d’età più giovane, hanno voglia di partecipare alla realtà cittadina culturale. Se non offriamo loro alternative valide, come possiamo sperare di coltivare un pubblico nuovo? E poi sfatiamo un mito: le sale sono piene di ragazzi. Non capisco perché continui a circolare questa idea che i giovani siano incollati al computer tutto il giorno. Non è vero! Hanno voglia di esperienze nuove, di connessioni reali, di qualcosa che vada oltre lo schermo.

Bisognerebbe iniziare a investire nella cultura quotidiana, non solo nei grandi eventi sporadici. Ci tengo molto anche a rendere speciali i tour di saluti in sala con gli attori. Non voglio che siano i classici cinque minuti di convenevoli, ma momenti di vero incontro, come se fossimo tutti in un grande salotto di casa.

Cinema Fulgor-gradisca

Amarcord, regia di Federico Fellini. Nella scena, il protagonista con la Gradisca.

Il Cinema Fulgor come accogliente salotto culturale

Sarà l’indole romagnola, no?

Esatto! Alla fine, quello che conta per noi è che sia un posto accogliente. Io praticamente abito qui, entro sempre in sala a presentare tutte le proiezioni, se non io c’è qualcuno del mio team. Bisogna sempre mettersi nei panni dello spettatore.

Anche per quanto riguarda gli ospiti: odio l’idea dell’attore o del regista usati solo come talent, come volti da sfruttare per attirare pubblico. Vorrei che le persone venissero qui per il piacere di stare al cinema. Ad esempio, quando abbiamo ospitato Celeste Della Porta e Daniele Rienzo per il tour di Parthenope. Chiacchierando, ho scoperto che Daniele suona jazz, così gli ho proposto di tornare a trovarci quando vuole per esibirsi in una delle sale che abbiamo nel palazzo adiacente. Oppure, in occasione di Povere creature, abbiamo organizzato incontri sulla letteratura erotica. Ma ospitiamo anche musica, eventi interdisciplinari, progetti provenienti da tutta Italia… ed è sempre piena.

Mettersi in gioco ogni giorno, insomma. È un po’ il tuo motto.

Assolutamente. Noi esercenti siamo dei folli, bisogna dirlo! Forse all’inizio ci siamo lanciati in questo progetto con un po’ di incoscienza, ma ci abbiamo creduto fino in fondo. Però questo lavoro non può reggersi solo sulla passione: serve un dialogo costante tra esercenti e distributori, perché è una questione di fiducia. Chi meglio di noi conosce il nostro pubblico? Strutture come la nostra possono dare nuova vita a tantissimi film, anche indipendenti. Non si salva la sala con qualche evento isolato, ma con la quotidianità. È fondamentale offrire un servizio strutturato, far capire che il cinema non è solo un’esperienza occasionale, ma un punto di riferimento. Manca ancora una comunicazione efficace tra chi produce e chi proietta i film. Se ci fosse più collaborazione, potremmo organizzare una programmazione più mirata e costruire un vero lavoro di promozione in sinergia. Anche perché il cinema non è affatto morto, anzi!

Prospettive per il futuro

Un pensiero positivo e interessante.

In realtà, dall’apertura non ho mai avuto problemi seri, neanche con l’avvento delle piattaforme. Anzi, dico sempre che una collaborazione con lo streaming—come già accade a Milano—sarebbe un grande passo avanti. Gli esercenti hanno tante idee, ma serve più fiducia nel nostro operato. Dovremmo superare l’idea canonica di programmazione in sala e sperimentare nuove strade con distribuzione e produzione. La gente ha voglia di ritrovarsi, perché il cinema offre una dimensione di serenità che l’hype dello streaming non può dare. È un’esperienza profondamente umana, e oggi più che mai sento che le persone ne hanno bisogno.

I giovani soprattutto, forse.

Sì, sono loro che devono farsi spazio, hanno un’energia incredibile. Qui siamo in una piccola isola felice, ma i numeri parlano chiaro: a tante proiezioni facciamo il tutto esaurito con 100-120 persone. Quando abbiamo curato la rassegna sui film muti, la sala era piena di ragazzi. È il segno di una comunità viva, che non si disperde.

Cosa speri per il futuro?

Il cinema è fatto di persone. Se qualcosa non funziona, bisogna partire da lì. Ho avuto la fortuna di vivere in altri paesi e vedere realtà dove le cose funzionano, come in Francia, Germania o Spagna. Era una vita diversa, certo, ma non bisogna smettere di crederci e provare a cambiare lo stato delle cose. Mi auguro che i giovani abbiano voglia di mettersi in gioco, nonostante le difficoltà, che portino aria nuova nel mondo del cinema e non smettano mai di migliorarlo.