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‘Una Madre’ conversazione con Aurora Giovinazzo

Giovani attrici crescono. Una Madre conferma il poliedrico talento di Aurora Giovinazzo

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Il film di Stefano ChiantiniUna madre, con protagonista Aurora Giovinazzo, dopo il passaggio alla Festa del cinema di Roma, è arrivato nelle sale. Con World Video Production, Bling Flamingo, Rai Cinema, il contributo del Ministero della Cultura e il sostegno di Regione Lazio, il film è arrivato nelle sale distribuito da World Video Production. In occasione dell’uscita nelle sale di Una madre abbiamo conversato con la protagonista del film, Aurora Giovinazzo.

Aurora Giovinazzo: non solo Una madre

Con tre film all’attivo il 2024 è stato per te un anno importante. Sia in The Cage – La Gabbia che in Eterno Visionario e Una madre i tuoi personaggi si distinguono per il bisogno di trovare bene e amore al di fuori della propria famiglia.

In realtà era una cosa a cui non avevo mai pensato però è vero che in quei film i miei personaggi affrontano grossi problemi famigliari e che per questo vanno sempre alla ricerca dell’amore, dell’affetto e della comprensione al di fuori del loro nucleo d’origine.

Le affinità aumentano se prendiamo in considerazione The Cage e Una madre perché in entrambi i film la realtà è una specie di giungla in cui i tuoi personaggi per sopravvivere possono contare unicamente sulla forza del proprio corpo.

Sì, infatti è per questo che reputo Deva una lottatrice. Sia lei che Giulia combattono per sopravvivere nella speranza di avere una vita migliore. Deva si porta dietro un grosso peso perché sa che non può mollare mai. Non può permettersi un giorno di relax perché è tutto sulle sue spalle. In più accanto a lei ci sono persone della sua famiglia che oltre a non collaborare peggiorano la situazione. Ovviamente come succede a questo tipo di personaggi c’è sempre un momento di crescita personale che deriva anche dal prendere decisioni scomode, ma giuste. Come a un certo punto succede anche a Deva.

Il peso e le difficoltà della vita

Il peso che Deva si porta sulle spalle è simboleggiato molto bene nelle immagini iniziali in cui la vediamo sovrastata dal borsone che si porta dietro per lavorare.

Lo stesso vale anche per gli indumenti che abbiamo usato con l’intento di appesantire la sua postura per rimandare al fardello mentale che l’affligge. In ogni scena il corpo doveva comunicare lo stato d’animo della ragazza. Questo ha voluto dire lavorare molto sul corpo e anche sul viso perché Deva nonostante abbia vent’anni non ha un volto fresco. La sua è una faccia indurita dalla vita. La sua è una quotidianità che nessuno dovrebbe vivere: ancor di più una ragazza della sua età.

Il dualismo tra la necessità di far fronte alle durezze della vita e il fatto di non avere l’esperienza necessaria per farlo trapela in una interpretazione scandita da movenze mascoline, ma anche da fragilità e incertezze tipiche di una ragazza ancora giovane.

Il mio è un viso adatto a fare questo genere di ruoli. Ho lineamenti molto versatili che per questo si prestano a interpretare un personaggio come Deva in cui è necessario che la faccia trasmetta non solo la sofferenza fisica, ma anche la sua vulnerabilità e la sua purezza. Il nostro obiettivo era quella di creare un personaggio che suscitasse l’empatia del pubblico per cui abbiamo un po’ rovinato il suo aspetto senza che questo impedisse di far trasparire la tenerezza e la sensibilità del personaggio.

Aurora Giovinazzo accanto a Micaela Ramazzotti in Una madre

Questo duplice aspetto traspare soprattutto nelle scene con Micaela Ramazzotti, la madre di Deva. Sebbene quest’ultima sia dura e anaffettiva, Deva non smette mai di sperare in un gesto d’affetto da parte sua, rivelando quella parte infantile che ha imparato cosi bene a nascondere.

A questo proposito c’è una scena molto bella in cui lei stanca da una serie di cose e con i dolori al ventre si infila nel letto e abbraccia la madre da dietro per trovare in qualche modo il sostegno che le viene negato. A dimostrazione di quanto un semplice abbraccio possa essere potente se dato al momento giusto. Quel passaggio mi è rimasto impresso sia in fase di lettura che sul set per la tenerezza che mi ha suscitato. Interpretare un personaggio così bello mi ha reso davvero felice e orgogliosa, per questo ringrazio Stefano per avermi scelto. Certo, mentre leggevo la sceneggiatura mi sono chiesta più volte in che modo sarei riuscita a rendere vero il personaggio visto che la mia è una vita fortunata e lontana anni luce da quella di Deva. So che là fuori ci sono molte persone che vivono il suo disagio quindi sentivo la responsabilità di essere più vera possibile. Temevo di non farcela e ancora oggi non so dire se sono riuscita a centrare l’obiettivo. D’altronde sono famosa per la mia autocritica.

La tua è un’interpretazione strepitosa, di quelle capaci di farti dimenticare che stai guardando un film.

Ti ringrazio per le tue parole. In realtà l’obiettivo del regista, e dunque anche il mio, era di parlare anche del ruolo della donna in questa società. Stefano voleva mostrare come a parità di situazione sia molto più difficile per le donne che per gli uomini venire a capo dei problemi quotidiani.

Pochissime parole

La complessità del ruolo era data da molteplici aspetti. Il primo è quello di far sentire l’afflizione di Deva attraverso il linguaggio del corpo, considerato che il tuo è un personaggio quasi muto. Deva è abituata a tenere tutto dentro di sé e questo rendeva ancora più difficile comunicare il suo stato d’animo.

Quello di Deva è un personaggio quasi senza parole. In questo senso Una madre è un film dove si doveva mostrare senza parlare. Nel corso del film ci immergiamo nella vita di questa ragazza seguendola nelle sue giornate. Credo che questo sia il modo migliore per entrare in empatia con il personaggio e restargli accanto come potrebbe succedere nella realtà. Spesso ci aspettiamo film con conversazioni lunghissime e complicate quando nella vita uno passa anche una giornata senza parlare o parlando pochissimo considerando che se uno di noi si trovasse nelle condizioni di Deva non riuscirebbe nemmeno a trovare la forza per sorridere. Quando sei prostrato da certi pensieri finisci per non avere più energie per godere dei pochi momenti felici che ti capitano. In questi casi anche parlare con gli altri diventa una fatica immane. Deva ha difficoltà a trovare qualcuno con cui condividere la sua situazione. Succede anche con il suo fidanzato. A un certo punto era previsto che lei conversasse con lui poi Stefano ha pensato bene di cambiare la scena facendo restare in silenzio la ragazza per sottolineare la distanza tra le sue vicissitudini e quelle dei suoi coetanei.

Quello di Deva è un ruolo dove il famoso detto Less is More vale più che in altri casi. Parlare attraverso gesti e posture come hai fatto tu mi ha ricordato il modello interpretativo tipico dell’actors studio.

Nel mio piccolo ho cercato di farlo adottando tutta una serie di correttivi. Mi ricordo che per un mese e mezzo non mi sono lavata i capelli. In generale mi lavavo a pezzi con acqua fredda e sapone per le mani. Mangiavo poco e male. Vivendo con una famiglia che si prende sempre cura di me cercavo in ogni modo di rendermi la vita difficile. Abituata a non stare mai ferma e a fare mille cose ho cercato di stancarmi il più possibile per sentirmi il più vicina possibile alle fatiche di Deva. Facevo sempre pulizie caricando la mia testa di pensieri negativi. Considerato che a me piace piangere per tirare fuori lo stress ho fatto l’esatto contrario. Ho trattenuto tutto dentro di me anche quando sentivo il bisogno di cacciare un urlo e piangere e questo è servito a far uscire la stanchezza sul viso. Molte notti sono rimasta sveglia proprio perché volevo arrivare sul set affaticata. A quel punto ho sentito la sofferenza del personaggio arrivando a stare male per tutto il tempo delle riprese. D’altronde sono cosciente che ruoli come quello di Deva mi entrano così tanto dentro da generare questo tipo di reazioni. In più quelli del film sono temi che mi toccano in maniera particolare per questo ho scelto un approccio così radicale. Volevo essere sicura di dare il meglio di me.   

Deva e il suo piccolo

La difficoltà del ruolo era data anche dal fatto di dover recitare per buona parte del film con un neonato.

Guarda, siamo stati molto fortunati a lavorare con questo bambino perché lui seguiva tutto quello che succedeva e quando improvvisava lo faceva benissimo. Io poi sono zia di due nipotini quindi l’approccio con lui è stato più semplice del previsto. Sapevo come tenerlo in braccio e come si fa a cambiarlo. Penso di avere un istinto materno già molto molto forte: questo ha fatto sì che durante le pause per facilitare la nostra conoscenza andassi in camerino per passare un po’ di tempo con lui. Lo tenevo in braccio per abituarci al contatto reciproco. In questa maniera quando lo prendevo in braccio davanti alla telecamera non ha mai pianto. In più questa dimestichezza reciproca ha aumentato la verosimiglianza delle nostre interpretazioni. Nel film ci sono vari esempi di madri e quello che funziona di più, quello più vero, è fornito da una giovane donna che non è diventata mamma. Ci sembrava bello che questo lato così materno venisse da una ragazzina giovane come Deva.

Considerato che il cinema di Stefano Chiantini guarda da vicino quello dei fratelli Dardenne e che il tuo personaggio ricorda quello di Rosetta, ti chiedo come si fa a raggiungere un’adesione come quella che ti ha permesso di diventare Deva. Fabrizio Rongione, che dei Dardenne è attore feticcio, mi disse che la naturalità dei gesti era in realtà il frutto di prove lunghe e meticolose che trasformavano l’intenzione in automatismo. Nel vostro caso com’è andata?

In realtà sul set non ci capitava di provare chissà quanto. Io arrivavo sul set che ero già Deva perché il personaggio me la portavo a casa e quando iniziavano le riprese ero da subito immersa nella sua condizione. Una Madre è stato un film particolarmente rapido da girare. Le riprese sono durate poco più di un mese, quindi ci davamo degli obiettivi provando a tirar fuori determinate emozioni. Questo succedeva in ogni momento, anche durante le pause tra una ripresa e l’altra. Ogni momento della giornata con i suoi stati d’animo poteva entrare nel film perché l’importante era riuscire a catturare le emozioni del momento. Spesso ci venivano delle idee lì per lì, anche perché uno legge la sceneggiatura e si fa il suo film in testa poi arriva sul set e magari  diventa tutta un’altra cosa perché magari hai freddo o la tenda non si chiude bene e l’acqua ti viene addosso. Queste situazioni inattese sono quelle che scombinano i piani creando emozioni ancora più vere.

Il finale di Una madre con Aurora Giovinazzo

Una madre si conclude con un finale aperto a cui lo spettatore è chiamato a dare la sua versione della storia. Considerato che l’ultima sequenza si conclude di fronte al mare che, oltre ad avere un significato ancestrale, collegato alla rinascita del personaggio, è il simbolo di un nuovo inizio e di una nuova libertà. Mi chiedevo se in qualche modo anche tu hai immaginato per Deva un qualche tipo di futuro? 

Ovviamente ho pensato a quello che avrebbe potuto fare Deva. Ad esempio mi sono immaginata che Carla una volta guarita sarebbe andata a casa con lei. In realtà Stefano ha girato diversi finali e alla fine ha scelto questo in cui il mare, come dici, simboleggia la possibilità di un nuovo inizio e di un nuovo viaggio. L’ultima sequenza è l’unica in cui vediamo Deva sorridere, ma la sua è una postura stanca e in qualche modo commovente. Per quanto mi riguarda ho pensato che Deva si sarebbe occupata del bambino come se fosse stato suo figlio, convinta che nonostante tutto sua madre se la può cavare da sola. Insomma per me lei da quel momento ha un’unica cosa in testa: quella di aiutare questo bambino.

Nel film reciti con Angela Finocchiaro e Micaela Ramazzotti, due attrici di lungo corso. Com’è stato confrontarsi con colleghe così esperte e che tipo di opportunità ti ha dato confrontarti con loro.

Apparteniamo a generazioni diverse ma l’obiettivo era chiaro per tutte. Questo ha fatto sì che tra noi ci sia stata grande collaborazione. In molti mi hanno chiesto com’è stato recitare con la Finocchiaro impegnata in un ruolo drammatico. Certo non poteva fare le sue battute quindi in qualche modo era diversa dal solito, ma avendo a che a fare con un contesto molto serio e con ruoli scritti magnificamente è stato facile per tutti e quindi anche per lei calarsi nel clima della storia. Questa consapevolezza fin da subito si è trasformata in un mutuo soccorso reciproco in cui tutti ci aiutavamo cercando di mettere ognuna di noi nella migliore condizione per portare a casa il risultato.

La presentazione del film e il rapporto con Stefano Chiantini

Averlo presentato in anteprima al Cinema Sacher di Roma con Nanni Moretti a introdurre il film è stata una sorta di promozione anche perché sappiamo come il regista romano si presti a queste cose solo per i film che ama.

Siamo stati tutti molto onorati da questa notizia anche perché, come hai detto tu, se a Nanni il film non piace non si sarebbe mai prestato a presentarlo nella sua sala.

Nel corso della sua carriera Stefano Chiantini ha dimostrato di essere un grande direttore d’attori. Come ti sei trovata e come vi siete relazionati?

Ho trovato un regista molto sensibile perché da uomo ha saputo raccontare al meglio il disagio femminile. Quando questo succede non puoi non esserne colpita. Sul set è rimasto sempre in ascolto permettendomi di dire la mia. Abbiamo unito le forze con io che ascoltavo lui e lui che ascoltava me. Tra di noi c’è stata enorme fiducia. Per me è stato bello riscontrare in lui così tanta tenerezza e soprattutto la bravura nel raccontare le donne.

Aurora Giovinazzo oltre Una madre

Una madre ti candida tra le attrici che aspirano a entrare nelle nomination per i David di Donatello. Nel frattempo a dicembre sarai di nuovo sugli schermi con Diamanti, il prossimo film di Ferzan Ozpetek, a conferma di un talento che i nostri registi non smettono di tenere sottocchio.

Credo che in questo mestiere ci voglia anche molta fortuna. Il mio è un percorso molto bello. A chi mi chiede cosa desidero per il futuro io dico che voglio ciò che ho adesso, e dunque la mia famiglia e i miei amici dalla mia parte e continuare a fare un lavoro che amo. Per me ogni personaggio è un regalo immenso che custodisco gelosamente nella speranza di non smettere mai di recitarne altri.

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