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Emanuela Postacchini: io protagonista del film di Dito Montiel

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La prima domada la fa lei: «Come ti è sembrato il film?». Una domanda semplice, ma al tempo stesso enorme.

Serve un attimo per realizzare che dall’altra parte dello schermo c’è una delle attrici della serie Netflix The Alienist. Lei è Emanuela Postacchini, classe ’91, gentile e curiosa. La sua voce, con quelle pause inaspettate, è capace di esprimere meraviglia soprattutto per le piccole cose. Capelli lunghi e sguardo profondo, incarna il cinema dal volto umano, un lavoro dopo l’altro le ha permesso di occupare finalmente il suo posto nel mondo del cinema. L’abbiamo vista in Third person, The man who was thursday, L’Alienista, The seven faces of of Jane. E prima ancora in Poker generation e Better days.

Adesso ha conquistato il suo primo ruolo da protagonista nel film Riff Raff, presentato al Torino Film Festival. Alla regia c’è Dito Montiel, Leone d’argento a Venezia per il film Guida per riconoscere i tuoi santi. Una carriera in ascesa e tanti nuovi progetti: un film in uscita nel 2025 (che la vede anche produttrice)  e un progetto segreto di cui non può anticipare nulla.

Ma il suo sogno più grande rimane uno: «Sogno di tornare a lavorare in Italia»

Lei è la protagonista dell’ultimo film di Dito Montiel. Com’è stato lavorare con lui?

«Lavorare con Dito è stata veramente un’esperienza fantastica. Ero già una sua fan, lo adoravo come regista. Conoscerlo è stato meraviglioso perché è una delle persone più dolci, sensibili e profonde che ci siano. Ogni volta che andavo sul set ero estremamente a mio agio perché Dito ti lascia esplorare il personaggio, ti lascia tanta libertà, non è uno di quei registi che ti guidano in tutto e per tutto. E il fatto che mi abbia lasciato libera di esplorare il mio ruolo andando dove esso mi portava, è stato molto bello. Avere questa fiducia da parte del regista è una cosa fondamentale, perché si crea un vero e proprio rapporto. Mi ha dato molto sicurezza e grinta per interpretare Marina.»

A proposito del suo personaggio in Riff Raff, inizialmente Marina doveva essere una donna francese. Cos’è successo dopo?

«Come ha raccontato lo stesso regista in conferenza stampa al Torino Film Festival, il personaggio di Marina doveva essere francese. Mi sono presentata al provino, ho usato l’accento e l’interpretazione alla francese. Alla fine sono stata presa. Quando il regista ha appreso che in realtà ero italiana, ha voluto adattare il personaggio rendendolo italiano. É stata una doppia soddisfazione: da una parte perché sono italiana, dall’altra perché così mi ha dimostrato davvero una grandissima fiducia. É stato bello portare in scena questo personaggio così lontano da me. Nel film interpreto un’infermiera incinta e, incredibile ma vero, subito dopo il film sono rimasta davvero incinta. Infatti nel red carpet a Toronto avevo un gran bel pancione!»

Photo by Jeong Park

Lei ha un curriculum di tutto rispetto. Dalle fiction italiane, Squadra antimafia e Distretto di polizia, tanto per citarne alcune, all’incredibile mondo Hollywoodiano. Ha recitato in Third person, regia, soggetto e sceneggiatura di Paul Haggis. A questo è seguito lo show Who is America? con Sacha Baron Cohen, fino al recente Riff Raff.

«Lavorare con Sasha è stata un’esperienza unica, e ti confesso che la pressione era enorme.  Ho iniziato a muovere i primi passi in Italia, poi a vent’anni mi sono trasferita a Los Angeles. Fare questa cosa un po’ folle è stata forse un bene perché mi ha aiutata a costruire una carriera americana. Adesso ti confesso che mi piacerebbe tantissimo tornare a lavorare in Italia e fare delle belle cose lì. Vivo ormai da tanti anni in America e fare un film come Riff Raff da protagonista, è stato un po’ la consacrazione della mia carriera: ho visto tutti i sacrifici avere finalmente un senso. Ho potuto lavorare con un regista dalla carriera leggendaria, quindi adesso mi sento pronta a tornare nella mia amata terra.»

Quali differenze ha riscontrato lavorando nelle fiction americane rispetto a quelle italiane?

«Ho fatto delle cose in Italia quando ero molto giovane, adesso i tempi sono cambiati. É un po’ difficile fare un paragone. Però posso dirti che gli Americani sono delle vere e proprie macchine da guerra. Per loro il cinema è un business. In Italia è invece tutto un po’ più familiare, il set è più caloroso. A Los Angeles, in particolar modo, è tutto più grande, enorme. Gli Studios sono grandissimi, le troupe enormi, ci sono tantissime persone che corrono da destra a sinistra, c’è tutto un sistema molto più amplificato.»

A proposito di serie, mi viene in mente The Alienist di Netflix, in cui interpreta il ruolo della cortigiana Flora. Mi racconta un aneddoto?

«Questa serie è stata girata negli studi di Paramount Pictures e a Budapest. La serie è ambientata nella New York di fine ‘800 e il ruolo, all’inizio, era stato scritto per una francese. Mi ricordo che mi trovavo in vacanza alle Seychelles, quando è arrivata la chiamata del mio manager dell’epoca. Volevano vedermi per un call back. Era una situazione difficilissima, perché in hotel c’era una ricezione minima e l’appuntamento era per le tre di notte locali. Ma era un’occasione troppo ghiotta per me, così ho preparato tutto nella camera della mia amica, nell’hotel adiacente. Ho dovuto pure attrezzare la stanza per l’occasione. A questa sono seguiti altri incontri, sempre mentre mi trovavo lì. Alla fine il provino è andato bene e così ho raggiunto Budapest. Non scorderò mai questo provino. Prendere parte a questa serie è stato meraviglioso: il set fantastico e i costumi stupendi, ma la cosa pazzesca è stata lavorare con attori del calibro di Luke Evans, Dakota Fanning, Daniel Proulx, tutte persone fantastiche. É stata una grande esperienza, che mi ha fatta crescere molto dal punto di vista professionale, così come tutti i film e lavori a cui ho preso parte, perché su ogni set c’è sempre qualcosa da imparare.»

Modella, attrice, che altro?

«A breve uscirà un film di cui sono anche produttrice esecutiva. Si intitola Flowers of Evil, “Fiori del male”, e riprende Charles Baudelaire appunto. È un film sui vampiri, ma non i classici tipo Twilight. È un thriller noir molto profondo e intenso. Una sorta di specchio sulla società moderna di Hollywood. L’abbiamo girato tutto a Los Angeles. É ambientato nell’era del Covid, quindi è molto contemporaneo ed esplora delle tematiche molto attuali che riflettono i vari problemi negli ultimi anni, compresa l’industria cinematografica. Ne vado molto fiera e non vedo l’ora di portarlo in giro per i festival l’anno prossimo.»

 Quali sono le sue figure femminili di riferimento?

«Una donna che da sempre adoro è Audrey Hepburn. Mi piace molto il vintage, è un po’ il mio stile. Guardo al passato talvolta in maniera nostalgica, e Audrey Hepburn è da sempre un’icona di eleganza e di stile. Ma anchee Lauren Bacall e Romy Schneider sono le mie icone di riferimento per quanto riguarda il cinema. Se però devo scegliere un nome più contemporaneo, allora senza dubbio Cate Blanchett. Secondo me è una delle attrici più brave in assoluto, un talento unico.»

Qui l’intervista al regista Dito Montiel

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