Per il mio bene è il primo film di finzione di Mimmo Verdesca. La sua esplorazione del mondo femminile è avvenuta finora attraverso il documentario, sulla vita e la carriera di due attrici. Il primo, In arte Livia Silvi (2011); il secondo, Alida (2020), un ritratto inedito di Alida Valli (che si può vedere su Raiplay).
Per il mio bene mette in scena tre generazioni di donne: Giovanna (Barbora Bobulova), la figlia adolescente, Alida (Sara Ciocca), la madre adottiva, Lilia (Stefania Sandrelli), e la madre biologica, Anna (Marie-Christine Barrault). Ritornano, e non sarà un caso, i nomi di Lilia e Alida: sicuramente un omaggio alle attrici che Verdesca avrà molto amato, entrando nella loro intimità con i suoi lavori precedenti.
Per il mio bene La trama ufficiale
Giovanna è una donna forte, autonoma. Guida fieramente l’azienda di famiglia e vive da sola la responsabilità di una figlia adolescente. La sua vita scorre solida, fino a quando non scopre di avere una grave malattia. Per la prima volta ha bisogno di qualcuno. Cerca all’interno della famiglia un donatore compatibile, ma sua madre le confessa che non è possibile. Nessuno fino a quel momento ha avuto il coraggio di dirle che è stata adottata. Giovanna non sa più chi è. Vorrebbe risalire alle sue vere origini ma si scontra con una legge complicata. Quando il tribunale le comunica che sua madre biologica si rifiuta di aiutarla, Giovanna decide di aggirare le regole, rintraccia la donna e si presenta da lei, decisa a farsi conoscere…..
Per il mio bene: Marie-Christine Barrault
Barbora Bobulova e Marie-Christine Barrault. Foto ufficiale del film
Per il mio bene contiene tutti gli elementi del melodramma. Ma la scrittura e la struttura tengono, le interpretazioni femminili incantano. Magistrale, quella di Marie-Christine Barrault, con il suo francese che ha perso la dolcezza della lingua per farsi smozzicato, duro, scostante. Il personaggio di Anna vive al confine tra nevrosi e psicosi, in balia di un passato tragico che non ha mai rielaborato, fino alla vecchiaia solitaria, persa nel deserto affettivo della mente, dell’anima.
L’immagine di lei sulla panchina di fronte al lago è più che mai incisiva. Imbruttita, spettinata, con lo sguardo fisso sull’acqua stagnante, a indicare l’ impossibilità di uscire dalla paralisi della sua condizione.
Barbora Bobulova
L’abbiamo vista spesso negli ultimi anni in serie tv della Rai alle quali riesce a dare sempre un tono di gentilezza. Nell’ultima, Stucky, è l’amabile patologa che sa ammutolire il personaggio di Giuseppe Battiston, già imbranato di suo, del quale vuole stanare le emozioni ricevendone in cambio un simpatico balbettio. E lei continua ad alternare la serietà nel lavoro alla ricerca di quella confidenza che mantiene la loro relazione sul filo sottile dell’ambiguità, del pudore.
Per il mio bene la vede invece in un ruolo drammatico dall’inizio alla fine, e non potrebbe essere diversamente. Tradita dal suo corpo e dalle due madri (la prima perché ha taciuto, la seconda che la rifiuta), in crisi anche con la figlia adolescente che vuole capire e che lei vuole proteggere. Sola. Tra le quattro figure femminili, Giovanna, sempre al centro della scena, è colei che, adulta, può affrontare un dolore così profondo perché recente, perché la ferita dei non amati è improvvisa e non ha avuto il tempo di radicarsi, di sedimentare.
Con questa insostenibile sofferenza, riesce a essere forte e dare amore a una madre che solo apparentemente non lo meriterebbe. La Babulova sa dare a questo personaggio, fragile e forte insieme, un’intensità che commuove.
Foto ufficiale del film
Gli altri interpreti
Stefania Sandrelli ripete il ruolo della madre buona che le riesce molto bene, cedendo quello più importante e impegnativo della cattiva madre (o madre cattiva) alla bravissima Marie-Christine Barrault. Leo Gullotta si ritaglia uno spazio piccolo ma incisivo. Sara Cioccia, ora sedicenne, recita da quando aveva dieci anni e conferma la sua presenza disinvolta sulla scena. Prima bambina, poi ragazzina e ora adolescente: una piacevole realtà e una promessa per il cinema.
Il tema della maternità
Tanta gratitudine verso Mimmo Verdesca per aver approfondito il tema della maternità con una mano così delicatamente femminile, nei diversi passaggi esistenziali e nelle relazioni a due, raccontando una storia di grande dolore, senza compiacimento.
“Ho curato uno stile visivo essenziale e rigoroso per non snaturare la verità di ogni singolo sentimento, per non disperderne la vitalità e la purezza e permettere subito allo spettatore di riconoscersi e arrivare dritto al cuore di questa storia, che è, al tempo stesso, cruda e tenera, intima e universale, svelata in punta di piedi”.
In punta di piedi, e con uno stile sicuro che insegue e raggiunge la sobrietà espressiva in ogni frammento della narrazione.
Le scene più commoventi
Giovanna è costretta, così tardi e con la malattia che incombe, a rielaborare in fretta una rivelazione sconvolgente. “Non ho tempo”, dice a chi rimanda la verità che potrebbe salvarle la vita. Un viaggio interiore, il suo, che deve per forza accelerare, ma che a un certo punto invece rallenta, quando lei sembra dimenticare l’urgenza del bisogno a vantaggio del rapporto con la madre che ancora la rifiuta. La sua ricerca indifferibile lascia il posto alla compassione, nelle scene, le più belle, in cui si trova vicino ad Anna, quasi mendicando un posto sulla stessa panchina di fronte al lago.
Altra scena con Barbora Bobulova e Marie-Christine Barrault. Foto ufficiale del film
Le sequenze che le vedono insieme sono sicuramente le più struggenti. In punta di piedi, come dice il regista, Giovanna cerca di entrare nella vita di Anna, nel suo mondo che vuole rimanere lontano da ogni forma di emozione e di contatto. Se ne prende cura, in una sorta di maternage a ruoli invertiti, fino alla nascita di un rapporto, ma con esiti affatto scontati.
Gli ambienti, le luci, le ombre, le emozioni
Per il miobene presenta colori, luci e spazi opposti tra loro. La prima parte del film (gli ambienti borghesi e curatissimi della quotidianità di Giovanna), è luminosa. La sua azienda lavora il marmo, e lei spesso ne accarezza la superficie chiara con delicatezza, diremmo con affetto. Come ci si avvicina alle ombre della mente di Anna, tutto improvvisamente si scurisce: la casa fatiscente, le sue uscite notturne verso il lago, e il suo sguardo cupo sul mondo.
La resa degli spazi e l’efficacia delle scenografie accompagnano il racconto in cui il dramma è palpabile fin dall’inizio. Il montaggio, poi, rafforza i passaggi di un thriller psicologico che lascia col fiato sospeso. Belle le inquadrature, sicure, composte, a contenere il dramma della narrazione.
Le musiche, belle ma invasive
Le belle musiche di Germano Mazzocchetti (che ha curato anche quelle dei film precedenti di Mimmo Verdesca, Protagonisti per sempre e In arte Lilia Silvi) hanno però un volume insostenibile. E continuiamo a chiederci perché le musiche nel cinema debbano sostituirsi alle parole e ai silenzi, soprattutto.
Tanto più in un film così. Ci sembra che invece Mimmo Verdesca ci abbia ritenuto spettatori maturi, e persone mature, nel chiederci un impegno: quello di stare nella sofferenza della storia senza vie di fuga, senza mai alternare le lacrime a momenti di leggerezza. Mettendoci anche alla prova, e facendoci piangere non per le donne del film, ma insieme a loro. Lacrime di desolazione, ma anche di tenerezza e di affettuosa benevolenza.
Per il mio bene è distribuito da 01 Distribution. Produttori: Marco Poccioni e Marco Vallsania. Produzione: Rodeo Drive e Rai Cinema.
Per il mio bene Il trailer
Per il mio bene
Anno: 2024
Durata: 100 minuti
Distribuzione: 01 Distribution
Genere: drammatico
Nazionalita: Italia
Regia: Mimmo Verdesca
Data di uscita: 05-December-2024
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