Immemorial, Chants de la Grande Nuit è in concorso nella sezione documentari al Torino Film Festival (clicca qui per tutti gli articoli sul festival). Il film è diretto da Béatrice Kordon e prodotto da Perspective Films (Gaëlle Jone).
La morte: tra mitologia e rituale
Immemorial, Chants de la Grande Nuit esplora il tema della morte, ad oggi ancora un tabù per molte popolazioni. Attraverso il suo documentario, che mescola immagini di repertorio a riprese effettuate ad hoc, Béatrice Kordon cercherà di indagare il mistero che lega presenza e assenza, focalizzandosi su riti, miti e usanze di vari popoli.
Introduzione
L’opera si apre con un mito che richiama gli albori del mondo. L’uomo appare interconnesso con ciò che lo circonda e con i suoi simili, anche se c’è qualcosa che gli provoca angoscia. Improvvisamente, però, egli uccide un suo fratello: ecco che, per la prima volta, verrà a contatto con la morte e con tutto ciò che essa porta con sé. Inizia così un percorso che vede protagonista il labile confine tra il regno dei vivi e quello dei morti.
Primo Canto
Immemorial è una raccolta composta da quattro canti. Il fine è quello di investigare differenti modi di avvicinarsi al lutto.
Nel primo canto vediamo il fuoco distruttivo alternato a edifici che crollano, devastati dalle guerre. La morte, qui onnipresente, è richiamata anche da inquadrature di teschi, accompagnate da un voice over che dà parola ai defunti. Vengono illustrati, poi, alcuni riti pagani e cattolici che permettono di accettare la perdita e incanalare il dolore.
Secondo Canto
Il secondo canto si apre con uno stormo di uccelli che dà vita a immagini evocative. Successivamente, vediamo il fluire dell’acqua in ruscelli e cascate. Le immagini utilizzate, quindi, richiamano il panta rei: tutto scorre, muta. Vita e morte fanno parte di un flusso unico. Con le riprese di spazi vuoti, probabilmente abitati in passato, e filmati di funerali si richiama nuovamente l’assenza e la morte. Dopodiché, Béatrice Kordon riprende alcuni pastori italiani che intonano alcuni canti. Ancora una volta viene illustrato un metodo per superare la tragicità della perdita e della vecchiaia, ma vengono nuovamente contrapposte vita e morte. Quest’ultimo contrasto viene accentuato da una scena particolare: un albero viene abbattuto e trasportato da alcuni uomini, come si farebbe con una vera e propria bara. Subito dopo, un gigantesco tronco viene eretto con l’aiuto di corde. Nuovamente vediamo morte e vita.
Terzo Canto
Il terzo canto si apre con immagini di fiori secchi, che lasciano spazio a riprese del mare. Tutto accompagnato da canti probabilmente funerari. A questo punto Béatrice Kordon introduce le crude immagini di animali morti e scuoiati, che verranno utilizzati per varie ricette. Grazie al sacrificio di queste vite, quindi, verranno sfamate delle persone. Ancora una volta la regista ci ricorda che non c’è vita senza morte e viceversa.
In questa sezione viene dato grande spazio alla lamentazione funebre, soprattutto femminile. La tematica non può che ricordare le numerose ricerche dell’antropologo, filosofo e storico delle religioni Ernesto de Martino. Più in generale, si può dire che il terzo capitolo del film ha tratti fortemente etnomusicologici.
Per alcune popolazioni il canto è un modo efficiente di sopportazione del dolore, costituendo una vera e propria forma di musicoterapia. Lo si utilizza per riceverlo in sé, per accettarlo e liberarsene attraverso l’uso di parole e suoni.
Infine, il segmento si chiude con il susseguirsi di immagini d’epoca, presentate in modo sempre più indistinto e sbiadite dal tempo.
Quarto Canto
Un cavallo sotto la neve apre l’ultimo canto, che costituisce quasi una celebrazione del tripudio morte. Attraverso suoni che accompagnano Il trionfo della morte conservato a Palazzo Abatellis (Palermo) si evidenzia la sua potenza e imprevedibilità. Non importa, quindi, se i vari personaggi siano di strati sociali alti o bassi: prima o poi la morte porterà con sé tutti.
L’ultimo capitolo del film è quello più evocativo, alternando riprese di catacombe, immagini d’archivio, allegorie sacre e candele che bruciano. Inoltre, sono presenti frequenti momenti di silenzio totale, richiamando la quiete dell’oltretomba.
Immemorial, Chants de la Grande Nuit si conclude con la luna, alta nel cielo oscuro e che man mano sfuma, prendendo forme sempre più indistinte. La figura si impossessa dello schermo, inghiotte lo spettatore e lo trascina sott’acqua, dove un volto emette un grido spezzato.
La morte non può che essere accostata alla vita e, quindi, come ultima scena vediamo i momenti salienti in una sala parto.
Conclusioni
Il documentario si presenta come un’indagine intima ed enigmatica sul mistero della morte. Ricco di elementi suggestivi, il film cerca di ripristinare l’antico legame tra uomo e mito.
Durante il corso della propria esistenza, una delle principali fonti di angoscia dell’essere umano è proprio il pensiero di una morte che, inevitabilmente e inaspettatamente, arriverà. Immemorial, dunque, ci ricorda che le nostre ansie e i nostri sgomenti sono del tutto condivisibili.
Il tempo a nostra disposizione è limitato: vale la pena, quindi, vivere intensamente ogni piccolo istante.
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