Io non sono nessuno è il primo lungometraggio di Geraldine Ottier. L’autrice, che si è occupata anche della sceneggiatura e del montaggio della pellicola, ha già realizzato diversi cortometraggi. Ottier è stata ideatrice e produttrice della prima webserie a tematica lesbica LSB The series, ambientata a Roma e che segue il successo della prima webserie a tematica gay G&T.
Il film è prodotto dalla Tyche Films, non nuova a produzioni a tematica lgbtqi+ fra cui il cortometraggio Il capitone, presentato all’interno del Filmmaker Festival 2024.
Io non sono nessuno viene proposto, in anteprima nazionale, al Florence Queer Festival 2024 nella categoria Premio Pride.
Ho deciso di scrivere questo film per raccontare a tutti la sua incredibile storia (di Maria Silvia Spolato), le sue lotte, il suo coraggio, ma anche le sue fragilità, l’amore, la delusione e soffermarmi sul suo dolore, un dolore talmente forte da portarla alla follia. (La regista Geraldine Ottier)
La sofferta storia della prima lesbica italiana vittima di un outing nazionale
Dopo un incipit iniziale nel 2018, si viene catapultati negli anni Sessanta. Si segue la vita di Maria Silvia, dalla laurea a Padova al suo primo lavoro a Milano, dove inizia ad avvicinarsi ai movimenti femministi. Il suo trasferimento a Roma, dove insegna matematica, la porta a una militanza convinta nelle file del movimento femminista Pompeo Magno. In seguito, grazie anche alla conoscenza e vicinanza con Filippo, omosessuale dichiarato e suo padrone di casa, confluisce nel gruppo queer FUORI!.
Mentre partecipa a una manifestazione sui diritti delle donne, Maria Silvia fa coming out. Questo evento viene immortalato da un fotografo e pubblicato su una rivista nazionale, costringendo la donna a uscire dal suo closet e relegandola ai margini della società. Il finale è legato all’incipit, con la protagonista in una casa di riposo dove muore nella sua, forse, ritrovata serenità.
Una triplice discordanza che smaschera l’ingenuità
Io non sono nessuno mette in evidenza come i tre fattori principali – narrazione, componente tecnica e componente attoriale – possano essere analizzati a sé stante.
La sceneggiatura di Geraldine Ottier risulta lunga e non sempre in linea con i molti fatti che vengono narrati. La quasi totalità del film riguarda gli anni 1971 e 1972 e il racconto risulta più didascalico che empatico. Le scene drammatiche usano tutti gli artifizi della cinematografia classica, rimanendo su una linea di racconto senza sorprese.
I treni compaiono spesso tra una scena e l’altra; questo perché il treno è un po’ una metafora della vita. La vita stessa è un treno che viaggia, si ferma e riparte, ha i suoi cambi e suoi binari, nel nostro tragitto ci saranno persone che saliranno e altre che scenderanno. (La regista Geraldine Ottier)
Il continuo richiamo ai treni-tram di cui la regista parla vengono spesso usati al posto di un passaggio temporale e non sempre risulta efficace la vena poetica cercata dall’autrice. Risulta curiosa la notizia che Spolato era docente di informatica – è negli anni Ottanta che viene introdotta come materia nelle scuole superiori, oltre un decennio dopo gli avvenimenti esposti – sebbene pare venga ripresa da un giornale.
Io non sono nessuno – Erica Zambelli e Piero Grant in una foto di scena (dal sito del Florence Queer Festival)
Il “come” che prende il sopravvento sul “cosa”
La componente tecnica cerca di smarcarsi dalla leggerezza di un film indie di poca esperienza. In questo caso, Ottier dà il meglio di sé. La regista sa come muovere la telecamera – anche se si fa prendere la mano dai continui cambi di angolazione e movimenti – e si fa seguire dalla troupe in maniera coerente.
La fotografia di Maurizio Sala risulta modesta, quasi sgranata, ma perfettamente contestualizzata al lavoro. Anche le canzoni dei RumoreRosa, così fortemente melodrammatiche, acquisiscono un loro senso all’interno del lungometraggio, optando più per un prodotto affidabile e conosciuto che per originalità. Una segnalazione particolare alla scenografia di Simona Petrucci e ai costumi di Maurizio Maffei, che ci riportano agli anni Settanta.
Attori oltre il mezzo espressivo utilizzato
La componente attoriale – la terza – ci porta in un’ulteriore dimensione, fra l’intermedialità o la più semplice teatralità. Pur rispettando il lavoro degli attori, non si possono eludere le loro stesse ingenuità.
All’inizio ero spaventata all’idea di interpretare un personaggio così forte, complesso, unico, ma più la studiavo, più mi avvicinavo a lei tanto da sembrarmi di conoscerla. Ho sofferto con lei, ho pianto, mi sono arrabbiata, ho cercato di capirla, ho scavato dentro le mie emozioni per restituirle al meglio la dignità che merita. (La protagonista Erica Zambelli)
La protagonista Erica Zambelli ha cercato di sopportare – e supportare – il peso di un personaggio comunque ingombrante. La rappresentazione che le è stata imposta, da donna dimessa, con i capelli non curati e trucco quasi totalmente assente, non le hanno consentito appieno di esprimere il suo potenziale.
Graziano Scarabicchi, già protagonista di un film a tematica queer – Beyond Love (2014) – è l’amico gay che indica la strada dell’attivismo queer alla protagonista. La sua interpretazione risulta lineare a quella di quasi tutti i suoi colleghi, senza però sfociare nella caratterizzazione ridondante come, invece, avviene a Susanna Marcomeni e Piero Grant, ovvero la madre di Spolato e l’assillante e vendicativo preside. Una esasperazione, quella di questi ultimi, che può essere frutto di una demarcazione netta fra i personaggi buoni e quelli cattivi.
Martina Carletti, Roberta Garzia ed Ernesto Mahieux donano al suo personaggio quella credibilità che la macchina da presa richiede. Il personaggio di Carletti, in particolar modo, ha un contenimento che alcuni potrebbero ricondurre a un aspetto della personalità meno frastagliata. Proprio per questa ragione, la sua Valeria risulta più complessa da interpretare.
Un ottimo ricordo proposto in maniera naif
Io non sono nessuno ricorda, per certi versi, le mini fiction che venivano usate, un tempo, nei programmi pomeridiani Rai. Il lavoro di Ottier è apprezzabile perché riporta alla luce la storia di una donna coraggiosa la cui resilienza è stata messa a dura prova dal mondo che la circondava.