In concorso al 42° Torino Film Festival, The Black Sea è un delizioso dramedy che affronta con leggerezza tematiche sempre attuali.
Khalid, barista afroamericano naive e squattrinato, accetta di volare da Brooklyn in Bulgaria con la promessa di un ingente guadagno scovato su Facebook;. Il compito è assurdo, ovvero toccare una donna locale per salvarle la vita, secondo quanto indicato da una veggente.
Giunto a destinazione scoprirà che questa è già trapassata e, guardato con sospetto e curiosità dalla comunità locale, in quanto unica persona di colore, finirà presto per perdere bagaglio e documenti, trovandosi senza soldi e senza un tetto sulla testa.
Da lì, tra espedienti e ostacoli, Khalid tenterà di sopravvivere, superando resistenze e timori della comunità locale, suscitandone la curiosità, combinando qualche guaio, traendone fiducia.
Il confronto tra culture opposte narrato con leggerezza.
Il lungometraggio, diretto da Crystal Moselle & Derrick B. Harden, affronta tematiche profonde che investono da un lato la prospettiva intima, dall’altro quella sociale, ma non sono mai trattate direttamente.
Il racconto, al contrario, scorre quanto un flusso musicale in cui sia le contrapposizioni culturali, che la rinascita personale si sviluppano con toni scanzonati e armonici.
Derrick B. Harden – rapper, artista, filmaker, nonchè autore delle musiche – è indubbiamente il fulcro del film e incarna in sé lo spirito artistico in grado di contaminare progressivamente la piccola città del Mar Nero col suo hip hop. Egli stesso compie un percorso autorigenerante che lo condurrà al riscatto sociale, al superamento dei propri limiti e alla scoperta dei sentimenti.
Si accenna all’amore, ma con toni pacati; l’incontro con Ina (Irmena Chichikova) è l’unione di anime, è lo spirito solidaristico, è il confronto conciliante con il diverso da sé.
Un copione quasi inesistente dal flow hip hop
Il pretesto narrativo nasce da esperienza diretta dei due registi che, in visita alla produttrice Izabella Tzenkova, in terra bulgara sperimentarono in prima persona l’approccio della comunità a un afroamericano, autentica rarità, a tratti trattandolo come una non ben nota celebrità del mondo rap/hip hop, in altri casi guardandolo con diffidenza e perplessità.
La sceneggiatura di per sè appare scarna, ma ciò è giustificato dal fatto che quasi non esiste copione e spesso il girato è frutto di incontri casuali e improvvisazioni, proprio come un freestyle.
Il sogno americano si traspone in tinte bulgare, il senso di tutto è proprio lì.