Se della società contemporanea qualcosa abbiamo compreso, l’unico appello che possiamo denunciare è lo stravagante modo che il giudizio ha di insinuarsi nelle cicatrici delle esistenze altrui. Xixi è un documentario che circumnaviga l’ordinario, il dato assoluto, la normativa. Presentato al Rome International Documentary Festival, Fan Wu, regista del film, si mette alla ricerca dello straordinario per mostrarcene il consueto imposto: ciò che non comprendiamo, ciò che, per sua stessa essenza, sfugge alle briglie dell’etica e della morale.
Il lavoro della regista è un progetto di ricerca interiore e prende il proprio vissuto per portarlo, traslarlo, nel vissuto altrui e quindi interrogarlo: chiederne il conto, capire quale prezzo è da pagare. Fan Wu e Xixi condividono un’esistenza apolide: espatriate nel continente europeo, vivono una cultura che non le riconosce a causa del loro modo di vedere ed esperire il mondo. Esistenze straordinarie che si trovano costrette all’ordinarietà dei continenti e della norma sociale, una legge che nessuno ha mai sottoscritto e a cui loro stesse, più di altre, fanno fatica a spiegarsi.
Non è facile parlare di Xixi e in generale dell’omonimo documentario, più volte ci si interroga sulle leggi sociali e sull’appropriatezza di rispettarle. Nel film, come d’altronde nella vita della sua protagonista, è presente la figura della figlia di dieci anni. La presenza di una minorenne e la responsabilità derivata dalla scelta di essere madre, giocano, per tutto il film, una divergenza che, a prescindere dalla cultura di appartenenza, è difficile da comprendere. La sospensione del giudizio, per quanto dovuta e santificata, è in questa pellicola più di altre, difficile da applicare. Xixi è un’adulta, una compagna, un’amica, una figlia ma anche una madre e questo rende la lettura del documentario davvero difficile da digerire.
Xixi, viaggio al centro dello straordinario
Probabilmente non è nell’interesse di Fan Wu parlare dell’eccezionale vita di Xixi, molto più probabile è la visione di un riadattamento dell’ordinarietà di una vita straordinaria. Leggere la sua protagonista non è facile neanche nei suoi momenti più intimi e umani. Capire le sue scelte di vita, il suo stile fuori dal comune, la sua storia di redenzione è difficile, perché ad accompagnare Xixi nella sua vita occidentale è la figlia e le pressioni di un padre che ne pretende il benessere e la stabilità.
Quello che fa Fan Wu non è parlare di buoni o di cattivi ma semplicemente esporre le cicatrici dell’esistenza, anche (e soprattutto) quelle più difficili da decodificare. Se non riusciamo a trovare una ragione vuol dire che il contratto sociale posto in essere non ha la stessa validità di qualsiasi altra forma di vita? Non sappiamo dare una risposta a questa domanda e la regista interroga il pubblico e se stessa, nel suo tortuoso viaggio che la porta a una riconciliazione con le parti di sé più turbolente. E che pur, nel controverso confronto con la vita arzigogolata di Xixi, ne assumono peso e valore.
Fan Wu e Xixi sono due apolidi, senza casa: il loro corpo è la costrizione ultima che le divide con il resto, con l’Occidente che si dimostra allo stesso tempo ostico e caritatevole. Il passato, invece, è un tiranno che chiede il conto e che sottolinea le ingiustizie subite e le ragioni delle scottature presenti. Non c’è modo di sfuggire a quello che siamo stati, ma la strada di mattoni gialli è contornata da miracolose vie di fuga. L’arte, l’amore, la droga, la natura e la bellezza di ciò che ci circonda e ci commuove.
Quando troviamo noi stesse
In ultimo, forse, il più azzeccato punto di arrivo nel documentario di Fan Wu è l’estrema eppur dolce rassegnazione al dolore: inclemente. Non c’è misericordia nel raccontarsi e nell’essere compresi davvero, ma forse rimane la speranza di essere visti, guardati probabilmente per la prima vera volta. E Fan Wu guarda Xixi come guarda se stessa nell’estremo atto politico di essere riconosciuta.
Xixi è una protagonista infallibile perché di fallimenti ed escoriazioni è fatta la sua esistenza. I vessilli da portare con orgoglio diventano quindi le cicatrici del dolore, l’ultimo insostenibile, seppur necessario, momento per perdonarsi e ripartire. Rimane il dubbio se i suoi affetti più cari riusciranno a farlo, se l’amore ancora una volta basterà a colmare l’assenza o l’illusione di essere presenti. Quello che riconosciamo nell’incredibile lavoro di affermazione della regista è la sua volontà di sospendere il giudizio e assistere alla fiducia e alla compassione con cui Xixi espone il suo imponderabile dolore.