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Interviews

Marcello Fois:………..”Cosa sarebbe il cinema italiano senza le meravigliose penne di Cesare Zavattini, Sergio Amidei, Tonino Guerra, Ugo Pirro?”…..

Le interviste agli uomini che hanno fatto grande il cinema italiano. Rubrica a cura di Giovanni Berardi

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Marcello Fois e Giovanni Berardi

Marcello Fois è uno scrittore puro, certamente tra i più amati della ultima generazione. Il suo ultimo titolo,  Nel tempo di mezzo, nel 2012 è finalista, al contempo, ai prestigiosi premi nazionali Strega e Campiello. Considero Nel tempo di mezzo, in questo momento storico, straordinario almeno quanto Resistere non serve a niente di  Walter Siti, altro scrittore personalmente molto amato. Anche Siti oggi è marcato stretto da un regista, Matteo Garrone, che insiste per trascinarlo all’interno della scrittura cinematografica. Dice Marcello Fois: “Sarebbe una ricchezza enorme coinvolgere gli scrittori nella scrittura cinematografica. Perché il nodo centrale rimane sempre quello: noi oggi abbiamo sicuramente dei bravissimi registi ma spesso questi non sono altrettanto bravi come scrittori. Io credo che il mercato del cinema è diventato, da questo punto di vista della collaborazione tra le arti, sempre più avaro. Cioè se un gruppo di ottimi registi, e ci sono nel cinema italiano, si prendesse la briga di sondare gli scrittori giusti per le cose che loro sanno fare avremmo sicuramente e finalmente dei prodotti di grandissimo respiro e di grandissimo gusto”.

Marcello Fois rimane un narratore ferreo, legato, come ci ha detto, prepotentemente ed estremamente alle immagini, al cinema, alla televisione.  Non a caso, pensiamo, una delle più interessanti edizioni della ricca serie televisiva, Distretto di polizia,  proprio per le tematiche profonde affrontate decisamente, e senza timidezze, proprio attraverso i carismi del miglior cinema di impegno civile, porta anche la sua firma, il suo talento di scrittore perfetto.  La stessa grammatica si ripete anche per l’episodio della serie televisiva Crimini  che dal racconto di Fois, Disegno di sangue, ha tratto un significativo film trasmesso nel 2007 da Rai Due.  Fois spiega che deve il suo rapporto con la televisione e con il mondo delle immagini in generale già alla primissima infanzia. Un ricordo particolare è fondamentale in questo senso risale all’annuncio dell’uccisione del presidente degli Stati Uniti  John Fitzgerald Kennedy. Il bambino Fois (aveva all’epoca quattro anni) correva per casa quando al sentore dalla televisione accesa di tale drammatico annuncio, era l’inverno del 1963, si arrestò all’istante voltandosi proprio improvvidamente verso lo schermo televisivo, ma proseguendo ugualmente la sua corsa,  che finì infatti rovinosamente contro uno sportello di un mobile rimasto aperto. Quel giorno il bambino Fois riportò un lieve trauma, “anzi tuttora” dice Fois “una piccola cicatrice è percettibile nella mia testa”. Forse nasce anche da qui, dall’esperienza legata al trauma, il talento specifico di Marcello Fois, la sua passione rivolta decisamente alle lettere ed all’immagine, alla narrativa e al cinema di impegno civile. Il cinema vede Marcello Fois soprattutto autore di una sceneggiatura decisamente importante, Ilaria Alpi, il più crudele dei giorni, pellicola diretta nel 2003 dal regista  Ferdinando Vicentini Orgnani, a cui è seguita un altra sceneggiatura, altrettanto importante e rigorosa, Certi bambini, girata nel 2004 dai registi  Antonio e Andrea Frazzi.  Poi, nel 2006, è la volta di un film per la televisione, L’ultima frontiera,  scritto insieme al regista Franco Bernini.

Dice Marcello Fois: “Quando abbiamo scritto il film su Ilaria Alpi e Miran Hovratin, veramente non abbiamo fatto niente di particolarmente interessante, se non quello di mettere in ordine situazioni, così come la cronaca ce le aveva fatte percepire, ed in qualche caso, raccontate”. In questo senso, pensiamo che, nonostante siano passati ormai venti anni dal fatto, i nomi dei mandanti ancora non li conosciamo affatto.  Conosciamo sicuramente gli effetti della verità, una verità che però non è certamente quella assoluta, quel tipo di verità continua a restare decisamente negata. Probabilmente è una verità che ancora brucia davvero. E l’esistenza di questo film, fino a quando non si apriranno spiragli di luce, in qualche maniera continuerà a confermarlo. Perché  Ilaria Alpi ed il suo collega Miran Hrovatin erano davvero sulle tracce concrete di un traffico illegale, quello riguardante le armi e quello riguardante il disfacimento dei rifiuti tossici, dove le necessarie connivenze e le relative complicità cominciavano ad attestarsi sicuramente ad altissimo livello, interessando assolutamente anche nazioni e paesi insospettabili per un quadro criminale. Invece il film successivo, Certi bambini, 2006, Andrea e Antonio Frazzi, nel percorso di Marcello Fois attraverso il cinema, nasce proprio come un’esperienza differente ed al contempo, pensiamo, di una nobiltà solenne perché lo vede, infatti, sceneggiare un libro altrui, l’omonimo romanzo dello scrittore Diego Da Silva. Ed è stato in verità, pensiamo, anche un procedimento di lavoro un po’ insolito per le caratteristiche del cinema italiano contemporaneo, perché una sceneggiatura scritta a cinque mani non è più attuale nella logistica del cinema italiano oggi, certamente era più adatta e consueta nel cinema degli anni cinquanta e sessanta.  A monte di Certi bambini  c’era proprio il romanzo omonimo di Diego Da Silva, appunto, e l’adattamento cinematografico di questo è avvenuto decisamente a più mani, esattamente dieci: quelle dei registi Frazzi, del regista Ferdinando Vicentini Orgnani, dello scrittore De Silva e di Marcello Fois. La storia è la descrizione della vita nel quotidiano di un bambino, in quel processo che lo porterà a scivolare verso gli inferi. Il bambino è un orfano che vive accudendo la nonna malata, che ormai, in verità, è andata fuori anche con la testa. La vita di questo bambino, come dei suoi amichetti, è una vita proprio tra furti e sala giochi, per poi ritrovarsi, un giorno, tutti arruolati tra le fila della malavita organizzata. “Certi bambini  è un film che è rimasto molto fedele al suo romanzo”  spiega Fois  “tranne la decisione presa a tavolino di invertire le rotte. Nel senso che l’ evento che conclude il film è,  in verità, l’inizio del romanzo di Da Silva”. Un cambiamento che è stato dettato, appunto, dalle differenti modalità di espressioni che, in definitiva, corrono inevitabilmente tra il cinema e la letteratura. Conferma Fois: “Ma l’importante è riuscire sempre a mantenere, nella pellicola che verrà, lo spirito del libro, che poi rimane sempre la difficoltà prima del lavoro di traduzione”.

Cinema e letteratura è un connubio che ha sempre interessato moltissimo questa rubrica, sicuramente con l’andare del tempo continueremo nella discussione e nella analisi tra le due discipline.  Già lo scrittore  Antonio Pennacchi, anch’egli personalmente molto amato  (il suo Canale Mussolini, premio Strega 2008 è, a dire poco, sublime)  lo diceva, e proprio dalle nostre pagine qualche numero fa, che il cinema dovrebbe attingere, “sempre e comunque”  dalla migliore letteratura. Dice Marcello Fois: “Decisamente questo è un pensiero ed un atteggiamento che approvo e sostengo. Penso sempre, ad esempio, a cosa sarebbe stato il cinema di Federico Fellini senza  Ennio Flaiano, quello di  Vittorio De Sica senza Cesare Zavattini, di Michelangelo Antonioni senza Tonino Guerra, di Elio Petri senza Ugo Pirro”. Noi insistiamo ancora in questo senso, perché pensiamo davvero che dietro il grande movimento culturale principe del cinema italiano, quello che fu chiamato del neorealismo (insieme alla relativa e discendente commedia all’italiana pensiamo resti tuttora l’unico grande movimento culturale del cinema italiano) c’è sempre stato in realtà un grande movimento di scrittura: Corrado Alvaro, Pier Maria Pasinetti, Sergio Amidei, Umberto BarbaroLibero De LiberoElio Vittorini, Cesare Pavese, Vasco Pratolini, Diego Fabbri, Emilio Cecchi, Mario Soldati, Italo Calvino, Pietro Ingrao, prima di diventare un rispettabile politico. Questi sono nomi che portarono il loro apporto, alcuni proprio direttamente partecipando in sede di sceneggiatura, altri culturalmente ed ideologicamente, lavorando semplicemente al confronto ed alla ferrea discussione  tra le arti (magari ai tavoli di un bar), cioè tra il cinema, la letteratura, finanche la pittura.  Anche nella letteratura italiana il movimento del neorealismo fu assolutamente fluente e pregno. Ed infatti cosa altro sono stati, dopo, e qualcuno lo è ancora, se non puri e geniali scrittori quegli sceneggiatori cinematografici che riuscirono nell’operazione di trainare il movimento del neorealismo in quello che è stato chiamato della commedia all’italiana, continuando così nella potenzialità del movimento culturale? Pensiamo a sceneggiatori puri come sono stati, ad esempio, Sergio Amidei, Suso Cecchi D’Amico e Furio Scarpelli,  come lo sono ancora Luciano Vincenzoni e Alberto Bevilacqua. Ma dietro la grande commedia all’italiana, dietro ai grandi film di Monicelli, Risi, Pietrangeli, Comencini  continuavano ad esserci sempre, in verità, scrittori purissimi e geniali come sono stati, ad esempio,  Vitaliano Brancati, Giuseppe D’Agata, Luigi Malerba, Ercole Patti, Lucio Mastronardi, Giuseppe Berto, Luciano Bianciardi, Natalia Ginzburg, Dacia Maraini, Alberto Moravia.

Dice Marcello Fois: “Il cinema neorealista è stato un fenomeno estremamente culturale, ricco, un dato di fatto estremo per la cultura. Ancora oggi, attraverso la visione di quei film godiamo di una Italia fotografata nel momento più drammatico del suo percorso verso la rinascita economica, sociale e culturale”. Decisamente, pensiamo, riconosciuto in questi termini come lo ha ricordato Fois il cinema neorealista conserva davvero in sé un valore ineccepibile, e non si riesce a capire perché ancora non sia diventata, esattamente nelle scuole, una degna materia di studio. Il cinema del periodo neorealista è stato veramente un cinema di grande scrittura, era una realtà in verità studiata molto a tavolino, confrontata finanche con le altre discipline artistiche come la letteratura e la pittura, una realtà analizzata, interpretata, addirittura secondo la concezione di Cesare Zavattini  “pedinata”. E non c’era disciplina artistica che non si esprimeva attraverso tale processo.  In questo contesto pellicole come  (e qui apriamo una parentesi a cui teniamo molto)  Roma città aperta, 1945, Roberto Rossellini, Il sole sorge ancora, 1946, Aldo Vergano, Ladri di biciclette, 1948, Vittorio De Sica, Il cammino della speranza, 1950, Pietro Germi, Non c’è pace tra gli ulivi,1950, Giuseppe De Santis, Processo alla città, 1952, Luigi Zampa, Il processo di Verona, 1963, Carlo Lizzani, Uccellacci e uccellini, Pier Paolo Pasolini, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, 1970, Elio Petri, C’eravamo tanto amati, 1974, Ettore Scola, Il sospetto, 1975, Francesco Maselli, L’Agnese va a morire, 1976, Giuliano Montaldo, e via via, fino a tempi più recenti, con pellicole come La tregua, 1997, Francesco Rosi, Vincere, 2009, Marco Bellocchio, L’uomo che verrà, 2010, Giorgio Diritti, Diaz, 2011, Daniele Vicari andrebbero davvero proiettate nelle scuole, proprio a garantire un ulteriore ampliamento della formazione culturale dei cittadini.  Con il suo terzo lavoro cinematografico,  L’ultima frontiera  appunto, Marcello Fois ha modo invece di esprimere un po’ quella che è la sua identità vera, quella che gli viene dall’essere nato nella terra di Sardegna, esattamente a Nuoro, “una terra dove non c’è il mare” come afferma anche il titolo di un suo romanzo. Dice Marcello Fois:  “Si, con L’ultima frontiera  siamo proprio in Sardegna, in piena Barbagia. Mi piace soprattutto l’idea di affermare che con  L’ultima frontiera,  sotto certi aspetti,  siamo dentro i motivi per cui questa nazione ancora non l’abbiamo raccontata tutta, o perlomeno non l’abbiamo fatto per bene. E mi piace pensare ancora oggi al lavoro de L’ultima frontiera  come ad un lavoro di contraltare verso i grandi sceneggiati televisivi di un tempo, quelli di Sandro Bolchi, per intenderci, o di Anton Giulio Majano, che erano davvero delle opere notevoli, secondo me addirittura veri ed essenziali strumenti per la crescita culturale e civile i questa nazione. Ecco scrivendo con Franco Bernini  L’ultima frontiera,  ricordo, a questo proprio volevamo arrivare, ad un tipo di lavoro tale da rifondare comunque la grammatica dello sceneggiato di un tempo, del teleromanzo fatto con i tempi proprio del romanzo. Attraverso i ritmi attuali, comunque inconfondibili ed invalicabili, poter ritornare in qualche maniera al preciso contenuto”.  L’ultima frontiera racconta quella che è stata l’ultima caccia grossa contro il brigantaggio in Sardegna. Siamo nella Barbagia di fine ottocento, un territorio dove forte era l’idea di indipendenza e di libertà della Sardegna. Questo gruppo di popolo, i briganti, tentava in verità di resistere con la forza a quello che stavano ormai vivendo come un sopruso: la filiazione della Sardegna al resto dell’Italia, e questo proprio a prescindere dalla loro volontà. Dice Marcello Fois: “In Barbagia, più che in altre zone della Sardegna esisteva una forte e sentita indipendenza, regolata anche, in qualche modo, da una autogestione legislativa locale.  Nessuno ha mai chiesto al popolo sardo se davvero volevano diventare italiani”. Questo fa pensare un po’ a quello che succede ancora oggi in Italia, proprio ai giorni nostri, dove vediamo le forze politiche discutere ancora della nostra posizione in Europa, chiarendoci sempre di più, giorno dopo giorno, che proprio nessuno ha mai chiesto tutt’ora agli italiani la loro opinione ed il loro sentore in proposito.

Giovanni Berardi 

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