Alex Infascelli con H2Odio: primo film nella storia del cinema di genere uscito direttamente per il mercato delle edicole. E non solo, probabilmente.
Nel 2006 è stato, infatti, il primo film pensato e realizzato per un pubblico di cultori del genere ormai non più molto affezionato alla sala. E come ingredienti principali dentro c’è un po’ di tutto, a partire dalla collaudata tematica della follia umana.
«Ho cercato di scandagliare l’anima femminile, il rapporto madre-figlia, la relazione tra amiche – ha dichiarato subito dopo l’uscita, il regista romano – Perché a differenza degli uomini che si confrontano con i traguardi, le donne hanno una rivalità che è nella stessa identità femminile».
Intenti piuttosto complessi detti da un uomo, ma che Infascelli ha scelto comunque di rappresentare uscendo dagli ambienti malati a cui ha abituato il suo pubblico con Almost blue (2000) e Il siero della vanità (2004). Il malato va estirpato fin dalle radici. E infatti cinque amiche si ritrovano per un week-and di purificazione su un’isola deserta con lo scopo di portare avanti una sorta di terapia nutrizionale solamente a base di acqua.
Dopo un solo giorno di astinenza, alcune decidono di venir meno ai patti. Finché è l’acqua che comincia a mancare. E a seguire anche la ragione. Una di loro non ha mai smesso di osservarle… A parte l’aspetto rivoluzionario della distribuzione, è il cast di sole donne l’altra grande novità del film. Mentre l’atmosfera claustrofobica creata dall’isolamento, uno dei topos del cinema di genere anni Ottanta, torna a dominare la scena, aggiungendosi ad uno stile della narrazione e ad un modo di gestire la tensione che ricordano i primi Argento e De Palma, pur non riuscendo a riconfermarli fino in fondo. Poca paura a conti fatti, ma tanti buoni intenti, con musiche degli Harvestman un po’ ossessive, eppure decisamente azzeccate.