Europa centrale è un’opera audace e intensa, un kammerspiel metafisico che esplora la lotta politica, il tradimento e la follia attraverso una narrazione tesa e simbolica. Ambientato nei primi mesi della Seconda Guerra Mondiale, il film segue una coppia di comunisti in esilio che, durante un viaggio in treno, affrontano non solo i pericoli della guerra in corso, ma anche la crisi interiore che minaccia la loro stessa esistenza. Diretto da Gianluca Minucci, il film è stato presentato al Torino Film Festival.
«La verità, Cassola, la verità è molteplice. É ovunque.»
Europa centrale racconta la missione di Umberto Cassola (Paolo Pierobon), un comunista incaricato dal Comintern di trasportare documenti cruciali attraverso territori occupati. Ad accompagnarlo nel lungo viaggio ci sono Julia (Catherine Bertoni de Laet) e la figlia Olga (Angelica Kazankova), una giovane ragazzina dall’aria innocente che si trova coinvolta in un pericoloso gioco. Il film si articola su due linee narrative parallele: quella di Cassola e quella di Guido Clerici (Tommaso Ragno), un fascista supportato dalla compagna Gerda (Matilde Vigna). Clerici è deciso a fermare la missione di Cassola. Ha infatti l’ordine di intercettare i documenti prima che possano arrivare ai loro destinatari. La trama si infittisce quando fa il suo ingresso László Molnar (Levente Molnàr), un agente segreto che non sta da nessuna delle due parti, e che porta così la tensione a un livello superiore.
Ritmo frenetico e atmosfera claustrofobica
La pellicola si distingue per l’uso magistrale dello spazio e del tempo in un ambiente confinato e claustrofobico come il treno, metafora del percorso interiore dei vari protagonisti. É il luogo in cui le emozioni si allargano, intensificano, amplificano e i conflitti si rivelano. La regia, di Gianluca Minucci è perfetta, ha un ritmo frenetico e l’uso costante dei primi piani, sfruttando l’isolamento del mezzo di trasporto, crea un’atmosfera claustrofobica e labirintica dove ogni movimento, ogni sguardo, ogni istante è descritto in maniera molto realistica.
I due protagonisti, entrambi esiliati politici, sono costretti a confrontarsi. Il Cassola portato in scena da Paolo Pierobon è ideologicamente rigido, versa in un costante atteggiamento di lotta mettendo in bilico la sua fede nel collettivismo. Vive di paranoie e allucinazioni, vede complotti ovunque. Julia, invece, è più pragmatica, costantemente nervosa e tesa, pronta a crollare. Si ritrova a lottare con i propri sensi di colpa per aver preso delle decisioni sbagliate. La tensione tra i due cresce mentre il viaggio diventa la metafora di una lotta più grande, quella tra il dovere politico e la fragilità umana.
Un’odissea intensa e misteriosa
Gianluca Minucci ci conduce lungo un’odissea che attraversa un’Europa sull’orlo della Seconda guerra mondiale. Con uno stile vorticoso e coinvolgente, il film esplora non solo il pericolo imminente della guerra, ma anche la crescente paranoia umana e le divisioni interne che ne derivano. La trama si sviluppa su un treno che taglia l’Europa in un periodo storico turbolento, carico di tensione, un drammatico 1940 in cui il mondo intero sembra sospeso tra il caos della Seconda Guerra Mondiale e l’ascesa degli estremismi ideologici.
Sullo sfondo di questa fitta nebbia carica di sospetti e tensione, il regista costruisce un racconto intenso e misterioso che si snoda interamente a bordo di un treno che non fa mai una fermata e che diventa il protagonista silenzioso di una narrazione che intreccia politica, spionaggio e paura. La missione centrale è una consegna fondamentale del Comintern, l’organizzazione comunista internazionale ispirata dalle teorie leniniste, che deve attraversare l’Europa per arrivare al suo destino. Il viaggio sul treno diventa così il simbolo del movimento delle ideologie.
Fratture ideologiche e culturali
La vera forza del film è la sua ambientazione. L’Europa centrale, nel suo periodo di transizione tra le due guerre mondiali, è un luogo di fratture ideologiche, storiche e culturali, divisa tra ideali contrastanti e una geografia politica che non è mai stata così frammentata. Il regista gioca su questi elementi storici per creare un’atmosfera di costante tensione, una riflessione sul passato e sul futuro. L’approccio alla regia è spesso focalizzato sui dettagli. I colori, dai toni bassi e poco vividi rendono le immagini pastose, smorzandone i contorni e rendendo l’atmosfera del film oscura e rarefatta, permeata da un profondo senso di smarrimento. Un contrasto visivo che quasi suggerisce che i personaggi, pur muovendosi per tutto il tempo su un treno che attraversa l’Europa, sono in realtà intrappolati dentro di esso.
Ciò che più colpisce di Europa centralesono le interpretazioni. Potenti, volutamente caricaturali, stremati dal fardello che portano ma esteticamente raffinati, quasi archetipi di una narrazione che cerca di mostrare i lati più brutali delle due ideologie. Paolo Pierbon, Catherine Bertoni De Laet, Tommaso Ragno, Matilde Vigna e Angelica Zakankova ci offrono delle interpretazioni forti e raffinate. Belle da guardare. La recitazione è sovraesposta, come nelle opere del Kammerspiel.
La colonna sonora di Zbigniew Preisner, maestosa e suadente, si inserisce perfettamente in questo contesto visivo. Accompagna le battaglie interiori dei protagonisti sottolineando i diversi stati d’animo dove le tensioni e le lotte aggiungono una dimensione emotiva al film.
«La paura, il sospetto, la violenza psicologica e fisica, creano un’atmosfera claustrofobica e psicotica, un cul de sac dal quale non c’è via di scampo.»
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