Gli ultimi due prodotti HBO parlano chiaro: se al cinema una cosa funziona, espandiamola in televisione. Il confine fra cinema e serialità si sta assottigliando sempre di più. E i risultati sono notevoli: un esempio è The Penguin, che riparte dove si interrompeva The Batman e quasi supera il film di partenza. Anche la prima stagione di Dune: Prophecy sembra seguire questa direzione creativa, solida e di alto livello. Le puntate sono disponibili su Sky Atlantic.
La trama di Dune: Prophecy
Diecimila anni prima gli eventi dei film di Villeneuve e cento anni dopo il Jihad Butleriano (la guerra contro le macchine dopo cui si è stabilito un freno alla sperimentazione tecnologica), il Bene Gesserit è ai suoi albori nella sua ricerca genetica per il Kwisatz Haderach. Guidato da Valya Harkonnen (Emily Watson, protagonista di Chernobyl, altro prodotto HBO), seguita dalla sorella Tula (Olivia Williams), l’ordine si impegna nell’istruzione delle sue allieve da inviare nelle corti dell’Imperium. Il fine è consigliare (e influenzare) le scelte politiche delle Grandi Case.
Intanto, l’Imperatore Javicco Corinno (Mark Strong) è alle prese con la gestione di una pace in bilico e con il governo del pianeta Dune, da cui è appena tornato Desmond Hart (Travis Fimmel), un misterioso soldato dato per morto. Per rafforzare le sue alleanze, l’Imperatore acconsente a far sposare la figlia Ynez (Sarah-Sofie Boussnina), in procinto di entrare nel Bene Gesserit, con l’erede di un’altra importante famiglia. Qualcosa, però, non andrà come previsto per via di complotti e intrighi politici.
Struttura e modelli di Dune: Prophecy
Anche se il prodotto di partenza è un binomio cinematografico, Dune: Prophecy inizia e finisce come una classica serie tv. La prima stagione ha le sue linee narrative, ma resta un primo atto. Serve a creare le basi per le stagioni future, in modo convincente, compatto, efficace: viene voglia di saperne di più. Nel corso della stagione ci sono più momenti in cui il ritmo rallenta. Per cui non si può parlare di una narrazione perfetta, in particolare nella gestione dei flashback, forse troppo preponderanti. Anche considerando che alcuni passaggi avvengono in maniera un po’ superficiale, per favorire colpi di scena un po’ forzati.
Al netto di questi difetti, la stagione funziona perché ha una struttura precisa: azione, reazione, controazione. Un personaggio fa qualcosa, gli altri personaggi reagiscono e scelgono cosa fare di conseguenza. Il problema di Dune: Prophecy è nella fase centrale di questa struttura: le reazioni dei tanti personaggi rallentano il ritmo, ma sono fondamentali. Servono ad approfondire la loro personalità. Per questo nel finale, in cui accadono molte cose in fretta, le forzature non ci sono: le azioni dei personaggi sono dirette conseguenze delle scelte precedenti, (quasi) tutte le storyline la loro chiusura, senza esaurirsi del tutto. Finisce una storia, ne comincia un’altra. Finisce una stagione, cliffhanger, pronti per la prossima. Una struttura chiara, che funziona.
Questa struttura ricorda lo schema della prima stagione de Il trono di spade, creando un cortocircuito particolare. Dune: Prophecy, serie espansiva dell’universo letterario e cinematografico creato da Frank Herbert (lo scrittore di Dune), prende come modello Il trono di spade, la trasposizione seriale (sempre HBO) dei libri di George R. R. Martin, i quali, a loro volta, devono molto alle opere di Herbert. Un libro influenza un altro libro, da cui viene tratta una serie che diventa il modello di una serie ispirata al primo libro. Senza dimenticare le affinità di Dune: Prophecy con House of the dragon, altra serie HBO derivativa dalle opere di Martin: basti pensare alla predominanza di protagoniste femminili e ai numerosi intrighi di palazzo. Un groviglio di influenze e forme narrative, mescolate e controllate con maestria. “This is HBO”.
Struttura seriale, forma cinematografica
Ricordiamoci anche che “it’s not TV. It’s HBO”. Oltre alla struttura da serie tv, in Dune: Prophecy c’è spazio anche per un lavoro estetico di stampo cinematografico. In questa prima stagione, la struttura supera la forma, che, però, ha la sua rilevanza. Le showrunner Diane Ademu-John (che ha anche scritto questo episodio) e Alison Schapker riprendono le atmosfere dei Dune di Villeneuve. In particolare, la fotografia lavora nello stesso modo per differenziare fra toni caldi e freddi a seconda del pianeta in cui ci si trova. Anche costumi e scenografie sono molto simili (scelta giustificata dalle regole dell’universo narrativo, nonostante ci sia una distanza temporale di diecimila anni fra le due storie).
Ci sono più registi, ma fra questi spicca Anna Foerster, incaricata di dirigere primo e ultimo episodio. In generale, la regia è meno spettacolare di quella di Villeneuve. Come è giusto che sia. È una serie, verrà vista a casa, non al cinema. E poi, servono più scene di dialogo che di azione. Nonostante questo, però, i registi inseriscono alcune sequenze oniriche, fuori dalla chiarezza espositiva che caratterizza gran parte della serie. Non è solo un vezzo, un virtuosismo: è padronanza del materiale narrativo di Herbert. Il Ciclo di Dune ruota attorno al melange, una droga: perciò, ha anche una componente psichedelica (non a caso ci ha lavorato anche Lynch). Perciò, è presente anche in Dune: Prophecy: questo è un ulteriore elemento che conferma la qualità di un altro prodotto HBO che merita di essere visto.
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