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Festival del Cinema Europeo

Ulivo d’Oro alla carriera a Ken Loach

Consegnato l'Ulivo d'Oro alla carriera al cineasta Kean Loach. Durante l'incontro il regista britannico ha ripercorso la sua carriera, tra film e attivismo politico

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Ken Loach

Serata d’eccezione al Festival del Cinema Europeo con la consegna dell’Ulivo d’Oro a Ken Loach. Il grande regista ha ripercorso la sua carriera durante un dibattito tenuto assieme al direttore del festival, Alberto La Monica, e la presidentessa di giuria Luciana Castellina.

Un Loach visibilmente commosso ha mostrato alla folla del Multisala Massimo il suo Ulivo d’Oro conservato gelosamente, con la promessa a tutti i presenti di tornare dal vivo a Lecce per prendere un caffè. Perché per il cineasta il tratto umano è forse più importante di quello filmico.

Il cinema come soggettiva sul mondo 

Tutto quello che faccio è frutto di uno sforzo condiviso.

Durante l’intervista Ken Loach ha così sottolineato come il suo cinema sia uno sforzo di squadra. Raccontando i suoi primi passi con la BBC, il regista spiega come il cinema sia un mezzo per raccontare storie contemporanee:

“Gli anni Sessanta per me hanno rappresentato un momento decisivo. Quando ho proprio iniziato a fare e a girare film devo dire che ho avuto fortuna perché ho avuto un nuovo lavoro alla BBC. Un lavoro che, tra l’altro, ho avuto inaspettatamente e mi sono trovato all’interno di un gruppo creativo che aveva il compito di raccontare delle storie all’epoca contemporanee. E quindi l’opportunità di poter vedere il mondo e di poter capire quali fossero le storie importanti che valesse la pena raccontare. Ecco, quello è stato il mio momento decisivo.”

Un frame di Il vento che accarezza l’erba (2006)

Dove nasce il cinema di Ken Loach

Il cinema del maestro Ken Loach è sempre stato una missione politica intrisa di rivendicazioni realiste. L’autore di capolavori come Il vento che accarezza l’erba rivela i suoi gusti e le sue influenze, denotando un grande amore per il nostro cinema:

“La tradizione del cinema che mi ha influenzato era quello italiano del post-guerra, come il cinema di De Sica, e un uomo che è diventato un buon amico, Gillo Pontecorvo. E poi per me è stato il cinema tedesco, almeno in Europa, il cinema tedesco dopo pochi anni, negli anni Sessanta, quando Milos Forman e gli altri hanno realizzato opere bellissime. Un’osservazione silenziosa dell’umanità, del benessere, delle relazioni, dell’umore. Delle situazioni che tutti riconosciamo, delle persone che conosciamo. E semplicemente l’osservazione della storia.”

Il punto di osservazione sulla vita

Per Ken Loach la vita è osservazione, guardare l’ultimo, le classi meno abbienti e fare qualcosa per loro attraverso il cinema:

“La classe bianca è la classe rivoluzionaria e se c’è da cambiare arriverà dalla classe bianca e bisogna dare o non dare, ma assicurare che abbiamo una voce, che abbiamo rispetto, che siamo orgogliosi, che abbiamo un senso. Perché se abbiamo un senso della nostra classe abbiamo la confidenza di poter fare i cambiamenti se abbiamo la confidenza di poter fare i cambiamenti. Abbiamo la speranza e la speranza è politica. Bisogna sperare che ci sia un vero cammino per cambiare. E il cambiamento è un elemento politico importante perché dobbiamo celebrare e raccontare la storia della classe bianca e dire che siamo forti che possiamo fare i cambiamenti che un giorno salveranno la nostra vita e le vite comuni. E’ importante ridere, fare humor. Ma nello stesso tempo non solo i sorrisi, anche le lotte, le lacrime, le preoccupazioni e soprattutto il coraggio io credo che la classe operaria sia quella più vicina a ciò che è davvero l’essenza della vita”.

Com’è nato The Old Oak

Loach approfondisce il lavoro dietro il suo ultimo film e il grande rapporto con lo sceneggiatore Paul Laverty:

Paul , con cui lavoro da trent’anni, è un grande scrittore e un grande amico, è lui che trova le storie e me le sottopone. Storie di vita. Lui ha sentito la storia dei rifugiati della Siria, messi in queste zone dal governo britannico perché nessuno li vedeva. La classe media non si lamentava perché non c’erano tantissime persone di classe media che vivevano lì. Poi, ovviamente, c’è il razzismo, perché alcune persone dicono che non abbiamo niente da dare. Perché le persone vengono qui? Perché vengono da noi? E non ci piacciono i fornitori, gli immigrati, non sono la nostra gente. E c’è stato quello che è successo. Ma anche la tradizione antica dei rifugiati era l’internazionalismo. Quindi abbiamo voluto trovare una storia che potesse mostrare questa speranza, perché la nostra forza è la solidarietà. Se abbiamo solidarietà, allora siamo forti. Se siamo forti, possiamo vedere un passaggio avanti”.

Palestina e Israele

In conclusione non poteva mancare un riferimento alla guerra tra Israele e Palestina. Ken Loach sottolinea come l’antisemitismo sia un pericolo attuale, così come il bisogno di trincerarsi dietro a giustificazioni di guerra:

“Antisemitismo viene utilizzato per minare la critica a Israele. Quindi, per minare le fondamenta della critica nei confronti di Israele, c’è una figura eminente ebrea che ha scritto proprio un ultimo articolo e il titolo era: L‘antisionismo è il nuovo antisemitismo. Cioè, è una specie di dato condiviso e accettato dall’establishment dal primo ministro e, in generale, dall’opinione pubblica. C‘è questo sforzo costante di fare in modo che questo elemento sia un dato di fatto. Tuttavia, la gran parte delle persone che io conosco sottolineano ed evidenziano che questa cosa è assolutamente sbagliata. Voglio aggiungere un’altra cosa: un background etnico, essendo giudizio, deve avere una superiorità permanente, altrimenti è uno stato di giudizio. Uno stato in cui tutti sono sicuri e uguali. La pulizia etnica è, in modo evidente, un’ingiustizia. Ed è normale che quando un popolo viene attaccato, esso resiste. Ha resistito in passato, resiste adesso. Criticare Israele, e quindi essere automaticamente tacciati di antisemitismo, è una tattica ed è sbagliato”.

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