Nel concorso italiano del Festival dei Popoli 2024 anche il documentario In perpetuo di Federico Barassi. Il film è su una strana costruzione che si erge sulla spiaggia; da essa fuoriescono lunghi pali che sembrano puntare in direzione del mare. Si tratta di un trabucco garganico, un’antica macchina da pesca utilizzata sulle coste dell’Adriatico. Due uomini, un anziano e un giovane, si prendono quotidianamente cura della struttura in legno, riparandola, accertandosi del suo corretto funzionamento. (Fonte: Festival dei Popoli)
Nell’ambito del Festival dei Popoli abbiamo fatto alcune domande a Federico Barassi per comprendere meglio le sue scelte.
Federico Barassi e il suo In perpetuo
È singolare come argomento. Come mai hai scelto di parlare dei trabucchi?
L’idea di In perpetuo è nata nel 2017 perché avevo voglia di raccontare una realtà che stava scomparendo, ma sempre legata a una tradizione italiana. Quindi ho fatto un po’ di ricerche e tutto è coinciso con il fatto che in quell’anno è venuto a mancare mio padre.
L’idea, poi, evolvendosi, si è concentrata solo sui trabucchi che era una delle storie che avevo trovato e che stavano scomparendo. Venendo a mancare mio padre me l’hanno, in qualche modo, ricordato perché uniscono le sue due più grandi passioni: la lavorazione del legno e la pesca. Io, quindi, sono riuscito a scriverlo, a fare ricerca e a venire in contatto con quelli che sono i personaggi del documentario, gli ultimi conoscitori di questa tradizione.
Di generazione in generazione
Alla luce di quello che mi hai detto, ti chiedo se c’è, quindi, all’interno anche il discorso generazionale. Perché il modo in cui mostri la lavorazione, che è molto lento, per far capire ogni istante, è un po’ come se fosse l’anziano, conoscitore del mestiere, che istruisce lo spettatore, cioè la nuova leva, la nuova generazione.
Sì, certo. Infatti ho cercato proprio di osservarli. Anche i tempi, le inquadrature, a volte anche volutamente lunghe, sono proprio perché, osservando una realtà che ci appartiene, del nostro passato, in qualche modo, possiamo imparare qualcosa sia sul nostro presente che sul nostro futuro.
E quindi sì, c’è forse anche questa connessione generazionale, anche perché Giuseppino, il personaggio anziano, è quello che mi ha ricordato di più mio papà.
E poi c’è il fatto che non è un mestiere che si impara sui libri, ma che si tramanda di generazione in generazione.
Sì, lo puoi imparare solo osservandolo perché non c’è niente di scritto e, anche se ci fosse, non riusciresti a capirlo, perché è un mestiere troppo legato alla natura e ai suoi capricci della natura.
La calma e l’attenzione di Federico Barassi
Con questo tuo modo di girare noi vediamo esattamente ogni singolo passaggio per capire come si crea. C’è un’attenzione più che particolare.
E poi ci sono tutti i rapporti familiari: c’è il nipote con il nonno, c’è Antonio, che è il personaggio che ha il trabucco più sugli scogli che è quello sempre vestito militare, più giovane. Insomma, c’è questa connessione.
E poi è la mia opera prima. Quindi è come se fosse stato quasi mio padre a dirmi di farlo.
Un elemento interessante è che c’è poca umanità all’interno del tuo In perpetuo, nel senso che ci sono pochi esseri umani e c’è molta natura, tanto che diventa un personaggio a tutti gli effetti.
Esatto. Anche perché poi tutto si sviluppa in 10 km di costa. È come se fosse una panoramica su questo tratto di costa. E quindi ho cercato più di sviluppare un discorso orizzontale che uno verticale, proprio sui personaggi.
La calma con cui riprendi tutto va proprio in questa direzione. Sembra che tu voglia far parlare la natura, facendo sembrare le immagini una grande opera d’arte. Come quando vediamo una scultura e ci incantiamo osservandola.
Questa è una delle idee principali di regia che mi sono dato: avere questa camera sempre solida, sul treppiede per ridonare la sensazione, cioè l’idea di questi trabucchi che stanno lì con quei pali ancorati in quegli scogli, solidi da secoli. Ho voluto una telecamera solida che stava ancorata come loro e con un punto di vista sempre verso l’orizzonte. Perché anche loro lo guardano, metaforicamente, come a dire quale sarà il nostro futuro?
Ma non solo. È anche una speranza che si tratti di un’eredità che possa, in qualche modo, continuare.
Sì, e poi questo orizzonte che è sempre uguale nel tempo. Una linea che scandisce il mare e il cielo che rimane sempre uguale.
Il titolo
In perpetuo come nasce? Da cosa deriva l’idea di questo titolo? Da una parte può essere il modo di ripresa, perpetuo, dall’altra anche l’azione stessa dei personaggi che compiono sempre le medesime azioni.
Io l’ho inteso innanzitutto come il fatto che in natura tutto ha un inizio, un’evoluzione e una fine. In questo caso io mi sono immaginato che comunque, anche quando qualcosa finisce, alla fine rimane qualcosa, una traccia della sua esistenza. E io mi sono immaginato questa voce del trabucchista che risuona in perpetuo anche quando tutto finisce perché qualsiasi forma di vita, anche l’universo, è destinata a finire.
Poi c’è anche la chiave di lettura che dicevi tu, nel ripetere costantemente qualcosa che poi è quello che accade là. Ho cercato di ridare quei loro tempi fatti di attese, di ripetere la stessa azione in maniera perpetua.
Non ho voluto dare nessuna chiave di lettura definita.
Ci saranno altre occasioni per vedere il film di Federico Barassi oltre al Festival dei Popoli?
Prima di questa anteprima è stato al Molodist Film Festoval di Kiev, ma non sono riuscito ad andarci anche se ho saputo che è andata bene. Spero che ci saranno altre occasioni di farlo vedere. Non essendo riuscito ad andare a Kiev, questa è la prima volta a un festival.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli
Per l’intervista e le foto si ringrazia Davide Ficarola, Valentina Messina e Antonio Pirozzi, ufficio stampa del Festival dei Popoli