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‘Bogancloch’ intervista con il regista Ben Rivers

Il documentario con protagonista un solitario mistico moderno si è aggiudicato il secondo premio del Concorso Internazionale al Festival dei Popoli 2024

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Anche Bogancloch di Ben Rivers nel concorso internazionale del Festival dei Popoli 2024. Bogancloch è il nome della foresta che circonda l’abitazione di Jake Williams, un rifugio remoto nel cuore delle Highlands scozzesi. L’uomo, solitario mistico moderno, vive in accordo con i ritmi della natura e il ciclo delle stagioni. Le sue giornate sono scandite da accadimenti minimali, gesti reiterati che assumono ogni volta nuova consistenza. (Fonte: Festival dei Popoli)

Il documentario si è aggiudicato il secondo premio del Concorso Internazionale e, nel contesto del Festival dei Popoli, abbiamo fatto alcune domande al regista Ben Rivers.

Qui per leggere la recensione

Ben Rivers e il legame con Jake Williams

Il protagonista del tuo documentario era già presente in alcuni dei tuoi lavori precedenti. Come vi siete conosciuti?

L’ho incontrato nel 2005, quindi sono quasi 20 anni che lo conosco e sono entrato in contatto con lui tramite un amico. Stavo cercando qualcuno che avesse vissuto nel paese, ho fatto molte ricerche e finalmente un amico mi ha detto di Jake. Sono andato a visitarlo e a conoscerlo. Ho preso tutti i miei strumenti per riprenderlo e ho passato del tempo aiutandolo con i lavori, incontrandolo e filmandolo.

Per prima cosa ho realizzato un corto con lui protagonista, dal titolo This Is My Land, nel 2006. Poi ho fatto un sacco di altri film con altre persone. Quando, però, ho avuto l’opportunità di fare un film più lungo, ho chiesto a lui se potevo tornare e farne un altro con lui. E così è nato Two Years at Sea.

Bogancloch

Con il cortometraggio io l’ho solo osservato e non gli ho chiesto di fare niente di particolare, ma di fare quello che faceva sempre. Ma con Two Years at Sea, e poi con Bogancloch, tutto è stato organizzato. Abbiamo preparato tutto, anche se sembra un documentario.

Un documentario di finzione

Infatti Bogancloch si potrebbe quasi definire un documentario di finzione.

Sì, in parte lo è. È molto vicino alla sua vita ed è basato su un sacco di osservazioni della sua quotidianità. Ho trascorso molto tempo lì con lui per osservarlo e per conoscerlo meglio; ho trascorso molto tempo senza filmarlo, ma quando filmo non è fatto a caso. Abbiamo costruito le azioni comunque sempre sulla base della sua vita. Al mattino, mentre lui sta mangiando, parliamo di come svolgere i momenti successivi e lavoriamo su come mostrare la sua prossima azione.

La sensazione che si percepisce è che noi lo seguiamo, ma non lo spiamo mai. È come se fossimo suoi amici anche noi spettatori. Lo vediamo dormire, mangiare, fare delle azioni.

È un film fatto con molto amore ed è un processo collaborativo, legato anche al fatto che lo conosco da molto tempo e siamo amici. Infatti non ho mai filmato qualcosa che a lui non andasse bene o che non gli facesse piacere. In un certo senso sto cercando di fare qualcosa che è invitante. Quindi sono felice se la sensazione che si percepisce è quella di sentirsi vicino a lui, perché è la mia intenzione.

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Lo conosciamo senza sapere niente di lui.

Sì, perché non si tratta di spiegare un passato o qualcosa di simile, è davvero un film nel presente. Si tratta di essere lì in quel momento.

La vita di Jake

Esatto. E è anche un film semplice nel senso che lui non fa qualcosa di speciale, ma semplicemente vive. Quindi è come se il documentario fosse lo scorrere delle sue giornate, diviso in capitoli, che scandiscono i vari momenti. E tutti questi capitoli sono divisi da alcuni colori ed elementi colorati che tu inserisci e che si possono considerare quasi come dei titoli.

Sì, ci sono delle fotografie che ho trovato a casa sua. Stavamo cercando una scatola di sue foto e ne abbiamo trovata una contenente quelle immagini. Abbiamo scoperto che lui lavorava in barca, viaggiando molto tra Europa, India e non solo. E quando si fermava in quei luoghi, usava la barca, andava al mercato e incontrava persone. E c’erano dei fotografi in quell’epoca (stiamo parlando degli anni ’70). In occasione di questi viaggi, lui è entrato a stretto contatto con la musica, che poi è molto importante per tutto il film. Sia i colori che la musica sono una sorta di indicazione di un passato, ma senza esplorarlo. A causa dell’acqua e di altre vicissitudini non sono arrivate in perfetto stato, anzi si staccavano e si sarebbero dovute tagliare o sistemare. Ma, a causa di tutto questo, si sono trasformate con trame e colori molto particolari. E io volevo tenere questi colori perché pensavo che avrebbero funzionato davvero bene, anche e soprattutto come divisione dei capitoli.

In generale, penso che, anche solo guardandolo e ascoltando il suo viso, senza bisogno di sapere cosa ricorda, si possono vedere queste sensazioni. Penso che sia bellissimo avere l’opportunità di vedere un viso così, ascoltando e ricordando. E questo l’ho collegato ai colori e alle immagini che si vedono sullo schermo. Ma anche la musica, allo stesso modo, per me ha un significato politico. Anche perché c’è una musica che in un certo senso non appartiene a quel luogo, ma è una musica multiculturale, ed è un’indicazione del tipo di persona che è, inclusiva.

Bogancloch

A proposito della musica che è, come hai detto, importantissima, ho notato che ci sono anche molti silenzi che contrastano.

C’è questa relazione tra il silenzio e la musica che non appartiene alla sua vita, anche se comunque gli appartiene.

Ben Rivers e il suo storico legame con Jake

Hai detto che lo conosci da molti anni e che questo non è il tuo primo film su di lui. Abbiamo detto che è una storia divisa in capitoli, ma in qualche modo potrebbe essere Bogancloch un capitolo della sua vita che magari proseguirà con altri film?

Sì, è un capitolo, e penso che ce ne saranno altri. All’interno può sembrare semplice come film, ma per me succedono molte cose all’interno. E penso che sia per questo motivo che voglio inserire dei riferimenti all’universo, come nel momento di dialogo e interazione con gli altri uomini. In quell’occasione vediamo che lui non è un misantropo. La maniera in cui interagisce con i bambini, per esempio, lo dimostra.

Capiamo che non conduce quella vita perché odia le persone. E credo che questo sia un punto importante della questione. Di solito f film e le storie sulle persone che vivono fuori dall’ambiente naturale, trattano di misantropia. Ma non è questo il caso.

Quindi ci possiamo aspettarci un altro capitolo da Ben Rivers?

Penso di sì. Forse tra 10 anni. Penso che sia giusto avere una buona pausa.

Ed è interessante per me pensare a ciò che è successo nel mondo negli ultimi decenni, a partire dal film in modo da comprendere quanto l’uomo sia cambiato. E poi vedere la sua vita, che è cambiata molto più sottilmente.

Quello che mi interessa è vedere come la sua vita è cambiata, e come è cambiata la mia in relazione ai cambiamenti mondiali, che sono stati enormi.

Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli

Per l’intervista e le foto si ringrazia Davide Ficarola, Valentina Messina e Antonio Pirozzi, ufficio stampa del Festival dei Popoli

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Bogancloch

  • Anno: 2024
  • Genere: Documentario
  • Regia: Ben Rivers