Approfondimento
Josh O’Connor, l’ascesa al successo di un talento silenzioso
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Ilaria PivaJosh O’Connor è un attore atipico. Uno di quelli che vanno in direzione opposta al divismo. Non a caso, quest’anno ha festeggiato il compleanno a una mostra floreale con i genitori. E poi le sue passioni sono la ceramica, l’uncinetto e il giardinaggio. Usa i social per iniziative sociali (come la campagna dei Samaritans, che sostiene le persone in situazioni di difficoltà). Nei red carpet a alle presentazioni dei suoi film è timido e gentile con tutti.
Ha un talento peculiare tale da imporsi come elemento catalizzatore nelle produzioni a cui prende parte. Scompare nei suoi alter ego scenici, con la capacità di esercitare intorno a se una potente aura seduttiva verso chi lo guarda. Da serie come I Durrells e The Crown a successi come Challengers e La Chimera, non si può rimanere indifferenti di fronte al suo fascino. Scopriamo ora insieme il suo percorso straordinario.
Josh O’Connor: alle origini dell’attore
C’è sicuramente una vena hippy in O’ Connor che risale alla sua infanzia. Nato a Southampton nel 1990, cresciuto a Cheltenham, è secondo di tre fratelli. Il padre, John, è un insegnante di inglese e la madre Emily è un’ostetrica, ora entrambi in pensione. Le vacanze da ragazzino le ha trascorse a camminare in montagna o in campeggio in Francia. L’attore ha riscoperto quest’ultima passione di recente. Difatti, durante le riprese di La Chimera, ha soggiornato per alcuni mesi del 2021 in un van nell’alto Lazio.
È da sempre stato circondato da personalità creativi. Suo nonno, John Bunting, è stato uno scultore che insegnava ad Antony Gormeley, e sua nonna, Romola Jane Farquharson, una nota ceramista. Sua zia, Madeleine Bunting, ha scritto libri e rubriche per importanti riviste. L’interprete è stato educato al St. Edward’s Cheltenham, una scuola privata dove il papà insegnava, e ha frequentato per svariati anni un febbricitante centro artistico nel nativo Glouchestershire.
Josh O’ Connor ha un sorriso sempre pronto, e, nonostante la dislessia, ama ancora tantissimo leggere. Possiede un’energia fanciullesca e coinvolgente. Al compimento dei trent’anni ha deciso di non fare più le cose che fanno gli altri, dall’andare in discoteca all’uscire in gruppo; essendo amante delle attività individuali, fa ciò che gli piace davvero fare: sta a casa, quando può, si dà alla lettura, poi si immerge nella natura e nell’arte. E dal nord di Londra, dove si era trasferito dieci anni fa, è emigrato in campagna vicino alla famiglia. Difatti oggi si è spostato in un villaggio fuori Stroud, proprio nel suo Glouchestershire, così può finalmente dedicarsi alle sue sculture e al suo giardino. Quando ha tempo, perché ormai la sua casa sono i set in giro per il mondo.
Agli inizi della carriera, nonostante eccellesse nelle discipline artistiche, ha deciso di dedicarsi completamente alla recitazione. Si è guadagnato un posto alla scuola di teatro Bristol Old Vic che Daniel Day-Lewis e Pete Postlethwaite, due dei suoi idoli, avevano frequentato. Ricorda come fondamentali le lezioni su Stanislavski e Meisner, pionieri della teoria della tecnica recitativa. E nel frattempo cercava di capire quale sarebbe stato il suo approccio personale.
Josh O’Connor: un talento versatile
Il talento inglese non irradia le classiche vibrazioni da star. I divi tendono ad essere più grandi, più carismatici dei loro personaggi; esercitano un’attrazione gravitazionale. Non scordi mai, per esempio, che stai guardando George Clooney in un film con Clooney. La grande abilità del britannico è quella di scomparire completamente nelle parti che impersona. Non ti sembra mai di guardare Josh O’Connor in un film con O’Connor.
Francis Lee, che lo ha diretto in La terra di Dio (2017), ha paragonato (scientemente) le sue capacità trasformative a quelle di Daniel Day Lewis. Peter Morgan sostiene che il suo approdo a The Crown gli ha sorprendentemente ricordato Michael Sheen, in in particolare quando quest’ultimo ha lavorato con lo sceneggiatore, ancora sconosciuto, in The Deal (2003). La capacità del ragazzo di Southampton di cambiare le forme non è mai stata ora più evidente. In Challengers (2023) è totalmente convincente nei panni di un tennista impudente. Al contrario, ne La Chimera (2023) ha lavorato per sottrazione. Infatti ha impersonato una figura malinconica, martoriata da un dolore ineluttabile, alla ricerca di un motivo per continuare a vivere.
Gli inizi e i primi ruoli
L’interprete inglese, una volta trasferitosi a Londra dopo l’accademia, ha preso parte ad alcune realtà del piccolo schermo. Tra le serie televisive in cui ha avuto piccoli ruoli figurano Lewis, Doctor Who, Peaky Blinders. Qualche tempo dopo si unisce al cast di Posh (2015), un film sull’élite universitaria arrogante di Oxford. La storia corale è servita più che altro a mettere a fuoco una nuova generazione attoriale dal Regno Unito, tra cui Douglas Booth e Sam Claflin. In seguito si procura un piccolo personaggio in Florence Foster Jenkins (2016), commedia musicale di Stephen Frears con Meryl Streep e Hugh Grant. Qui è Donaghy, in una vicenda incentrata su un’ereditiera che, nonostante sia priva di talento e di voce, vuole fervidamente diventare cantante d’opera.
Successivamente è stata la volta de I Durrells – La mia famiglia e altri animali (2016-2019), prodotto televisivo di ITV basato sui libri autobiografici di Gerald Durrell. La narrazione segue i quattro anni che la famiglia ha passato sull’isola di Corfù durante la seconda guerra mondiale. Josh O’ Connor veste i panni di Larry, irridente e pungente scrittore in erba, donnaiolo e insofferente alle regole. Per la prima volta di mette in luce anche il suo lato più leggero e disinvolto. Nel 2018 è nel cast nell’adattamento per il piccolo schermo de I Miserabili di Victor Hugo, nel ruolo del mite Marius Pontmercy.
Da I Durrells con Callum Woodhouse
La svolta con La terra di Dio – God’s Own Country
Sul set de I Durrells viene a conoscenza di un’audizione di suo interesse, quindi decide di registrare un breve pezzo di provino sul suo smartphone. Si tratta di un ruolo per un regista esordiente, il quale è alla ricerca di un protagonista per il suo lavoro. Quest’ultimo ha scritto una sceneggiatura su Johnny, un bracciante infelice, borderline e alcolizzato. Vive nello Yorkshire, assieme al padre disabile, in uno stato di isolamento. Riesce infine a trovare sollievo alla sua emarginazione quando inizia una taciturna storia d’amore con un manovale rumeno, Georghe (Alec Secareanu). Josh O’Connor vuole la parte a tutti i costi. E così la grande occasione arriva nel 2017 con La terra di Dio – God’s Own Country, prodotto semiautobiografico di Frances Lee.
Il lungometraggio, che ha ricevuto il plauso della critica, è un’interessante esplorazione di temi quali l’intimità e la solitudine. Il risultato finale è particolarmente riuscito grazie anche al giovane di Cheltenham. Il quale si rivela feroce e senza ritrosie nel mostrare una sorprendente varietà di sentimenti tormentati. Per meglio addentrarsi nel ruolo, ha trascorso un mese in un allevamento di pecore costruendo muri di pietra, mungendo mucche e portando in giro agnelli. E si era talmente ridotto uno straccio che, perdendo più di dieci chili, è finito in ospedale. In ogni caso questo personaggio è il primo a valorizzarlo.
La sua è una delle prestazioni migliori nel 2017. Johnny parla poco e inizia il suo arco narrativo come un razzista scontroso e sgradevole. Ciononostante, non si possono non distogliere gli occhi dallo schermo. God’s Own Country, passato al Sundance 2017 dove ha vinto un premio importante, ha ricevuto inevitabili confronti positivi con Brokeback Mountain (2005). O’Connor, grazie a questo ruolo, si è portato a casa la statuetta come miglior attore ai British indipendent film awards 2017.
C’è anche una particolare coincidenza che avviene a distanza di pochi giorni durante il noto Festival dello Utah. Qui, mentre il film di Lee inizia il suo cammino, viene proiettato per la prima volta anche Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino. E, non a caso, l’autore palermitano inizia già a quel tempo a intravedere nel diamante del 1990 il suo enorme talento.
Negli ambienti degli addetti al settore, il suo nome comincia a circolare in modo sempre più incisivo. Quindi viene inserito tra i migliori emergenti ai Bafta 2018. È solo l’inizio di una scalata significativa al successo.
La terra di Dio
L’arrivo al successo con The Crown
Nel 2018 Peter Morgan annuncia il cast che prende parte alla terza e quarta stagione di The Crown, la serie Netflix sulla corona inglese. Tra gli attori si legge il nome di Josh O’Connor figurare come principe Carlo. Il periodo che deve rappresentare è la prima età adulta del futuro re. Quindi, quando ancora sogna di fare teatro, senza nessuna idea di gestione del ruolo reale. Concludendosi con il complesso matrimonio con Diana Spencer. Ciò che rende interessante questo drama è il modo in cui intellettualizza e rende accattivanti le attività in gran parte monotone dei Windsor.
E non era così ovvio che il ragazzo del Glouchestershire venisse scelto. Questo anche perché, rispetto ad altri colleghi più diplomatici, si è dichiarato repubblicano e disinteressato alle dinamiche dei regnanti. È stata necessaria un po’ di persuasione affinché accettasse. L’artista non riusciva a carpire elementi interessanti nel principe, se non ricchezza ed eleganza, senza un quid significativo. Sono stati gli sceneggiatori a pensare alla chiave di volta per convincerlo. E cioè la mancanza di uno scopo, nella vita in generale di Carlo e nell’attesa come erede al trono: si tratta di un lavoro in cui l’unico obiettivo è non morire.
Inizialmente, non volendo fare l’audizione, gli autori lo hanno persuaso con una pagina del copione in cui Charles si paragona al personaggio centrale di L’uomo in bilico (1944), di Saul Bellow. Quel romanzo racconta la storia di un ragazzo che aspetta di essere arruolato per andare in guerra. E vuole essere chiamato alle armi per dare un senso alla sua esistenza. Questo era anche l’enigma di Carlo, era quello il famoso quid. Nella terza stagione c’è un momento in cui il principe si rende conto che, affinché la sua vita assuma un significato, sua madre deve perire. E tutto ciò è assolutamente folle per un comune mortale ma così galvanizzante da costruirci su un personaggio con un potenziale enorme.
È stata Vanessa Kirby, interprete di Margaret nelle prime due stagioni, a dire al collega che cercavano un ventenne per il principe di Galles. Lui, istintivamente ha pensato che sarebbe stato solo per le orecchie a sventola comuni col personaggio. In realtà, Morgan ha saputo guardare oltre al puro aspetto estetico. Il fascino nelle stagioni di mezzo di The Crown deriva infatti dal cast giovanile, meno conosciuto rispetto a Olivia Colman (Elisabetta II) o a Helena Bonham Carter (Margaret). O’ Connor ha una chimica palpabile con Emerald Fennell (Camilla). Quando nel quarto capitolo arriva Emma Corrin (Lady D), le dinamiche di questo triangolo amoroso vengono stabilite ed esplorate senza alcun accenno caricaturale.
O’Connor all’inizio impersona Charles come ingenuo, simpatico, malinconico. Poi si tramuta lentamente in una figura ambigua e vittima dell’ombra materna, fino a diventare un personaggio detestabile. Per fare ciò Morgan ha pensato di rappresentare il nobile come Walter White di Breaking Bad. All’inizio del terzo capitolo la strategia era far dispiacere le persone per lui, provando anche un filo di empatia. Così che poi, nella quarta, quando si trasforma in questo soggetto mostruoso, si capisce come ci è arrivato.
L’anglosassone ha fatto un lavoro encomiabile ed impeccabile. Ha cercato di esprimere la voce di una figura che di voce ne ha avuta poca per gran parte della sua esistenza. E così sono arrivati i riconoscimenti; ha vinto l’Emmy e il Golden Globes 2021, entrambi per migliore protagonista in una serie drammatica. E, mentre la sua popolarità cresce, gli scouting cominciano a metterlo al centro delle loro mappe segnaletiche. Ormai è uno di quegli interpreti camaleontici, discreti e umili capaci di scomparire nei personaggi di finzione. È divenuto quello che nel linguaggio recitativo viene indicato come meta-attore, “attore nell’attore”.
Josh O’Connor ed Emma Corrin in The Crown
Le scelte autoriali
Nel 2018, O’ Connor prende parte a Solo Tu (Only You), dramma romantico diretto da Harry Wootliff. Jake e Elena (Iaia Costa) si incontrano a Capodanno litigando per un taxi. Invece che dividersi si imbarcano in una relazione appassionata. Ma, con il passare del tempo, la realtà incombe. In un film in cui Glasgow si trasforma in una città di desiderio febbrile, la tenera chimica dei due ragazzi diviene profonda intimità. Assieme alla coprotagonista, l’interprete di The Crown plasma una storia trasformandola gradualmente in una narrazione dolceamara su una coppia che vuole una famiglia. Anche facendo ricorso a pratiche che implicano rotture di equilibri. E pure in questo caso, è magnetico nel rappresentare tutte le variabili emozionali proprie di una relazione alle prese con problematiche difficili.
Nella sua filmografia c’è anche un period drama, Emma (2020), l’ultimo adattamento del classico di Jane Austen di Autumn de Wilde. Qui l’Inghilterra rurale dell’800 viene resa come un mondo idilliaco dominato dai colori pastello, tappezzeria floreale e ritmato dal passare delle stagioni. Il trentenne del Glouchestershire interpreta una versione estremamente egoista e stupida di Mr. Elton. In modo godibile e divertente il vicario locale mette gli occhi sull’eroina del film (Anya Taylor Joy), nonostante il disinteresse di lei verso l’uomo. E questo ruolo è in contrasto con qualsiasi cosa fatta fino a quel momento per lui. La sua è una parte giocosa in un caleidoscopio di momenti folli, volutamente ridicoli e assurdi. E la resa è più affine a Clueless (1995) che ai classici in costume della scrittrice.
Da Emma, Josh O’Connor con Mia Goth
L’anno successivo è in Secret Love (Mothering Sunday) di Eva Husson, adattamento dell’omonimo romanzo di Graham Swift, presentato al Festival di Cannes 2021. Ambientata nel Berkshire negli anni ’20, la storia si concentra su Jane (Odessa Young). La protagonista è un’orfana che lavora come cameriera per il signor e la signora Niven (Olivia Colman e Colin Firth). La coppia è in lutto per i loro ragazzi persi in guerra. Jane ha una relazione segreta e inappropriata con Paul Sheringham (O’ Connor), il figlio di una ricca famiglia vicina ai Niven. La donna accetta di incontrarlo durante la festa della mamma e quella giornata rimarrà impressa nella sua memoria, anche anni dopo da anziana scrittrice. In quella casa è accaduto qualcosa che riguarda Paul e che ha segnato la vita della signora per sempre.
Il film è un intreccio di perdite e passioni attraverso tre famiglie altolocate e una storia intensa condannata negli anni tra le due guerre. Ma rappresenta soprattutto la cosiddetta “generazione perduta” di fanciulli morti in guerra. Quest’ultimo è un tema importante del libro e del lungometraggio, con il personaggio di Sheringham che è il crogiuolo di quel dramma. Si sente enormemente in colpa per essere sopravvissuto. Quindi il britannico veste i panni di un aristocratico diviso dal dissidio tra afflizioni mentali e desiderio fisico. Ed è ancora una volta dannatamente bravo nel trasporre tale tormento.
Il 2021 doveva segnare il ritorno a teatro di O’ Connor. Infatti sarebbe dovuto essere in uno spettacolo al National Theatre di Londra assieme a Jessie Buckley. Ma, a causa delle restrizioni della pandemia, il loro Romeo & Juliet è stato registrato e messo in streaming presso il portale della struttura. Divenendo di fatto il primo film del National Theatre creato appositamente per lo schermo. Si tratta di una produzione vivace ed emotivamente cruda. Equilibrato e avventuroso, questo Romeo e Giulietta è una meraviglia ibrida piena di invenzione intelligenti.
Buckley è una figlia tenace e ribelle, quasi punk, e anche quando è più vulnerabile non appare mai debole. Invece il coprotagonista, che sta uscendo dal periodo di notorietà nei panni di Charles, si svincola dalla sua ombra per essere forte e coinvolto. Il loro amore, scatenatosi durante una festa moderna, è accattivante. Se commercialmente è difficile rivedere un simile prodotto a cavallo tra cinema e teatro, artisticamente la resa è squisita e originale. E, ancora una volta, il caratterista comprova di essere un camaleonte che si adatta egregiamente ad ogni formato artistico.
In Le cose che non ti ho detto (Hope Gap) offre una meravigliosa performance. La trama segue una coppia del Sussex, Grace ed Edward (Annette Bening e Bill Nighty), la cui separazione in corso si riversa sull’unico figlio, Jamie (O’Connor). Il lavoro del 2022 di William Nicholson beneficia dell’attenzione del solo figliolo, forte di un professionista che sa pungolare le corde della fragilità emotiva. Per lui la fine del matrimonio dei genitori si dimostra difficile da accettare tanto quanto lo sarebbe per un bambino. I suoi ricordi sbiaditi delle passeggiate costiere, condivise tra il padre e la madre, e le fotografie del passato appese per casa sono strazianti.
La telecamera segue come Grace ed Edward proseguano le loro vite, lei con intoppi, lui con più serenità. Ma è il ragazzo il fulcro verso cui viene riversato il materiale emotivo del passato, presente e futuro della famiglia. Questo è il film dell’attore britannico. Ha modellato una prova sensibilmente più aperta di quella che ha mostrato in La terra di Dio. La sua forza comunicativa è particolarmente evidente in una scena durante un dialogo con Bening, di fronte agli scogli di Seaford. Se nel film di Lee tutto il riserbo interiore viene soffocato e affiora attraverso comportamenti scorbutici, qui viene esternato con garbo e fragilità delicata, chiara prova di quanto ormai sia in grado di destreggiarsi su ogni scala di suggestione umana.
La consacrazione: Challengers e La Chimera
Tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 sono usciti due film che hanno definitivamente consacrato il britannico nell’olimpo della cinematografia. Si tratta di Challengers di Luca Guadagnino e La Chimera di Alice Rohrwacher.
Il primo ha avuto un press tour mondiale senza precedenti per l’inglese. Grazie anche al fatto che Zendaya, oltre ad essere una dei personaggi, lo ha prodotto. Ambientato nel mondo del tennis, è incentrato sulla rivalità agonistica e amorosa fra tre ragazzi. Una metafora sportiva che si confonde con un intrigante triangolo fatto di frenesia e sensualità. Il regista italiano ha sfoggiato ancora una volta tutta la felicità espressiva e creativa del suo cinema del desiderio. La sua impronta, forte della sceneggiatura di Justin Kuritzkes e delle musiche di Reznor e Ross, coniuga il pop visivo con un piacere autoriale. E ha regalato ai suoi interpreti il ruolo della vita.
Il lungometraggio si innesta su una finale di un torneo challenger. Una partita che vale più di una gloriosa vittoria o una sonora sconfitta. C’è in gioco il rapporto esistenziale tra il tennista in crisi Patrick Zweig (O’Connor) e il rivale Art Donaldson (Mike Faist, strepitoso anche lui). Due grandi amici, cresciuti a tornei insieme, con un legame (la cui natura rimane ambigua) incrinato, svelato a salti temporali. E di mezzo c’è una donna, ora moglie di Art, l’ex tennista Tashi Duncan (Zendaya). Quell’incontro è la resa dei conti. Ma nel mezzo ci sono quindici anni di traiettorie, corpi, esistenze tra i tre che si avvitano, entrano intimità e poi in conflitto. Segnati dalle circostanze che incombono e dalle regole di uno sport micidiale come il tennis.
Josh O’Connor con Zendatya e Mike Faist in Challengers
A La Chimera è arrivato grazie al fratello minore che gli ha consigliato di vedere Lazzaro Felice, finendo per innamorarsi del cinema di Rohrwacher. Ha contattato per lettere postali la regista e da li è incominciato tutto. È stato un grande successo a Cannes 76. Da allora ha accumulato fan di alto profilo, tra cui Greta Gerwig, e ricevuto la nomination come miglior attore ai David di Donatello 69. Al centro della trama c’è Arthur, il talismano di una banda di tombaroli, termine gergale che indica i trafugatori di tombe preziose. Questi affidano il dono del protagonista per la rabdomanzia, cioè per trovare antichi oggetti sepolti nelle tombe etrusche. L’obiettivo è dissotterrare il tesoro rubato e venderlo al mercato nero. È un racconto magnetico, ricco di realismo magico. A volte sembra più una poesia per immagini o una favola selvaggia che una narrazione lineare.
In effetti il dolore, la dolcezza, la simbologia nascosta si fondono in un’atmosfera quasi spirituale. In questo universo sospeso ogni personaggio cerca di seguire il proprio sogno. Per esempio Flora, l’insegnante di canto di Isabella Rossellini, su cui Rohrwacher ha costruito un interessante essere umano. O la dolce Italia della brasiliana Carol Duarte. Ma per definizione la chimera è un qualcosa di irraggiungibile, l’inafferrabile che non diventa reale. Un desiderio forte che anima ogni nostro gesto. La ricerca per dare un senso a tutto quanto. E inutile dire che l’attore inglese ha saputo catturare tutti questi significati in una creatura a cui è difficile non affezionarsi o quantomeno esserne magnetizzati.
Da La Chimera con Carol Duarte e Isabella Rossellini
Challengers è il prodotto più effervescente nella filmografia di O’Connor. È stato capace di edificare un personaggio totalmente diverso da lui, e forse, è questo ad averlo reso così intrigante. Nei suoi due ritratti sullo schermo del 2023 i sentimenti sono l’esatto opposto. Nel progetto dell’umbra ha potuto fare leva al suo istinto solitario e naturalistico. Ma con Guadagnino, per carpire la fiducia e l’arroganza che nutre la personalità di Zweig, si è dovuto lasciare andare. Ha scavato cercando le zone in cui poteva ritrovarsi nell’impunito Patrick. Al contrario Arthur è l’alter ego più in sintonia con se che abbia mai impersonato. È come fosse il nucleo della sua anima. In effetti, il trafugatore pare un bambino la cui famiglia (i tombaroli, Duarte, Rossellini) sembrano prendersene cura per rimandarlo nella mischia del mondo.
Nella commedia del regista palermitano, l’interprete è totalmente convincente nei panni di un tennista sul viale del tramonto che vuole giocarsi un’ultima possibilità. Modellato, almeno in parte, sul professionista australiano Nick Kyrgios noto per essere una testa calda dentro e fuori dal campo. Nel dramma dell’autrice di Le Pupille (2022) è un tombarolo introverso e rattristito dalla vita. I due lungometraggi non potrebbero essere più contrastanti, anche per le preparazioni richieste. Per la pellicola sportiva, il britannico, che per sua stessa ammissione non è un habitué della palestra, doveva essere tonico e muscoloso. E ragionevolmente abile nel tennis, quindi ha avuto sessioni quotidiane per un mese con Brad Gilbert, che ha allenato tra gli altri Andre Agassi e Coco Gauff. Il cineasta ha sistemato gli interpreti al Four Seasons di Boston, in modo che potessero riprendersi dai loro sforzi alla fine della giornata.
Il dramma magico della cineasta è stato girato in Italia in due momenti. La prima nell’inverno 2022 (in primavera era a Boston per Challengers), poi in estate la seconda parte. Per quest’ultima, provenendo dalla forma fisica richiesta dall’altro set, si è dovuto mettere a dieta ferrea. Arthur deve risultare sofferente per la perdita della sua amata. Originariamente, per entrare meglio in sintonia con la trama, il ragazzo voleva risiedere nella stessa baracca del suo personaggio. Voleva stabilirsi su una collina vicina al lago di Bolsena, ma Rohrwacher lo ha ritenuto impossibile e troppo primitivo. Allora si è raggiunto l’accordo di farlo stare in un camion dipinto da lui stesso di giallo color sole. O’Connor lo ha chiamato Winnie e oggi è parcheggiato a casa di un amico in Inghilterra.
Progetti futuri
O’Connor non è di certo rimasto con le mani in mano dopo Challengers e La Chimera. Infatti ha all’attivo lungometraggi in pre-produzioni e post-produzioni. Insomma possiamo stare certi che lo vedremo ancora per tanto tempo. A dicembre uscirà su Netflix il terzo capitolo di Knives Out, Wake up Dead Man: A Knives Out Mistery dove interpreta un prete, assieme tra gli altri al super protagonista Daniel Craig, Andrew Scott e Cailee Spaeny. È la voce narrante di Jean Cocteau di Lisa Immordino Vreeland, presentato al Telluride Film Festival 2024. Un documentario biografico sulla vita del poeta, drammaturgo, scrittore e designer francese Jean Cocteau.
Alberto Barbera, direttore del Festival di Venezia, ha annunciato di aver provato in tutti i modi ad avere The History of Sound alla scorsa Biennale Cinema. Ma il regista Oliver Hermanus ha dovuto rinunciare all’invito. Trattandosi di un progetto musicale, mancavano molte parti cantate da registrare dopo le riprese, quindi non sarebbe stato pronto per Venezia 81. Probabilmente il lavoro vedrà la luce festivaliera solo a Cannes 78. Il film segue la storia di Lionel (Paul Mescal) e David (Josh O’Connor), che si innamorano l’uno dell’altro durante la prima guerra mondiale. I due giovani si riuniscono per registrare le vite, le voci, e la musica dei loro connazionali. Si preannuncia una vicenda ricca di pathos drammatico e momenti romantici.
Sono già state completate anche le riprese in Colorado di Rebuilding di Max Walker-Silverman. Qui l’interprete britannico è Dusty, un cowboy che deve ricostruire la sua vita dopo che un incendio ha distrutto il suo ranch. Finisce in un campo FEMA dove si riconnette con altri che hanno perso la casa, tra cui la figlia e l’ex moglie. È affiancato da Meghaan Faye e Amy Madigan. Il film dovrebbe uscire nel 2025.
È in pre-produzione anche Camere Separate di Luca Guadagnino, con la sceneggiatura di Francesca Manieri, tratto dal romanzo omonimo di Pier Vittorio Tondelli. Qui il caratterista di Cheltenham è il personaggio principale. Il lungometraggio racconta tre momenti della vita di Leo, uno scrittore alle prese con la perdita del suo compagno, un musicista tedesco. La vicenda si ravviva attraverso flashback nelle città che il protagonista e il suo amore abbracciano: Milano, Parigi, Londra e Firenze. Nel cast confermata anche Lea Seydoux. E sarà uno dei protagonisti di The Mastermind di Kelly Reichardt assieme ad Alana Haim e John Magaro. La trama riguarda un audace furto d’arte ambientato sullo sfondo della guerra del Vietnam. Dovrebbe essere girato entro la fine del 2024.
Ci sono due film che sono usciti negli Usa e nel Regno Unito ma nel resto del mondo non hanno ancora una distribuzione. Si tratta di Lee (2023) di Ellen Kuras e Bonus Track di (2024). Il primo racconta la vicenda adattata da una storia vera della fotografa ed ex modella Elisabeth “Lee” Miller. Si tratta di una modella divenuta un’acclamata corrispondente di guerra per Vogue, quando era diretta dalla mitica Audrey Withers, durante la seconda guerra mondiale. Qui O’Connor è il figlio della reporter Antony Penrose, diventato anche lui fotoreporter. Il secondo è Bonus Track (2023) esordio alla regia di Julia Jackman. Un coming of age ambientano nello York con due sedicenni che diventano amici grazie alla musica. Ma la particolarità risiede nel fatto che l’attore, oltre a interpretare Janno, ne ha scritto la sceneggiatura.
Josh O’Connor in Lee
Dove vedere i film con Josh O’Connor
Per chi volesse rivedere o scoprire i lavori in cui Josh O’Connor ha recitato, le piattaforme dove poterlo fare sono le seguenti. Posh e Challengers si trovano su Amazon Prime Video. Sullo stesso portale e su Apple TV + sono presenti a pagamento anche Emma, La terra di Dio e Secret Love. The Crown è visionabile su Netflix. La Chimera è su Sky, mentre Le cose che non ti ho detto è sia su Sky che su Raiplay. Per i più curiosi verso i ruoli minori Florence si trova su Sky e Peaky Blinders (l’attore compare nella seconda stagione) su Netflix. E ora, oltre alle prossime uscite, non resta che aspettare i Golden Globe 2025 dato che si vocifera possa essere candidato per Challengers. Nell’attesa vale la pena fare una full immersion di questo incredibile attore di cui sentiremo tanto parlare.