Nell’edizione 2024 del Rome Independent Film Festival arriva Steve Jobs. Anche se ci arriva in realtà per vie traverse. Questo perché in The Book of Jobs non è tanto il noto imprenditore a essere protagonista, quanto più il suo mito. La commedia scritta e diretta da Kayci Lacob racconta proprio l’impatto di una delle figure più rilevanti della recente cultura popolare sulla vita di una ragazza. Nel film è presente anche qualche volto noto, fra cui Victoria Pedretti (dalle serie Netflix You, The Haunting of Hill House e The Haunting of Bly Manor) e di Judy Greer.
The Book of Jobs, la storia di Claudia
Claudia (Victoria Pedretti) è un’autrice che presenta la propria autobiografia intitolata, per l’appunto, The Book of Jobs. Dalla lettura del libro parte un lungo flashback, suddiviso in capitoli, che segue la vita della giovane Claudia (prima Eliza Donaghy, poi Abigail Donaghy). Claudia è spinta dal fervente desiderio di diventare come il suo eroe, Steve Jobs. Nonostante vari problemi in famiglia, con gli amici e con la scuola, c’è sempre un interrogativo che riesce a tirare Claudia su di morale e a farla andare avanti: “Cosa farebbe Steve Jobs?”.
Icone, fra sacro e profano, ieri e oggi
Icone. Potremmo aprire un discorso enorme sul ruolo sociale delle icone, sulla loro importanza storica e sulla contestazione che hanno ricevuto. Ma non è questo ciò di cui bisogna parlare adesso. La cosa importante da sapere in questo contesto riguarda la loro funzione. Le icone sono uno strumento di fede, immagini che, attraverso l’adorazione, metterebbero in contatto le persone con i soggetti raffigurati, ovvero gli oggetti del proprio credo. Le icone hanno a che vedere con speranze e paure esistenziali, e ciò le rende davvero molto potenti. Tanto potenti da persistere ancora oggi, in un’epoca che potremmo definire di crisi delle religioni tradizionali.
La maggior parte delle icone si ritrovano adesso in personaggi, siano essi reali o fittizi, appartenenti alla cultura popolare. Tant’è che si parla di icone pop. E fra queste nuove icone non può certo mancare Steve Jobs. Basti pensare ai suoi iconici dolcevita neri e jeans, con i quali si è sempre presentato alle varie conferenze Apple. Sulla sua vita sono già stati fatti due film: il brillante Steve Jobs (2015), scritto da Aaron Sorkin e diretto da Danny Boyle, e il non così brillante Jobs (2013), di Joshua Michael Stern. E, di Steve Jobs, parla anche il film di Kayci Lacob. E nonostante l’imprenditore non appaia mai davvero nel film, la sua presenza è sempre percepibile.
Il mito di Steve Jobs secondo Claudia
Steve Jobs è una vera e propria leggenda per Claudia, la protagonista di The Book of Jobs. La ragazza cresce in California, vicinissima alla Silicon Valley, fra anni ’90 e primi 2000. Come afferma lei stessa, non poteva che seguire la religione del settore tech, che ovviamente si rifà a Steve Jobs come massima guida spirituale. La camera da letto della giovane Claudia è un piccolo tempio adibito in onore del geniale imprenditore. Al posto dei poster delle rockstar e dei divi di Hollywood, Claudia ha appeso delle immagini (ergo, icone) di Steve Jobs. Una postazione è poi dedicata a tutti i vari prodotti Apple: c’è il Mac (che si rinnova sempre con l’ultimo modello), l’iPod, le action figure di Sulley e Mike da Monsters & Co. (ebbene sì, all’epoca anche la Pixar era di proprietà di Steve Jobs).
Steve Jobs è una figura così importante per Claudia da influenzarne lo stile di vita e le decisioni che la ragazza prende, che ha già programmato tutto il suo percorso di vita. Un percorso che nella sua mente potrà portarla al tanto agognato traguardo di diventare lo Steve Jobs della sua generazione. E Claudia è determinata fino in fondo a realizzare questo suo progetto, nonostante varie contraddizioni. Fin dall’età preadolescenziale, per seguire le orme del suo mito, Claudia sa che il college che frequenterà sarà quello di Stanford. Peccato solo che Steve Jobs non abbia frequentato l’università a Stanford, e che l’unico collegamento tra l’imprenditore e il college californiano sia in realtà il famoso discorso che Jobs ha tenuto lì nel 2005.
Un coming of age semplice e genuino
Seguire il “verbo” di Steve Jobs, quasi fosse per l’appunto una guida spirituale (non è un caso che il titolo The Book of Jobs faccia il verso al biblico Book of Job, il Libro di Giobbe), porta una serie di problemi nella vita di Claudia. La ragazza è metodica, stacanovista, razionale. Forse fin troppo razionale. E questa cosa non le permette di vivere in maniera adeguata certe situazioni complicate che incontra durante la crescita, come il divorzio dei suoi genitori, la malattia della madre (Judy Greer) e vari problemi relazionali tipici da high school americana.
Insomma, ci troviamo davanti al classico coming of age movie. Classico perché, purtroppo, non esce dai binari ormai consolidati di certi tropi narrativi e di soluzioni stilistiche tipiche del genere. Ma classico anche perché è un film che funziona. Fa quello che deve fare e lo fa discretamente. Sa proporre momenti comici che fanno sorridere, e talvolta anche ridere, insieme a momenti più seri e riflessivi, dei quali ci importa genuinamente. Ma soprattutto è un film che, seppur in maniera molto leggera, parla del potere delle icone nella contemporaneità.