Il titolo del film riprende non a caso un verso famoso tratto da Il Maestro e Margheritadi Mikhail Bulgakov, un libro uscito sul finire degli anni ’60 dai contenuti satirici spiccati e commoventi nei confronti della realtà sovietica. Il regista iraniano Mohammad Rasoulof appare a Cannes per la prima volta in pubblico dopo l’arresto e la condanna a 6 anni di reclusione (ridotta poi a un anno) per propaganda antiregime, aggravata dal divieto di girare film e di lasciare l’Iran per 20 anni. “Di questo film si dirà in Iran che non ha alcun valore artistico”, dice in sala, tra rabbia e dolore.
La storia di Rasoulof non è un caso sporadico in Iran, la sua tragedia risuonava negli ambienti culturali mondiali insieme a quella del conterraneo e collega Jafar Panahi,raccogliendo un sentito e attivo sostegno con campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Privare un regista del suo mezzo di comunicazione significa spogliarlo della libertà di pensiero. Sembra inverosimile, una cronaca del passato che non può tornare a essere scritta sulle pagine d’attualità, la censura violenta che tuttora si abbatte in Iran, su Rasoulof costretto a girare questo film in gran segreto, a non rivelarne la trama fino all’ultimo istante e a non citare i nomi dei suoi collaboratori nei titoli di coda. Senza mezzi termini, Rasoulof attacca lo stato di censura, corruzione e violenza del suo Paese raccontando una storia ispirata a fatti realmente accaduti tra il 1988 e il 1998, quando la voce di 80 iraniani – scrittori, intellettuali, attivisti politici e ordinari cittadini – oppositori del regime fu messa tacere dalla Repubblica Islamica.
Iniziando dal finale per poi sciogliere gradualmente l’intreccio, Rasoulof inquadra un giorno nella vita di due sicari, Khosrow and Morteza, impegnati in una torbida missione da compiere. Rapiscono, torturano e interrogano uno scrittore dissidente di nome Kasra. L’oggetto della ricerca è una manoscritto, di cui esiste un originale e due copie, testimonianza di un attentato criminale architettato dal governo per dirottare un autobus con a bordo 21 cittadini tra intellettuali e giornalisti. Il colpo fallisce e le vittime restano in vita, testimoni sorvegliati e bersagli impotenti di continue intimidazione del potere. Khosrow, che ha una moglie e un figlio con gravi problemi di salute, si interroga sulla giustezza della missione, sulla possibilità che la malattia del figlio sia il segno di una punizione divina per il sangue versato. Il compagno Morteza, un uomo senza scrupoli, lo convince a non preoccuparsi perché le loro azioni avvengono nel rispetto dei dettami della legge islamica. Le copie vanno eliminate, e insieme ad esse anche il pensiero di chi le ha concepite e protette, azzittito in un suicidio che dissimula un’aggressione violenta, al singolo e ai diritti di tutta l’umanità.
Rasoulof non sensazionalizza il male, non banalizza la potenza criminale degli aguzzini, non estremizza la violenza legittimata. Il suo cinema è un grido d’ira personale contro un momento buio della storia iraniana, una testimonianza coraggiosa che si serve di mezzi leggeri – il film è girato in digitale – per aggredire sotto il cielo plumbeo di Teheran i suoi aggressori.
Francesca Vantaggiato
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