Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2024 La grande Ambizione è anche quella di raccontare Enrico Berlinguer e la politica di cui fu promotore evitando qualsiasi agiografia. De La Grande Ambizione abbiamo parlato con Paolo Calabresi, tra gli interpreti del film diretto da Andrea Segre e adesso nelle sale con Lucky Red.
– La foto di copertina è di Massimo Calabria –
Paolo Calabresi ne La grande ambizione
Innanzitutto complimenti per l’ottima partenza al botteghino (nel primo week end La Grande Ambizione ha incassato € 1.184.109). Il film di Andrea Segre racconta l’esperienza politica di Enrico Berlinguer come segretario del Partito Comunista Italiano concentrandosi su alcuni degli avvenimenti più importanti della sua storia. Penso alla vittoria nelle politiche del 1976 che fecero di quest’ultimo il primo partito d’Italia, allo storico referendum contro l’abolizione del divorzio, al dibattito sul compromesso storico fino all’assassinio di Aldo Moro. La Grande Ambizione è un film costruito su una serie di vertigine narrative.
E anche sulle vertigini della memoria, almeno da parte di chi come me ha vissuto quegli avvenimenti. Avevo vent’anni però ricordo bene le tante sensazioni di quel periodo. Le speranze, ma anche le paure di chi come me era cresciuto in una famiglia di stampo democristiano e dunque in un contesto dove alcuni demonizzavano le posizioni prese dal partito comunista. Dentro di me avevo la sensazione che potesse nascere qualcosa di bello e positivo, cosa che poi non è successo perché qualcuno ha pensato ad annullare le conquiste di quella stagione politica.
Nella prima scena ti vediamo insieme agli altri componenti della direzione politica, seduto intorno al tavolo con il volto immerso nella lettura dei quotidiani. L’unisono della postura e delle gestualità vi rendono un corpo unico, rimandando a un modo diverso di fare politica, distante anni luce dal concetto di leadership e da quel culto di se stessi così in voga nei nostri giorni.
È esattamente questo. Il film non è un biopic agiografico, ma racconta un periodo in cui si era convinti – almeno da una certa parte -, che la politica potesse essere qualcosa di opposto a quella che viviamo adesso. Tante volte a sinistra sento parlare della mancanza di un leader, il che è un inganno perché cercarne uno vuol dire mettersi da una parte e giudicare da fuori. Al contrario delle persone che vediamo nel film, disposte a mettersi in gioco fisicamente, giornalmente, anteponendo le attività politiche a quelle famigliari. Non parlo solo di quelli che facevano parte della segreteria, ovviamente. Ho avuto modo di incontrare l’autista di Ugo Pecchioli, il mio personaggio. Lui era un iscritto al partito, ma era comunque ritenuto importante quanto il segretario. La sua mentalità era tale da dedicare la vita al proprio lavoro come se stesse rivestendo una carica fondamentale. Svolgeva quel lavoro come una missione mentre oggi ci siamo adeguati a una mentalità senza slanci né passione, limitandoci a cercare dei leader come si farebbe andando a fare la spesa.
Il personaggio di Paolo Calabresi ne La grande ambizione
Il tuo personaggio, come gli altri che accompagnano l’avventura politica di Berlinguer, appaiono uguali tra pari, sostituendo il “noi” all’ “io”. Un concetto, questo che è continuamente richiamato dall’asciuttezza delle vostre interpretazioni.
Una cosa molto bella di questo film è stata il fatto che l’atteggiamento dei personaggi è risultato lo stesso che c’è stato tra gli attori nel corso delle riprese. Nessuno sgomitava, nessuno chiedeva il camerino migliore, nessuno si lamentava, nessuno soffriva il fatto di avere uno spazio minore all’interno del film perché comunque tutto era funzionale a un’ambizione più grande.
Parliamo di uomini che si mettevano al servizio delle idee e della causa. Il tuo personaggio, per come lo vediamo entrare in scena, ha una prossemica che sembra incarnare la politica come servizio in favore degli altri.
Sì, anche perché Pecchioli era così, un uomo molto silenzioso che ricopriva mansioni tra l’altro delicatissime all’interno del partito. Poi è vero, la prima scena in cui interviene nel film è quando entra nella stanza per dare l’annuncio della bomba scoppiata a piazza della Loggia. Mi ha fatto molto piacere fare questo personaggio, anche perché sono abituato a ricevere proposte di personaggi molto estroversi.
Ruoli sempre diversi
Infatti venivi da interpretazioni del tutto differenti, mentre qui ti cali nella realtà confermando il tuo eclettismo.
Mi hanno fatto le stesse domande lo scorso anno dopo aver partecipato a Rapito di Marco Bellocchio. Avendo fatto molta commedia è comprensibile la meraviglia di vedermi in ruoli drammatici e più realistici. Personalmente non trovo nessuna differenza dal punto di vista dell’approccio, salvo ogni volta seguire le linee guida e lo stile del regista di turno. D’altronde il mestiere l’ho imparato facendo anche cose leggere e persino brutte. Come dice René Ferretti in Boris ho fatto tanta monnezza ed è stata quella che mi ha insegnato il mestiere perché le capacità le dimostri quando riesci a far venire fuori il personaggio da sceneggiature scritte con i piedi. Quella per me è stata la vera scuola.
Rapito, La guerra del Tiburtino III, Diabolik – Chi Sei? e ora La grande ambizione. Si può dire che la vertigine appartiene anche alla tua filmografia. Immagino che per te sia un po’ come stare sulle montagne russe?
Il bello del nostro mestiere dovrebbe essere quello invece ci siamo abituati al fatto che gli attori dopo aver fatto un personaggio lo ripetono per tutta la vita. È una cosa che non fa per me, nel senso che è limitativo e anche un po’ umiliante nei confronti della nostra categoria. Dopo il Biascica di Boris ho ricevuto un sacco di proposte di personaggi tutti romani, tutti un po’ violenti. A quel punto ho rifiutato molti film fino a quando non è arrivato Smetto quando voglio in cui il personaggio dell’archeologo Arturo Frantini mi ha permesso di cambiare la mia immagine. Il vero regalo è quando ci possiamo permettere di salire su queste montagne russe di cui parlavi.
Una politica che teneva unito il paese
Un’altra caratteristica che emerge ne La grande ambizione è quella di una politica che si preoccupava di tenere unito il paese e che voleva essere garante di tutti i cittadini, non solo di chi votava comunista. La grande ambizione era anche quella di fare una politica per tutti, non solo per quelli che votavano il Partito Comunista.
Assolutamente, nonostante quello che hai detto sia oggi un ritornello vuoto e anche scontato, con le solite dichiarazioni a proposito dell’essere il presidente di tutti. Nel film queste non sono parole vuote: lì questo ideale, questa ambizione era nei fatti, non nelle parole. Quei politici scendevano fisicamente per le strade, andavano nelle fabbriche, negli uffici, nelle case, e le case, gli uffici le strade venivano loro incontro. Non soltanto al Partito Comunista, che chiaramente aveva una vocazione più ampia, ma anche agli altri partiti. A quel tempo il rapporto tra la gente e i propri rappresentanti era molto più vivo. Ora possiamo dire che è morto. Tutto quello che diciamo viene detto tramite cellulare. Tra poco voteremo per telefono, eliminando le ultime possibilità di contatto e dando modo ai più furbi di vincere.
Senza più contatti umani, ma delegando la comunicazione alla tecnologia non è sbagliato parlare di una politica disumana. Hai parlato di un egual approccio ai film. Qui comunque avevi una responsabilità, quella di dare conto di una persona realmente esistita che era stato testimone attivo di un momento importante della storia italiana. Prima di questo venivi da due ruoli diversi come quelli interpretati in La guerra del Tiburtino III e Diabolik – Chi sei?. Ne La Grande Ambizione che tipo di creatività entra in gioco?
Se per creatività intendi la resa della follia del personaggio è chiaro che c’è una differenza. In realtà poi la vera creatività è trovare una postura, un modo di relazionarsi con i personaggi e di guardarsi negli altri interpreti in scena. Anche quella è una creatività, se vuoi molto più fine e più segreta e per questo, forse, ancora più difficile da ottenere. Per me la creatività sta anche nel sapersi relazionare alle piccole cose, magari impercettibili, che non saltano agli occhi, partendo dal fatto che il mondo si basa fondamentalmente sulle relazioni.
Paolo Calabresi oltre La grande ambizione
In un parterre di attori di talento e di gran mestiere quanto conta avere a che fare con uno bravo come Elio Germano?
È fondamentale perché ci si accompagna a vicenda dentro al mondo creato dal regista e si cammina insieme con lo stesso modo di vedere le cose, con lo stesso obiettivo, con lo stesso atteggiamento creativo. È più facile, a patto che ci sia la qualità degli attori e quando nei hai molti, come succede qui, è più facile dimostrare le proprie qualità.
Il buon momento del cinema italiano è testimoniato dall’uscita contemporanea di due film agli antipodi perché, a fronte di un film classico come il vostro, abbiamo Parthenope di Paolo Sorrentino che si fonda su principi opposti. Come interprete immagino si tratti di un panorama molto stimolante.
Non si può negare il momento difficile del cinema italiano tra tagli e difficoltà produttive e altro ancora. Allo stesso tempo quando c’è crisi la qualità ne risente positivamente e credo che sia quello che sta succedendo. Certo, sarebbe meglio se queste difficoltà non ci fossero perché comunque per tanti attori e soprattutto per tecnici e troupe, è difficile trovare lavoro. Questo aspetto va assolutamente risolto in qualche modo. Spero che qualcuno ne prenda atto.
Il lavoro con Andrea Segre
Hai detto di adeguarti allo stile del regista con cui lavori. Con Andrea Segre com’è andata?
Già prima di iniziare le riprese ci siamo accorti di avere di fronte un regista che aveva una visione e una poetica molto diversa da quella tradizionale per il fatto di venire da un cinema meno narrativo. Trattandosi di un film che univa la finzione al materiale di repertorio era necessario che le sequenze ricostruite riuscissero a cogliere la verità dei fatti sia dal punto di vista della fotografia, che per me è eccezionale, sia dal punto di vista dell’interpretazione. Per arrivare a questo è stato necessario entrare nella visione di Andrea, nella volontà di rispettare la verità dei fatti così come sono accaduti. Da qui ognuno di noi ha potuto tirar fuori a suo modo interpretazioni che non sono imitazione dei personaggi.
La forma del film è scandita dal dialogo tra finzione e immagini di repertorio. Mi chiedevo se anche voi avete preso visione di questo materiale?
Sì, abbiamo visionato le lunghe ore di filmati relativi alle riunioni della segreteria in cui a un certo punto si discuteva se la pausa pranzo doveva essere alle 13 oppure se dovesse essere spostata alle 14. Tra noi c’era qualcuno che si divertiva del fatto di ritrovarsi avvolti dal fumo delle sigarette perché quei politici erano abituati a fumare molto. Avendo smesso da poco, quando ho girato il film mi sono ritrovato immerso in un mix di fumo attivo e passivo per tutte le cinque settimane della lavorazione. Per me è stata una cosa tostissima. Mi sono ritrovato spesso a pensare a come quelle persone riuscissero a concentrarsi sui problemi avvolti in una nuvola di fumo. Nonostante ciò rimanevano leggeri. Nonostante l’enorme fatica a tratti riuscivano pure a divertirsi.