Rrugës / On the Way è un cortometraggio scritto e diretto dal regista kosovaro Samir Karahoda. Uscito nel 2024, è stato presentato all’ultimo Festival di Cannes con una candidatura alla Palma d’Oro nella sezione short films e proiettato al MedFilm Festival di Roma. Prodotto da SK Pictures, con la produzione esecutiva di Eroll Bilibani e di Samir Karahoda, vede protagonisti Ybler Mehmeti e Miron Karahoda, figlio del regista.
La trama di Rrugës / On the Way
Ybler e Miron stanno andando all’aeroporto per ritirare – con tutte le difficoltà burocratiche del caso – un regalo inviato dal padrino del ragazzo. Durante il viaggio i due parlano della situazione politica e sociale del Kosovo contemporaneo, immaginando come potrebbe essere il futuro.
Situazione politica in Kosovo
Il principale focus di Rrugës / On the Way è l’intricata situazione politica presente in Kosovo fin dallo scioglimento della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Pur essendosi dichiarato indipendente dalla Serbia il 17 febbraio 2008, il Kosovo non è ancora riconosciuto tale da più di novanta Paesi dell’Onu, tra cui Serbia, Russia e Cina. Ad oggi la popolazione kosovara è composta da una maggioranza albanese e solo per un 8% da minoranze etniche.
Il viaggio in macchina
I dialoghi tra padre e figlio – scritti basandosi su una conversazione reale avvenuta tra il regista e suo figlio – sono contemporaneamente potenti e struggenti. Si percepisce la tragicità della situazione di un paese i cui abitanti vivono con il costante timore dello scoppio di una nuova guerra, visti i continui attacchi militari di Serbia e Russia.
La paura di ciò che potrebbe succedere aleggia anche nella proposta di Miron al padre di seguire l’esempio di tanti suoi compagni ed emigrare.
“E allora perché non possiamo partire come tutti gli altri?”
“Dove potremmo andare, figlio mio? Nessun Paese è meglio del tuo.”
In questo scambio di battute si vede anche la differenza generazionale tra il padre ancorato alle sue origini e il figlio che sogna l’estero. Ybler ha vissuto tutta la vita nel suo Paese e sente un attaccamento affettivo tale che gli impedisce di partire nonostante il pericolo quotidiano che vive restando lì. Al contrario Miron vede il suo coach e tanti dei suoi amici lasciare il Paese e considera l’opportunità di fare lo stesso.
Guardando questo cortometraggio sorge spontaneo chiedersi perché la situazione in Kosovo venga così raramente nominata. Nell’ultimo periodo si sta dando sempre maggiore rilevanza ad alcune tematiche socio-politiche di cruciale importanza come la guerra in Ucraina, il conflitto israelo-palestinese e gli accadimenti in Iran, senza però dedicare alcune parole alla situazione kosovara. Un Paese che vede la fuga sempre più massiccia di persone verso altri stati europei e non.
“Ci sarà un’altra guerra?”
“[…] Man mano che i giorni passano non rimarrà più nessuno qui da combattere”
“Se non c’è nessuno da combattere possono comunque invaderci?”
“Non ci sarà nessuno da invadere”
Questo è forse l’obiettivo principale del cortometraggio: dar voce a una situazione politica geograficamente molto vicina a noi, eppure sconosciuta ai più.
Rrugës / On the Way: la fotografia per veicolare la desolazione
Per l’intera durata del cortometraggio la fotografia mantiene toni cupi, foschi e notturni. Come se i personaggi fossero calati dentro a un banco di nebbia dal quale è difficile uscire. Ciò potrebbe essere considerata una metafora della precaria situazione degli abitanti del Kosovo. Da un lato sono tentati di espatriare e cercare di trovare un luogo più sicuro, ma dall’altra come Ybler sono riluttanti a lasciare la propria casa.
Inoltre le prolungate inquadrature fisse contribuiscono a rallentare il cortometraggio e a concentrarsi sui volti espressivi dei personaggi per comunicare ancora una volta l’avvilimento delle persone.
Ė interessante soffermarsi sul fatto che dei quindici minuti di cortometraggio, la maggior parte è dedicata a inquadrare Ybler e Miron, senza rivolgere particolari attenzioni alle altre comparse. La videocamera indugia molto sui due protagonisti tramite diversi primi piani. Al contrario, le altre persone inquadrate – il padre del compagno di calcio di Miron e l’addetta all’aeroporto – vengono mostrate da lontano e senza nemmeno far vedere totalmente il volto. Questo aiuta a immergere Ybler e Miron in un mondo tutto loro, quasi come fossero rinchiusi in una bolla.