‘Cose che accadono sulla terra’ intervista con Michele Cinque
Dopo la prima mondiale al Festival dei Popoli, il nuovo film del regista di 'Iuventa', Michele Cinque, una storia sui moderni cowboys italiani in lotta contro il cambiamento climatico, arriva nelle sale
Il 3 novembre, Cose che accadono sulla terra di Michele Cinque, prodotto e distribuito da Lazy Film, ha inaugurato il concorso italiano del Festival dei Popoli di Firenze 2024, e ora fa il suo debutto internazionale al Festival IDFA di Amsterdam.
Prodotto e distribuito da Lazy Film, il film è in tour nelle sale cinematografiche italiane.
Michele Cinque torna a dirigere un documentario per il cinema su un tema urgente: il rapporto tra uomo e natura ai tempi della crisi climatica. A 50 km dal Grande Raccordo Anulare, nel “selvaggio west italiano” dei Monti della Tolfa, una famiglia di cowboys ha una missione: continuare ad allevare il proprio bestiame e difenderlo dagli attacchi dei lupi, senza però compromettere l’equilibrio dell’ecosistema.
Narrato al femminile e girato nell’arco di due anni, il film esplora il profondo legame tra madre e figlia. Brianna, una bambina di 6 anni, in un dialogo con la madre Francesca, si interroga sulla sua vita e sul suo futuro, rivelando, col suo sguardo innocente e originale, alcuni temi urgenti con cui il lo spettatore è chiamato a fare i conti.
Nell’ambito del Festival dei Popoli abbiamo fatto alcune domande al regista Michele Cinque.
Michele Cinque e il suo Cose che accadono sulla terra
Come sei entrato in contatto con questa famiglia? Come l’hai conosciuta? Perché sembra quasi di vedere un film di finzione, è quasi assurdo pensare che esista una realtà così nel 2024.
L’ho conosciuta perché, come al solito, il caso nella vita è quello che ti conduce. Quando cerco nuove storie per i miei film mi abbandono molto anche alle intuizioni che capitano. E tramite un amico, che poi è diventato il primo produttore di questo film, che è un esperto di permacultura, quindi di agricoltura rigenerativa e di pascolo rigenerativo, sono entrato in contatto con questa famiglia e ho conosciuto questo posto vicino a Roma.
Sono arrivato ed è stata una folgorazione con questo mondo, che, in qualche modo, è un mondo antico che però fa i conti con la modernità, con delle sfide che sono estremamente attuali. Da una parte c’è la modernità e dall’altra questo loro modo di essere vicini effettivamente alla natura. La cosa che mi ha colpito e che ho voluto inserire nel documentario è il fatto che si parla tanto di natura, ma sempre decontestualizzata dalla natura stessa, in qualche modo. Parlarne, invece, da dentro, secondo me, è importante, quindi ho tentato di immergermi con loro per due anni dentro il loro mondo. Poi, in generale, io giro sempre tantissimo (per questo film ho girato circa 500 ore) e per questo sembra quasi che la camera diventi automaticamente un po’ invisibile.
In apertura del concorso italiano del Festival dei Popoli
Approfitto di quello che hai detto a proposito della natura per chiederti qualcosa di più sul tema. Il tuo filmapre il concorso italiano del Festival dei Popoli e mi sembra che raccolga un po’ i temi centrali sia del festival, ma in generale temi attuali della quotidianità, come quello, appunto, della natura. Credo che attraverso questo racconto, che sembra quasi una favola, inviti anche a prendere una decisione, una posizione in merito a tutto quello che sta succedendo in generale.
Infatti l’invito è proprio quello. Il film racconta una piccola rivoluzione etica di una famiglia, quindi di un microcosmo che tenta di cambiare. Poi ci sono io che vengo da un percorso anche di attivismo, di arte-attivismo, con il mio precedente film, Iuventa, uno dei film manifesto dei soccorsi in mare, e ho sempre voluto affrontare i temi ambientali con i miei film.
Non avevo mai trovato una storia che mi permettesse questo da un punto di vista, per me, nuovo, che non fosse un film catastrofista, ma che fosse un film in grado di parlare e trovare delle soluzioni, anche se queste soluzioni possono apparire surreali. Potrebbe sembrare surreale fare un film ecologista attraverso degli allevatori, quando gran parte del pubblico potrebbe dire la soluzione è smettere di mangiare carne. Ma il problema non sono gli erbivori, come dicono anche nel documentario, il problema siamo noi, come gestiamo gli erbivori, perché, come ho imparato con questa famiglia, gli erbivori possono anche accelerare il processo di rigenerazione dei terreni, dal momento che quando c’è tanta siccità garantiscono alla biomassa di rimanere umida, rifertilizzando. Praticamente sono un acceleratore di quello che è il ciclo naturale di formazione della terra, di humus.
Le statistiche, in base a questo, parlano chiaro: nel 2050 si dice che il 90% dei terreni non sarà più in grado di produrre allo stato attuale e qui stiamo parlando di statistiche ufficiali dell’IPCC, dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, quindi è chiaro che bisognerà fare delle piccole rivoluzioni anche solo per sentirsi meglio. Io condivido l’eco-ansia per il futuro, ho due figli e questa immobilità di fronte a queste tematiche è dovuta anche al fatto che noi ci collochiamo in un altro universo, in un olimpo da cui guardiamo, anche con un sguardo giudicante molto spesso, questioni naturali.
E la favola alla quale tu alludi parte dal lupo come elemento molto forte nella nostra cultura per tentare di imparare da lui un po’ una nostra natura predatoria e una capacità, allo stesso tempo, di salvaguardare il vivente, proprio perché siamo potenti, predatori, parte del ciclo della natura.
La struttura del documentario
E questo discorso del ciclo della natura ritorna anche nel tuo film perché si può definire come circolare: ritorna il lupo, all’inizio e alla fine. Poi c’è anche il discorso che facevi prima: non è una soluzione smettere di fare una cosa, la famiglia in questione ci dimostra che la storia deve andare avanti, in un certo modo, ovviamente.
Sì, nonostante tutte le difficoltà, le cadute, la resilienza che poi la storia mostra. In ogni caso sì, è un film che in realtà parla di quotidiano, si potrebbe dire che non ci sono grandissimi eventi all’interno della storia.
Infatti a un certo punto interessa quasi di più vedere dove sono i membri della famiglia più che quello che fanno. Ci interessa seguirli a prescindere, anche se in una giornata non fanno niente, però è interessante il loro approccio alla vita. Fa sorridere il fatto che questa famiglia viva in quel modo nel 2024, al di là che succeda qualcosa veramente.
È un po’ un film minimalista in questo senso. Alcuni mi dicevano alla Ozu, il regista giapponese nei cui film sembra non succeda niente se non il mostrare un affresco familiare. Io, in realtà, volevo affrontare proprio questi temi in un modo che però potesse essere creativo, potesse avere una presa anche emotiva sul pubblico. E, per me, è anche un dialogo intergenerazionale molto importante, nel senso che è una madre che parla a un’altra generazione, che tenta di fare, trova la motivazione per cambiare, anche perché grazie ai propri figli parla del futuro.
Uno sguardo femminile per Michele Cinque
Ti volevo chiedere proprio questo. Perché hai scelto proprio la figlia come protagonista? È indubbiamente la più curiosa e quella che si interroga maggiormente su ciò che la circonda. Perché proprio uno sguardo femminile?
Perché le due donne di questo film sono quelle che portano veramente il peso della scelta. Da un lato gli uomini sono quelli che hanno questa capacità performativa di acchiappare un toro e buttarlo giù, quindi la forza, usano il lazzo in corsa a 40 chilometri a cavallo e prendono un toro selvaggio (come se fossero degli sport estremi a tutti gli effetti). Dall’altro lato le donne, invece, tengono un po’ una costante emotiva, anche di scelte che sono scelte drastiche, non sono scelte semplici, che danno tanta vitalità.
Sul perché proprio Brianna perché lei mi ha permesso di accedere a uno sfasamento della realtà. Abbiamo questi capitoli del film che si aprono con delle macro in cui la prospettiva cambia completamente e di solito portano poi a momenti in cui Brianna ci guida o nei suoi incubi o in una sua visione. E questo sfasamento di prospettiva me lo poteva dare solo una bimba di sei anni ed è una cosa che mi è venuta in mente seguendola, non è stata una cosa che ho imposto su di lei. Ho notato che lei, mentre c’era questa realtà così complessa, anche con il lupo che ammazzava dei vitelli, mentre la madre cadeva da cavallo, comunque manteneva un mondo di gioco e una narrazione unica, come solo i bambini sanno fare. Io, guardandola, osservandola, ho tentato di utilizzare questo per arrivare anche allo spettatore, per creare una narrazione che poi potesse anche raccontare e non solo testimoniare.
È vero e poi è anche più facile empatizzare con lei. Siamo curiosi anche noi allo stesso modo. Non a caso la mia prima domanda è stata come li hai conosciuti e, allo stesso modo, anche lei si interroga su quello che vede, su come vive, quindi forse è anche quello.
Sicuramente. E poi io sono diventato padre da quattro anni, quindi diciamo è anche il mio primo film da papà, quindi ci sono legato in un modo diverso (i miei figli sono andati a cavallo con loro e questo accade quando il documentario ti invade la vita).
Non solo natura, ma anche violenza
C’è una frase nel documentario che mi sembrava esplicativa di quello che abbiamo detto: Tutti gli animali sono uguali, ma gli uomini no. Mi sembra che con questa affermazione tu faccia una riflessione anche sulla violenza in generale, di cui si parla comunque anche nel documentario attraverso alcune immagini, più o meno crude.
Sì, c’è una violenza, nello specifico c’è una macellazione, poi abbiamo tenuto la marchiatura a fuoco proprio per garantire la libertà dei capi (perché i capi non vengono messi in stalla per tutto l’anno, per cui se non li marchi a fuoco li perdi). Quel marchio, quel momento di dolore garantisce poi una libertà che non avrebbero altrimenti. Quindi c’è la violenza, però è parte del nostro mondo. Del resto ci sono guerre ovunque, ci sono bambini bombardati a Gaza, praticamente avvalliamo questa politica estera di Israele senza farci domande e poi ci sconvolgiamo se un lupo attacca un capo di bestiame eppure quella violenza è una violenza molto più comprensibile.
Come spiega la madre.
Sì, che poi è l’evoluzione del racconto e il fatto che Brianna riesce ad accettare la sua paura del lupo. In realtà la grande metafora del film dovrebbe essere che noi siamo il lupo. Il lupo è come noi, noi siamo predatori, cacciamo e in qualche modo, però, in quanto predatori, siamo chiamati a una responsabilità diversa rispetto al vivente, allo stesso modo del lupo, che è un bioregolatore inconsapevole della fauna del mondo. La violenza effettivamente c’è in quel mondo, nell’essere animale.
Guardare il mondo da un’altra prospettiva
Quello che fai con questo documentario è anche farci vedere il mondo da un’altra prospettiva, sia con Brianna (e quindi con uno sguardo bambino) sia con questa famiglia immersa nella natura. Mi veniva in mente a tal proposito un articolo che tu stesso hai scritto su Domani per parlare del film nel quale hai detto che ti ha aiutato a riflettere il periodo del lockdown. Il fatto di essere chiusi in casa e guardare fuori la natura scorrere e riprendere possesso di ciò che le appartiene è stata, in qualche modo, un’illuminazione. Si può considerare il film in questo senso? Cioè si può dire che è effettivamente un modo per vedere il mondo da un’altra prospettiva?
Sì, questa è un po’ la mia ricerca. È quello di tentare di suggerire, di fare quasi un discorso di etica ambientale, di suggerire profondamente. Per me i film devono avere sempre anche un messaggio che possa essere, in qualche modo, sociale, ma anche più che sociale. Dobbiamo ricostruire, anche perché siamo già in una fase in cui le macerie sono un po’ ovunque e dobbiamo tentare di ricostruire. E secondo me dall’animale si può imparare molto per ricostruire un discorso paritario con il vivente. Non dobbiamo essere disconnessi, altrimenti non sappiamo nemmeno cosa stiamo salvaguardando e gli esempi sono lampanti in tutti gli ambiti.
Faccio un esempio brevissimo: alla fine degli anni ‘60 è iniziata questa teoria in cui noi avremmo dovuto usare la biologia per combattere dei fenomeni biologici, quindi reinserire animali in tutto il mondo a seconda degli ambienti. In questo senso i fiumi americani sono stati invasi dalla carpa asiatica che poi, col tempo, ha assalito le altre specie invadendo completamente i fiumi e arrivando ad attaccare anche gli esseri umani. A tal proposito c’è un film che per me è stato importantissimo, L’incubo di Darwin, nel quale il pesce persico è stato inserito nel Lago Vittoria e ha creato un danno ambientale. E questo avviene quando pensiamo di poter usare la vita contro la vita, che è comunque una dimensione, secondo me, di prospettiva errata.
Tornando alla tua domanda, spero che questo documentario possa aiutare a farci delle domande per capire in che prospettiva guardare il mondo.
Il documentario di Michele Cinque nelle sale
Sicuramente il fatto di non essere troppo catastrofico, come dicevi all’inizio, ma quasi surreale, fa sorridere e, forse, aiuta anche maggiormente lo spettatore che ci si approccia con uno spirito diverso (già un importante aiuto è la favola all’inizio che sembra un po’ un C’era una volta). E poi adesso uscirà al cinema.
Ora sì, distribuito con Lazy Film, che è il produttore anche del film, Cose che accadono sulla terra parte per un primo tour nelle sale in Italia che seguiremo accompagnandolo in un percorso distributivo capillare. Iniziamo da Civitavecchia che è la città dove praticamente è ambientata la storia, poi andremo a Roma il 12 novembre al Farnese, il 6 dicembre a Milano, passeremo per Cupra Marittima per una realtà indipendente di cinema molto interessante il 9 novembre. E stiamo adesso fissando tante altre date in Italia perché sicuramente andremo in Sicilia, Nord Italia, Bologna, Torino, però forse a inizio anno nuovo perché nel frattempo siamo ad Amsterdam per il Festival IDFA, la prima internazionale sarà a metà novembre e staremo lì per sei proiezioni.
Intervista a regista e attori di Napoli – New York con Favino e Salvatores
Cose che accadono sulla terra
Anno: 2024
Durata: 83'
Distribuzione: Lazy Film
Genere: Documentario
Nazionalita: Italia
Regia: Michele Cinque
Data di uscita: 05-November-2024
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